Immagine-storia: La politica del desiderio – Libreria delle Donne di MIlano

by Donatella Massara on giugno 3, 2011

La POLITICA DEL DESIDERIO Libro – DVD della Libreria delle donne di Milano, 2010

La politica del desiderio è un oggetto di desiderio. E’ questo il primo significato che vedo nel documentario della Libreria delle donne di Milano. Parlano del femminismo come oggetto del desiderio la grafica, l’arte, il cinema, la fotografia, il teatro con cui manifestammo i suoi esordi, all’inizio degli anni ’70. Sono le immagini di donne che esprimono se stesse.

Rivediamo donne che interpretano la politica, riguadagnate a una soggettività libera dal pensiero maschile. Queste immagini danno visibilità a corpi che non sono più oggetti naturali. Sono costruzioni dell’immaginario, parlano di liberazione, di relazioni fra donne, sono immagini dove c’è l’eros di contatti, contaminazioni e forme tutte interne al mondo femminile. Fare parlare il femminismo come un oggetto di desiderio rimane il segno più forte del film, anche dove va a prendere parola e immagini fra le esperienze contemporanee, scelte, fra le tante, a Cagliari, Verona, Foggia, Catania. Simpatiche dunque le riprese fra i gruppi delle più giovani di Esposta e di Studio Guglielma a Verona, interessanti quelle dei gruppi di La Città Felice e La Merlettaia di Catania e di Foggia dove  anche gli uomini sono convinti della preferibilità di questa politica.

 

Molto manca a questo documentario, però, anzitutto l’arte delle donne che ha continuato a esprimersi anche dopo gli anni ’70, nel cinema per esempio. Penso a Milli Toya e ai suoi film che raccontano la politica delle donne e a tutta l’esperienza trentennale di Torino svolta intorno alla Galleria Sofonisba Anguissola. Ma molto altro ancora manca: esperienze di donne e aggregazioni politiche importanti che sembrano svaporare dentro a questo film e che non tocca a me qui citare. Il film è sì una sintesi, ovvia, però, e abbastanza involuta, forse direi anche malinconica, apparentata con una solarità che va sì a cercare quello che brilla ma duplicando il modo di muoversi della lampada artificiale, diretta meccanicamente sui suoi oggetti, più che come un astro che con la sua terra ha un legame vitale, necessario, intrinseco. La rivoluzione copernicana che è stato uno dei punti nodali della pratica femminista qui è diventata una operazione di raziocinio, fredda e troppo calcolata. Meglio sarebbe stato rischiare di più, perdersi, sollevare confusione, incantare il pubblico con colpi di scena, inaspettate personalità e ricerche di cui tutte sappiamo qualcosa e che là non compaiono. E’ invece un documentario tutto giocato, inaspettatamente, sulla rappresentanza. E’ costruito su immagini salvate contro altre sommerse, certo intuibili, vive e non cancellate ma che comunque non hanno una nominazione. Meglio sarebbe stato andare a scoprire proprio quale è il desiderio che vive, crea progetto, appassiona fra le donne e che qui non sono nominate nè intervistate. Queste non appaiono ma potrebbero essere proprio loro a rivelare il senso più intrigante della politica delle donne. Una rivoluzione copernicana, se è tale, è molto di più di una ordinata costruzione di immagini, parole e donne rappresentative che, per quanto siano sul mercato, delle istituzioni vere e propie, continuano a non avere il potere, la struttura e la obbligatorietà.

E’ dunque questo un raffinato film di propaganda, una pubblicità, un gadget elettorale senza elette? un modo per dire alle donne, ‘venite venite, venite che c’è spazio per tutte quelle che hanno dei desideri’ ? o è un film che rende conto della voglia delle donne di esserci con la misura propria, non sempre omologabile alle metrature del valore contabile, falsamente oggettivo quale è quello del potere politico, economico, mediatico? A questa ultima interrogazione rispondo no: è un film che si è dato il suo linguaggio selettivo, preferito, leggermente narcisista. Per la grandezza femminile non omologabile ci riguardiamo le donne che sono state importanti, certo nella mia vita: Lia Cigarini e Luisa Muraro, non a caso autrici di questo film diretto dalle registe Manuela Vigorita e Flaminia Cardini.  Non va oltre, non va a ricercare quante e quali sono state le manifestazioni di questo valore femminile che non ha un riscontro preciso in soldi, potere, ruoli ufficialmente intesi e che invece ha avuto molteplici facce, colorazioni, vite diverse e tutte enumerabili dentro a una politica del desiderio. Certo questo è pur sempre un grande regalo anche così, come un brodo succulento, troppo ristretto, forse indigesto per alcune, ma allettante per palati non ancora svezzati a cibi più complicati. Il film ha abbastanza contenuti utili – è vero – a dare la prova che è possibile praticare una politica libera, non istituita in partiti, riti di potere, lobbies. E’ un film invitante. Fa vedere che è possibile essere un’istituzione vivente, senza entrare nei rapporti dello stato. Forse vuole inviare messaggi a chi guarda per non stare fuori, dal gioco, per invitare a farsi posto al sole, da sole, perchè il film è  impotente, da solo, a includere, le tutte, le tante, troppe per la cinepresa, e ancora sono da venire, che hanno composto la grandezza dell’originalità del femminismo italiano. Questo sforzo avrebbe richiesto un linguaggio che qui non ho visto, una mescolanza di generi probabilmente, costruita su fiction e realtà, una collegialità di regia che accogliesse idee e spunti. So che si poteva rischiare di essere indimenticabili, sacrificando la classicità e adottando una narrazione non sequenziale, ordinata e progressiva, dove emergesse la simultaneità, la compresenza, la commistione di linguaggi, di ricerca oltre che di tempi. Ma ormai l’esperienza è  chiusa e ce la teniamo così com’è. Non ne siamo obbligate. E’ vero. Altre proposte arriveranno.