Immagine – storia: Le pietre degli inganni di Milli Toja e l’idea di comunità femminile

by Donatella Massara on gennaio 11, 2012

Milli Toja ha prodotto, scritto e diretto un nuovo film. Le pietre degli inganni, il terzo, dedicato alla saga delle pietre. Ognuno di questi film sono  un’impresa grande e interessante, oltre che eccitante per le partecipanti, che non finirò mai di ammirare e che, questa volta, ha avuto anche me fra le interpreti. Mi ritrovo a essere dentro allo schermo invece che fuori e a fare una certa fatica a uscirne. Per fortuna mi è d’aiuto il desiderio di riconoscere a questa piccola cosa tutta la sua grandezza. So un modo per farlo, è crearle un contesto, non lasciarla da sola e metterla invece in comunicazione con altre pellicole che, in qualche modo, le assomigliano. Le donne, in diversi periodi, hanno prodotto film indipendenti, e con il sostegno di altre hanno voluto raccontare in storie più o meno fantasiose o realiste le vicende delle comunità femminili.

Dicevo che, questa volta, sono fra le interpreti di Le pietre degli inganni sono Giada la guardiana delle pietre -. Allora, con tutto il potere che mi è stato conferito, vorrei qui all’istante organizzare la rassegna di film che ha titolo “Le comunità femminili attraverso l’immaginario delle registe”. Inviterò la visionaria Ulrike Ottinger. Nel 1977 in Madame X an absolute ruler raccontò la storia surreale di androgini e di strane creature, le pirate dai costumi fantastici chiamate a imbarcarsi sulla nave delle donne di Madame X. Un film diretto, costruito e interpretato solo da donne, gli unici uomini sono i tecnici della mdp. Le avvicinerò la realista Rose Troche che, più di recente, scrivendo con Guinevere Turner la sceneggiatura di Go Fish, ha raccontato la comunità lesbica di Chicago. Un film prodotto da Cristine Vauchon, nota per le sue scelte coraggiose a favore della cultura lesbica, testimone la produzione del bellissimo, struggente e purtroppo biografico Boys don’t cry. Milli Toja siederà di fianco alla canadese Cynthia Scott che nel 1990 ha diretto In compagnia di signore per bene, cast tutto femminile, musica di una donna, soggetto e sceneggiatura della regista, scritto con altre due che sono anche produttrici e aiuto regista, più un uomo, per raccontare la gita di un gruppo di settantenni a bordo di uno scassato pullman guidato da una più giovane, le attrici non sono professioniste e interpretano se stesse con il loro nome. Un film straordinario. Quindi ricorderei in una retrospettiva Leontine Sagan che girò nel 1939 quel film eccezionale, Ragazze in uniforme, altra storia lesbica interamente costruita su un cast di donne, scritta da Christa Winsloe e ambientata nella comunità femminile di un collegio. Dorothy Arzner pure lei girò un film sul collegio femminile, The wild Party del 1929, alludendo alle relazioni erotiche fra le ragazze, ben nascoste dentro a un plot hollywoodiano che non era per niente omosessuale. Fra le contemporanee inviterei Lea Pool, che ha girato nel 2000 L’altra faccia dell’amore con una storia d’amore fra due ragazze, ambientata in un collegio femminile e Patricia Mazuy per Saint Cyr dove, cambiata l’epoca, guardiamo alla comunità femminile del collegio voluto da Madame de Maintenon, moglie del Re Sole, per accogliere le nobili impoverite dalle guerre di religione. Nella cornice severa del collegio le giovani raggiungono sempre l’età adulta attraverso i conflitti, gli amori, le disparità di desiderio fra le compagne. Anche se è stato diretto da un uomo ricorderò, in questa occasione di incontro, Nella città l’inferno sulla comunità femminile delle carceri, tratto dal romanzo di Milli Dandolo dove le interpreti sono, a parte pochi minuti di comparsa degli uomini, donne e, fra le tante, emergono per bravura Anna Magnani e Giulietta Masina. Il film citato mi servirà per presentare Caterina Gerardi che ha girato Nella casa di Borgo San Nicola, un documentario sulle donne che condividono il carcere speciale di Lecce e che ha vinto il primo premio per la sezione Documenti del 1° Concorso internazionale Esperienze di libertà femminile, organizzato nel 2008 da Milli Toja, Giovanna Foglia, Fiorella Cagnoni e me con il supporto del Trust.Nel nome della donna. Per chiudere l’incontro chiamerò due giovani registe che hanno lavorato sulle comunità femminili dei conventi: Alina Marazzi che gira nel 2005 Per sempre sulle monache dei conventi di clausura e Ilenia Maccagni che gira nel 2004 Anime divise in due.

