CINEMA, Testi: Immaginario scaduto

by Donatella Massara on luglio 26, 2009

Immaginario scaduto

C’eravamo abituate a vedere film italiani diversi. Le crisi esistenziali di Margherita Buy, moglie tradita, prima ricca poi povera, le pretenziose rivolte di Silvio Orlando, insegnante d’assalto, la Milano internazionale di Francesca Comencini, la Napoli liminale di Matteo Garrone, la Roma casuale di Nanni Moretti, le famiglie allargate di Cristina Comencini, la prostituzione femminile e la migrazione come perdita di identità e morte di Marina Spada, l’omossessualità brillante di Umberto Carteni con Claudia Gerini, le indagini sulla malavita di Marco Tullio Giordana con Luigi Lo Cascio.  E se a Natale escono quelli facili di  De Sica e Boldi hanno anche questi un umore di fondo diverso da altri  degli anni ’60,  che fanno da sfondo generante a uno dei generi più di successo della produzione cinematografica, la commedia all’italiana. Perchè l’immaginario trascrive le sue trame prendendole dalla realtà e con questa si sposa, divorzia,si apparenta condizionandone, come tutte le unioni, la vita. E si penserebbe che quelle storie di 50 anni fa un film non le possa raccontare più, non con le caratteristiche dominanti che avevano nel passato perchè nel presente non hanno corso, non di pubblica conoscenza. 

Invece no le vicende che private non sono di certo del capo del governo ci espongono davanti a una trama che per l’immaginario è fuori epoca. Che strano un immaginario scaduto che se rientrasse in un film sarebbe ridicolo dà esibizione di sé nella realtà italiana. Cito qualche esempio, porto le prove del passato che per me sono sempre doverose. Celestina P.R. è un film curioso, ha la regia di Carlo Lizzani del 1965 ma in realtà come dice la critica fu fortemente voluto dall’attrice protagonista Assia Noris che è firmataria del soggetto, produttrice, animatrice. Un titolo che in alcune filmografie di Lizzani non c’è, come se fosse considerato un prodotto che non gli appartiene. Il film sarebbe ispirato a una commedia del 1499 di Fernando de Rojas e la protagonista Celestina, la fattucchiera, è la donna di basso livello sociale che strumentalizza le altre e gli altri ai suoi fini, usando le persone e frequentemente con sfondo di mercato sessuale.

Nel film invece Celestina è una donna d’affari dell’alta borghesia milanese che sfrutta il terreno fertile del boom economico dove imprenditori e finanzieri dalla pesante parlata lombarda guadagnano soldi a palate e corrompono concedendosi il lusso di correre dietro alle donne che lei gli procura, come p.r. facendo contemporaneamente i suoi affari. Il segno femminile c’è. Nel protagonismo della sfera sociale le donne hanno notevoli successi anche economici; il solito cumenda è in realtà una cumenda, anzi una cavaliera del lavoro con marito inetto al seguito a cui propone per alleggerirgli il peso della disparità  di fargli arrivare una onorificenza di un oscuro staterello. Ma segno femminile c’è anche nella messa in ridicolo della velina di turno, Luisella-Beba Loncar sfruttata da Celestina-Assia Noris per un amante attempato, romano e potentissimo trattata da lei come una cretina. In una scena uno dei protagonisti impersonato dall’attore del teatro milanese Piero Mazzarella, dopo avere  scoperto i piaceri del tradimento coniugale con amori pagati, implora la p.r. di soddisfare il suo massimo desiderio: avere uno scambio erotico con una debuttante al ballo dei diciotto anni. Lei lo soddisfa procurandogli in realtà una prostituta di giovane aspetto, Raffaella Carrà, che per l’occasione vestita da debuttante a questa festa con poco riguardo per il suo pretendente quarantenne si divertirà veramente.

E’ uno scampoletto dell’immaginario degli anni ’60 congeniale all’idea del potersi concedere di tutto con i soldi, dalle donne ai motori. Un pezzetto del sogno italiano molto diverso dai film che vediamo oggi. Eppure ci sono queste cose nel mondo e si sa sono sempre avvenute. Ma non è questo che ha importanza, anche mangiare, bere e dormire è un’attività che da millenni ci tocca. Il fatto è che se queste vicende il cinema non le racconta più – dico il cinema normale, cosa facciano sui set dei porno non lo so e non ne ho mai visto uno – qualcosa deve pure volere dire. Invece le pagine dei giornali sono piene proprio di queste storie: feste con decine di donne che spiccano per giovinezza, la carta d’identità non gliel’ha chiesta nessuno, per pose da spettacolo di varietà o da carosello, per le facce tutte foto o telegeniche, pagate o non pagate per fare chi o che cosa non importa. Che siano storie vere, storie false o storie immaginate sono lì a occupare le pagine dei giornali e escono fuori per farci ridere, arrabbiare, scandalizzare. Eppure non sono storie che hanno la cultura del nostro tempo, non a caso la famosa lettera di Veronica Lario parlava del “drago”, dell'”imperatore” per spiegare il comportamento del marito da cui intende divorziare.

