LIBRI, Recensioni, Hannah Arendt, Rahel Varnhagen. Storia di un’ebrea, Il saggiatore, 1988

by Donatella Massara on ottobre 13, 2014

Hannah Arendt, “Rahel Varnhagen. Storia di un’ebrea” Lea Ritter Santini (a cura di), Il Saggiatore, 1988.
La biografia di Rahel Levin Varnhagen (1771-1833) Hannah Arendt iniziò a scriverla nel 1930, dopo la sua tesi di dottorato sul concetto d’amore in Agostino svolta con K. Jaspers, nel 1929. Hannah Arendt aveva a disposizione il Diario di Rahel che era stato pubblicato alla sua morte nel 1834. Raccoglieva materiale e decifrava la calligrafia di Rahel e la sua originale scrittura nei documenti, lettere e note, dell’archivio Varnhagen.

Un fondo che era conservato alla Biblioteca di stato di Berlino e venne considerato distrutto dopo la guerra e la divisione della Germania. In realtà nel 1976 fu scoperta la conservazione dei materiali dell’archivio Varnhagen in Polonia, oggi sono a Cracovia, nella Jagiellònska Biblioteka. Nel 1933 Hannah Arendt lascia la Germania. Al libro mancavano due capitoli di chiusura. Come dice lei stessa nel 1958, quando il libro esce, questi capitoli li aveva scritti da più di 20 anni e «che mi sia decisa a tirare fuori il manoscritto fuori dal cassetto in cui, alla fine dopo varie peripezie, era felicemente arrivato, lo devo esclusivamente allo stimolo e al generoso aiuto dell’Istituto Baeck”. Il libro appare prima in traduzione inglese e dopo in lingua originale nel 1959. La filosofa aveva già pubblicato “Le origini del totalitarismo”, nel 1951, vari saggi di critica letteraria, “Vita activa” nel 1958. Grande merito per la pubblicazione lo riconosce alla sua segretaria Lotte Kohler (la si vede anche nel film di Margarethe von Trotta “Hannah Arendt”) che ricontrollò tutte le citazioni del testo.
A me questo libro piace moltissimo, l’ho letto ormai 25 anni fa e mi piacerebbe tanto rileggerlo, o che altre lo facessero. Mi piace per la scelta della personaggia, per l’ambiente dell’ebraismo, dell’Illuminismo e del Romanticismo tedesco in cui è collocato, per la freschezza, per le sue peripezie e anche perchè Jaspers, per lettera, criticò l’allieva, nel 1952, dicendole che non amava abbastanza Rahel, nè la interessava molto. Ma lei al “veneratissimo” maestro rispose schiettamente che aveva continuato a ragionare e discutere con Rahel come lei aveva fatto con se stessa. Aveva voluto raccontare la sua vita così come se fosse stata lei. Infatti scrive nella Prefazionedel 1958 che non aveva voluto «attribuirle poeticamente con pretenziose riflessioni, un destino diverso da quello che lei stessa coscientemente ha vissuto. «Rahel non era nè bella nè attraente e tutti gli uomini con cui ha avuto un rapporto d’amore erano più giovani di lei; la sua straordinaria intelligenza e la sua originalità appassionata non avevano doti a disposizione per riuscire a trasformare e oggettivare le esperienze vissute; e infine la sua è stata un’esistenza tipicamente ‘romantica’ e il problema femminile, il divario, cioè, fra quanto gli uomini ‘in genere’ si aspettano dalle donne e quanto possono dare e a loro volta attendano era già prefigurato nelle condizioni dell’epoca e quasi insolubile» La sua biografa parla di “biografia come autobiografia”. Segnalo allora la bellissima biografia della ex-allieva di Hannah Arendt alla New School for Social Research of New York Elisabeth Young-Bruhel, “Hannah Arendt (1906-1975). Per amore del mondo”, Bollati Boringhieri,1990 (in lingua originale 1982)

 

 

Rahel Levin Varnaghen