Le comunità femminili sono differenti, ci sono quelle occasionali, come nel film di Cynthia Scott, ma che hanno una forte carica simbolica, poi ci sono quelle durature, quelle istituite come i conventi, quelle coatte come le carceri, quelle che nascono nei rapporti sociali come le comuni e infine ci sono quelle che assimilano tutto ciò che la storia ha messo in campo e lo traducono in una scena immaginaria come ha fatto Ulrike Ottinger e continua a fare Milli Toja. Penso che quando una regista guarda la comunità femminile si stia concentrando su qualcosa che la coinvolge. E’ per questo slancio che viene ribaltato lo schema classico con cui si fanno i film con un o una protagonista al centro della scena verso cui convergono gli sguardi del pubblico. Le carte, improvvisamente mescolate, cambiano il gioco, lo sguardo segue una pluralità di personagge, il discorso filmico che aveva un prologo e un epilogo, rimane aperto nel finale. Anche dove c’è una soluzione del film qualcosa sfugge alla parola fine. Forse non è neppure un caso che il finale di Ragazze in uniforme sia stato così contrastato. Per gli USA il film, a cui furono tolte 17 scene troppo esplicite sul lesbismo, finì obbligatoriamente benedetto dal sacrificio della protagonista che si suicida. Invece nella versione originale tedesca la ragazza si salva perché le compagne l’afferrano mentre sta per buttarsi giù dalle scale. Anche in L’altra faccia dell’amore il finale del suicidio è ambiguo perché contemporaneamente sentiamo il tonfo del corpo della ragazza e vediamo il falchetto, che lei cura, alzarsi in volo. C’è una morte che è anche rinascita nella libertà del volo. E’ difficile dare a questi film la parola fine proprio perché la comunità si muove sul tracciato del divenire, non si identifica esattamente con le sue partecipanti essendo, allo stesso tempo, costruita dai loro corpi, definita dai loro nomi e organizzata dalle loro azioni. Diversamente dalla tipica comunità maschile, per esempio l’esercito, quella femminile non ha linee tracciate sulla perennità, come in quello spazio geograficamente delimitato che è uno stato. Essa esiste perché c’è chi se ne fa partecipe.

Le comunità femminili sono una forza straordinaria, eppure assai poco le registe le hanno raccontate, per rincorrere invece figure di protagoniste isolate, ritenute utili ad analizzare la soggettività femminile. La verità è, però, che noi siamo fatte delle nostre relazioni, fino dall’infanzia. Lo esprime bene Beatriz Preciado quando dice:

<<Io posso essere al massimo una rete di relazioni. Ecco, Beatriz Preciado è questo: un’enorme rete di relazioni e di affetti che serve ad altri per continuare a resistere, a vivere, una rete che oserei dire infinita…>> (intervista a Beatriz Preciado di Rachele Borghi sul sito di IAPH- Italia)

 

Milli Toja racconta la comunità femminile perché è da quarantanni la sua esperienza politica ma anche di vita oltre che di creazione artistica. E’ a questa società da cui attinge ispirazione, personaggi e infine le stesse protagoniste dei suoi film affiancate da altre donne che creano la musica, come Paola Molgora, le scenografie, i costumi, le coreografie, che sanno organizzare il thè per tutte, pasti e posti letto. Lei è una videomaker, le sue produzioni nascono dal bisogno di creare, inventare e di esprimersi mescolando anche molte abilità, come il montaggio, la presa in diretta del suono, la fotografia, le luci, quindi la scelta delle location, i costumi e il casting.

