Immagine- storia: Vision – Aus dem Leben der Hildegard von Bingen di Margarethe von Trotta, 2009

by Donatella Massara on aprile 26, 2012

Chi ha parlato male del film Vision – Aus dem Leben der Hildegard von Bingen, sulla vita di Hildegard Von Bingen (1098-1179), girato nel 2009 da Margarethe Von Trotta in Germania, dimostra un’impotenza di fondo, il suo inconscio gli sta dicendo che questo è un film molto molto molto importante che è fatto da una donna matura, che ha vissuto il movimento femminista, che conosce la storia delle donne, ricordatevi  di Rosa Luxemburg, Anni di piombo, Rosenstrasse. Che presenza importante è stata per le donne nel cinema commerciale!

E’ ovvio che Margarethe Von Trotta meriterebbe molto di più, almeno di avere una distribuzione. Invece è fatta oggetto di critiche o meglio stroncature velenose e svilenti che abbattono il livello già basso di una produzione cinematografica ‘femminista’ che urge, perchè la terra ha bisogno dell’autorevolezza femminile ma molti e molte, purtroppo, vorrebbero che fossero ancora gli uomini a produrla culturalmente. Il simbolico che io sono convinta  sia la parte fondante delle pratiche umane, molti e molte lo vorrebbero sempre  in mano agli uomini anche per parlare delle donne, prova ne è il palloso film su Ipazia Agorà che tanta gloria ha avuto.

Vision  a me è piaciuto molto, Barbara Sukowa, la protagonista è molto brava, si identifica bene nell’autorevolezza di Hildegard e allo stesso tempo nella posizione medioevale delle donne, nella subalternità a cui rispose con la potenza della sua forza creativa. In lei vediamo l’imposizione del pensiero divino che passava per le visioni, fedelmente trascritte dal monaco Volmar, suo fedele amico, l’amore materno, spirituale e predestinato per Richardis, la nobile novizia sedicenne che le viene affidata, che la ama ma che l’abbandona – gettando Hildegard nello sconforto – per  diventare badessa in un altro convento, scelto dalla famiglia e che morirà poco dopo. Ho visto la concentrazione, la serietà e lo sforzo di Von Trotta di trasmettere la storia delle donne. L’opera della filosofa è tradotta in passaggi fondamentali del film. Vediamo come la sua sapienza si applicò alla conoscenza della musica, delle pietre e delle erbe per curare, spaziò dalla teologia, alla composizione, al teatro. La sua fu una vita molto lunga che passò attraverso momenti cruciali della storia europea, per esempio il rapporto con Federico Barbarossa che diventerà imperatore e con cui lei ebbe una corrispondenza epistolare. E’ questo un film importante capace di raccontare un pezzo fondamentale della nostra storia di donne in occidente. Bene ha fatto Silvana Ferrari a segnalare sulla rivista Via Dogana un altro film con gli stessi propositi. Cristine Cristina di Stefania Sandrelli, dedicato a Christine de Pizan. E’ un altro film  poco apprezzato, capace di produrre testimonianza storica e di appropriarsene, non lasciando la storia delle donne dentro le pagine di un libro, nella rimozione e in gestione del simbolico maschile che magari oggi ha deciso di gettare uno sguardo verso le donne che gli uomini concepiscono come l’altra metà di se stessi.  Nel film di Margarethe Von Trotta c’è invece il senso della differenza sessuale, giocata fortemente nella scena dove Hildegard decide di separare il convento  di cui era la magistra – condiviso con i monaci diretti da un abate –  per trovare uno spazio solo per le monache, a Rupertsberg, e diventarne la badessa. Fu spinta a questa decisione dopo che una giovane fra le sue monache era rimasta incinta e, per non essere espulsa dal convento, si era uccisa. Suor Clara ha pagato con la vita – dice Hildegard all’abate – mentre il vostro fratello è sempre rimasto nascosto. La differenza sessuale è esplicata non solo attraverso il  coraggio, la sapienza ma anche nella  bellezza e Hildegard non la umilia. Le monache di Hildegard  portano i capelli lunghi sotto il velo, possono indossare abiti sfarzosi, adornarsi di gioielli per il decoro della propria femminile verginità. E’ interessante per capire l’interpretazione della ‘politica della differenza’ di Hildegard la scena della rappresentazione teatrale, fatta in onore di una badessa in visita. Le monache recitano vestite di bianco e adornate di fiori e di gioielli. Ma la badessa disapprova ricordando che nella Lettera di Paolo a Timoteo è comandato alle donne di vestire modestamente, darsi un contegno e coprirsi i capelli. Non indossare oro, perle e vesti raffinate ma invece adornarsi di buone azioni. Hildegard risponde che le vergini vestono abiti bianche come prova visibile della loro unione con Cristo. Il comandamento di coprirsi i capelli vale per le donne sposate, le vergini sono «genuine e immuni come in Paradiso. Dio ama la bellezza, in Paradiso non esiste la bruttezza.» Ribadisce l’altra badessa che noi viviamo sulla terra e il Paradiso lo riguadagniamo nuovamente e qui si interrompe il loro incontro. Esce vivido il senso della pratica separata del convento di Hildegard: un luogo dove il Diavolo – portato in scena da Volmar –  viene sconfitto dalla virginale comunità femminile, se Regina Umiltà, rappresentata da Hildegard, viene in aiuto, con il luminoso insegnamento, alle sue guerriere vittoriose, rappresentate dalla bellissima Richardis. La differenza femminile le imporrà in vecchiaia di dedicarsi alla predicazione, quando alle donne era vietato, scommettendo sulla sua  autorità, fondata sulla parola di Dio, sulla sua conoscenza, sul comando di “parlare” di quello che vedeva nelle visioni. E’ un film che sarebbe importante fare vedere  perchè rievoca una figura straordinaria  della storia, ancora poco, a quanto pare, conosciuta e che viene narrata con leggerezza, passione e compostezza da Margarethe Von Trotta, attraendo chi conosce la biografia di Hildegard e offrendo a chi non ne sa quasi nulla tutti i pezzi per ricostruire una potente identità femminile vissuta in tempi lontani. C’è la saldezza di una regista di lunga esperienza che ha dato attenzione e dedizione alle donne e che affronta la biografia di Hildegard Von Bingen senza tentennamenti ma anche senza celebrarla, chiudendola nella monumentalità, ma rispettandone invece l’umiltà con cui lei si imponeva al mondo, per andare oltre se stessa.

IN QUESTO SITO:

 Hildegard di Bingen di Marirì Martinengo