 Vorrei citare un altro esempio che cade dentro a questa storia dell’immaginario che ha, secondo me, un suo ordine temporale a scadenza per quanto impossibile sia farlo coincidere esattamente con delle regole precise. In un film drammatico di qualche anno dopo La prima notte di quiete del 1972 soggetto e regia di Valerio Zurlini, Alain Delon che aveva 37 anni si innamora di un’allieva, già fidanzata con un torbido uomo, la bellissima Sonia Petrova, un’attrice francese che ne aveva allora 20. Niente di strano fino a qui. Il film  di grande successo è stato recentemente riproposto da Elisabetta Sgarbi agli incontri della Milanesiana. In questo come in quasi tutti i film di Zurlini la figura femminile è centrale, analizzata, sottratta alla banalità, guardata con uno sguardo complice e comprensivo, come Eleonora Rossi Drago in Estate violenta, Claudia Cardinale in La ragazza con la valigia. Il segno del tempo nel film del ’72 lo rivela il motivo, questa volta trattato in chiave drammatica, della protagonista Vanina, che a 15 anni era stata spinta a prostituirsi dalla madre con lo stesso giro di uomini e donne che adesso frequenta insieme al fidanzato. I ricatti a cui questi erano stati sottoposti per essere stati con una minore avevano ripagato madre e figlie delle perdite economiche che avevano subito per la scomparsa del padre. In una Rimini annoiata fra gioco d’azzardo, droga, prostituzione amichevole e casalinga ci sta anche il tema del desiderio proibito, guardato senza simpatia dall’autore, ma anche senza malizia probabilmente più come un motivo rivelatore di turbolenze  diventate tematiche della rivoluzione culturale e sessuale post-68 che includeva e spingeva possentemente in avanti l’opposto di quello che dice il film,  la libertà femminile. E’ la libertà ritrovata da Vanina alla fine scappando da Rimini per congiungersi con il nuovo amante, Delon, intanto travolto in un incidente con la sua auto.

Cosa rivela un immaginario scaduto ? E’ semplice: una realtà, il desiderio di dare una esibizione di sé, una pubblicità nonostante le proibizioni, il buon gusto, la peccaminosità a molte e molti sgradita.

E questo immaginario che – riversato in pellicola sarebbe un film-panettone anche se lo firmasse Stanley Kubrick – è messo lì a rivelare che il protagonista <<forse trarrà persino vantaggio da questo caso>>, dice John Lloyd su Repubblica 26,7, 2009.

L’esibizione di un desiderio che non c’è neanche più al cinema rivela purtroppo il dispregio per le donne e se questo cattivo sentire spinge al successo c’è da pensarci prima di trascurarlo e ritenerlo poco interessante per la politica, non economico. Le brutte imprese verso le donne, benchè consenzienti, spinge una delle qualità più accreditate al sesso femminile, la bellezza, dentro un mercato dove le merci si assomigliano tutte fino a perdere la loro qualità distintiva e diventare serie.

Tutte quelle ragazze messe lì a fare da corona al potere non sono più belle. Le ragazze che fanno cose stupide, ridicole, inutili nei vari spettacoli di relax sono castrate nell’aggettivo che potrebbe accompagnarle, la bellezza, unica qualità per una chiamata a ascoltare e farsi vedere. La castrazione del potere femminile legittimato dalla bellezza è un obiettivo consapevolmente ricercato dagli uomini. Una donna che fosse pure molto bella che cerca di stare in piedi su di un asse con il sedere in fuori, sottintende che la sua bellezza è una qualità di cui non intende fregiarsi, si dichiara appartenente a una specie non fatta per mettere l’altro, il maschio, in secondo piano. E’ una bellezza a cui  rinuncia ma non per fare chissà che,  giusto per scherzare con i giochi a premi, per stare nel mazzo, per essere della partita con quell’assorbimento nella promiscuità della sensualità misteriosa e lontana che la bellezza di solito emana. La bellezza delle grandi dive era accompagnata dal rispetto, dal mistero, oppure dall’ironia e dal gioco della seduzione, come nella sophisticated comedy. Mi va di citare: Greta Garbo, Katherine Hepburn, Marlene Dietrich, Anna Magnani, Sophia Loren, Anouk Aimee. La bellezza incute sempre timore e commozione. Sono queste le emozioni su cui lavora un grande regista, amante delle donne come è stato Valerio Zurlini. C’è un versante opposto all’ossequio, alla curiosità, all’occhio che cerca le sfumature di un viso, le angolature e le pose per rivelarne i sentimenti ma tenendosi a distanza, come se alterare quell’equilibrio dello sguardo che cerca nell’altra includesse passare il segno, fare complice un’alterità e accecarsi per stare in una comunanza dove spariscono le differenze che creano disparità, anche se solo per il frangente temporale di un attimo di visione. C’è infatti quel desiderio maschile di controllare, sminuire, ammirare ma  degradando la bellezza femminile magari dentro un quadro di apparente e facilona simpatia che uniforma e fa sparire le differenze sessuali che in realtà ci si ripromette di enfatizzare. E’ la castrazione della bellezza femminile che così ridotta si può comprare, manipolare, mettere in una serie così che l’una sta al posto dell’altra, nella totale flessibilità e rinuncia dell’unicità di un volto e di una interiorità che lì ha le sue espressioni. L’ha fatto notare molto bene l’autrice di Il corpo delle donne Lorella Zanardo assemblando con un serrato commento esclusivamente pezzi di televisione dove le donne  belle sono state oggetto di chirurgia plastica per adeguarsi ai canoni dell’immagine mediatica e  le belle ragazze che fanno comparse di vario tipo sono espropriate della loro bellezza, depotenziate e destrutturate, al servizio di performance di basso livello di gusto, da immaginario scadente e che avrà scadenza, e  sforzano la loro graziosità  per farcela dimenticare.