In Le pietre degli inganni i punti centrali sono la psicoanalisi e l’amore. La psicoanalista è Rossella, interpretata dalla stessa Milli, potrebbe considerarsi il personaggio principale, è infatti probabilmente quella che ha più minuti di presenza sulla scena. Due pazienti riescono a trovarla fra le montagne dove sta condividendo con Luisa, un’amica, l’esperienza della comunità femminile, guidata temporaneamente da Lia, sostituta della Madre, allontanatasi con Roberta per alcuni mesi. Rossella, aiutata da Luisa, si ritrova a fare l’analisi alle due vecchie pazienti, in crisi di astinenza e a Lia che è continuamente in preda dello sconforto e di forti crisi di gelosia, ama la Madre e non sopporta che se ne sia andata via con un’altra. A questo gruppetto di analizzate si associa anche Giada che si dichiara turbata. Ama segretamente Sara, chiaramente non corrisposta le ha svelato, illudendosi di lanciarle un messaggio d’amore, dove sono nascoste le pietre. Utile conoscenza questa per la ragazza che vorrebbe tenersi legato uno strano giovanotto che gira per i boschi, colpito apparentemente da lei, in realtà inviato dagli uomini della montagna per sottrarre le pietre. Ma la comunità reagirà e anche Sara si rivelerà meno scema di quello che pensavamo. La psicoanalisi è così chiamata a dirimere questioni vitali sia per la comunità che per le singole che stanno attraversando i loro drammi.

Milli Toja è una donna spiritosa e molto ironica ma ha uno sguardo inflessibile sulla realtà, ce ne accorgiamo quando rivela in una scena con Lia che cos’è l’essenza dell’amore. Questa rivelazione avviene non tanto, come succede con le sue pazienti, quando le saltano i nervi, ma quando seriamente dice a Lia: i rapporti fra le persone a volte sono orribili e non ci si può fare nulla. Per consolarla le aveva ricordato il verso dantesco “Amor ch’a nullo amato amar perdona” spingendola a dare amore, perché questa offerta è ripagata dall’altra o dall’altro che poi ti ama. Ma in realtà non ci crede ed è invece convinta che ci siano amori che per tutta la vita continuano a avere un’unica direzione, senza essere mai ricambiati.

La trama si sofferma sulla vita della comunità femminile e ci fa riflettere. Ci accorgiamo che ci sono due mondi che si incontrano, c’è la comunità delle seguaci del culto delle pietre, Giada, Sara, Cinzia, Emilia, Elena, Giuliana e Lia e ci sono le esterne come Rossella, Luisa, Bice e le pazienti, Viola e Nora. Con una grazia che nessuno saprebbe trattare meglio, la regista confonde i due mondi, implementa l’arcaico sulla contemporaneità, arrivando poco prima della metà del film a una scena fondamentale. Quando le pazienti, Viola e Nora con Bice raggiungono finalmente la comunità c’è un cambio di musica. Le guerriere che sorvegliano il bosco, dopo averle avvistate, le stanno scortando alla casa di Lia che ospita Luisa e Rossella. La macchina da presa è distante e, come se spiasse da lontano, su un campo lungo riprende le pazienti, Bice e le guerriere che incontrano Lia sulla porta della casa. Lei si infila sulle spalle il mantello per accompagnare le nuove da Rossella. Quella piccola figura di donna, con una brava attrice, Patrizia Spadaro, a sostenerne la parte, è riuscita in pochi secondi a comunicarci il senso più profondo del film e – sotto il divertimento che subito ci reintegra perché Rossella nel vedere le pazienti che l’hanno raggiunta crolla a terra svenuta – sentiamo la commozione che affonda nell’idea stessa della comunità femminile. Dentro all’invenzione di un mondo di donne che abbiamo l’impressione esista veramente da qualche parte nel tempo che abbiamo abitato, fra i secoli, il gesto di Lia è la rappresentazione della sofferenza prodotta dall’amore, mescolato al dovere e alla spiritualità. Nell’inconscio queste figure femminili, scolorite nella memoria, centralizzano, in realtà, una parte notevole delle nostre emozioni, sospingendo la differenza femminile a farsi avanti lungo un tracciato che non è solo prodotto del presente, sentiamo la presenza di quelle che ci hanno predestinate a essere chi siamo diventate. C’è altro però. Oltre a questa emozione che il pensiero del tempo della storia femminile quasi sempre ci comunica, oltre all’inconscio rappresentato come un mondo popolato da figure femminili che vivono ai margini del bosco, minacciate nella loro potenza da uomini che bramano impadronirsi dei loro simboli di potenza, oltre alla poetica che esprimono gli scambi femminili, la comunità fa agire anche il piano di realtà che si scontra contro le pretese, per quanto liberatorie, di fare esistere noi stesse, come vogliamo essere, imponendo al mondo i nostri desideri. Giada che, nella comunità femminile, è la guardiana delle pietre non conta assolutamente niente per Sara che, per quanto la consideri, sentirà battere il suo cuore verso chi ha meriti decisamente più utili, contabili e meno simbolici. La comunità femminile nasconde e protegge ma allo stesso tempo rivela, a volte, la sua verità di essere un mondo di ombre, creature dell’immaginario, espressioni del desiderio, che svaniscono quando la realizzabilità delle cose chiede di avere la sua dimensione più concreta.

L’idea della comunità femminile arriva come una sferzata di vento perché mette in scena la forza della presenza femminile collettiva, quella che agisce attraverso la capacità politica delle donne, oltre le istituzioni e il modo maschile di fare politica. E’ questa che continua a essere più difficile da accettare, riconoscere ed enunciare anche da noi. Ne sono la prova i documentari recenti, che sono stati fatti sul movimento delle donne, stranamente encomiastici verso le pratiche, il pensiero delle donne, le invenzioni politiche di ambienti anche di lavoro ma che non sono riusciti a esprimere la presenza delle comunità femminili, quelle che abbiamo costruito che sono esistite e ancora esistono e che sono le uniche per cui molte praticano il separatismo, fanno tranquillamente a meno della politica maschile e hanno a disposizione una serenità verso l’esistenza che nasce dall’indipendenza simbolica, dalla realizzazione di microforme di società, da un’autonomia alternativa agli uomini, che non li esclude, senza per questo averne la necessità.

Il film di Milli Toja e di tutte noi che ne abbiamo fatto parte cerca di fare parlare tutte queste ragioni, di non frustrarne la rappresentazione ma di restaurarne la possibilità di parola, di riflessione e di comunicazione con il cinema.

LINK:

In questo sito vedi:

su Le pietre e l’amore, 2014 di Serena Fuart

su Le pietre degli inganni di Serena Fuart
su Le pietre degli inganni di Maria Luisa Iori
Intervista a Milli Toja (vai al vecchio sito)
su L’alito del drago (vai al vecchio sito)
su Le pietre del sapere (vai al vecchio sito)
su L’altra faccia dell’amore (vai al vecchio sito)
su Leontine Sagan e Dorothy Arzner e i loro film in Storia del cinema lesbico fra gli anni ’20 e ’30 (vai al vecchio sito)
su  Concorso Internazionale di cinema delle donne e Festival itinerante Esperienze di libertà femminile2008 (vai al vecchio sito)
su I risultati
su La storia di Ruth e Noemi chiamatemi Naomi (spettacolo teatrale) (vai al vecchio sito)

 

In rete:

Il sito di IAPH – Italia

Il sito della Galleria Sofonisba Anguissola
a FILM sono visibili:
il video di Donatella Massara su La prima e il backstage di “Le pietre degli inganni”di Milli Toja al Cineteatro Baretti 9,11,2011
e i film: L’alito del drago Le pietre del sapere L’ordine delle stelle di Milli Toja

 

su You Tube:

Trailer “Le pietre degli inganni” di Milli Toja
Immagini dal set “Le pietre degli inganni” di Milli Toja
di Donatella Massara