POLITICA DELLE DONNE, Testi. Intervista a Claudia Mizrahi

by Donatella Massara on novembre 5, 2014

Materiali per una storia della danza femminile, della ginnastica e del movimento. La Scuola Carla Strauss – movimento in movimento di Johanna Wollmann

INTERVISTA A CLAUDIA MIZRAHI

Introduzione

Intervista a  Johanna Wollmann

Intervista a Alessandra Signorini

Intervista a Karin Ullrich

Intervista a Ruth Eulenberger

Testimonianza di Rossella Majuri Meusel

Le testimonianze delle allieve della Scuola Carla Strauss

Sito Scuola Carla Strauss

 

D. Quali pensi siano state le radici culturali di Carla Strauss?

 

C. C’è uno spirito tedesco nel legame fra natura, anima, la ricerca del naturale e il ‘puro’ che ho ritrovato avendo poi lavorato per anni con loro, in modo diverso anche con Johanna. Nonostante il tempo ci sono dei capisaldi che girano intorno a questi dati.

 

 

D. E’ quello che Johanna chiama lo spirito di semplicità di Carla Strauss, di essenzialità, che nel rapporto con il corpo rimanda al gesto autentico.

C. L’essenziale nel senso che ti appartiene. Il gesto autentico e il gesto semplice che poi è semplice per te, perchè il semplice tuo non sarà mai uguale al mio. Ognuna/o deve trovare con la giusta armonia la propria semplicità e tutti i gesti saranno giusti perchè il gesto ti appartiene con una finalità che magari è lo stare bene è un parlare in modo più stretto di ginnastica o di rilassamento però tutti ci arrivano allo stesso modo. Questa semplicità va trovata da ognuno/a a suo modo. Non è facile perchè richiede di avere una certa coscienza, come allieva, del proprio corpo, del proprio essere. Però è insito in questa ginnastica accettare la diversità che, allo stesso tempo, va sempre a sfociare nel giusto. Non correggo sempre le posizioni sbagliate. E penso che questo modo di fare sia un rifarsi a quello che insegnava lei. Il movimento va cercato nel profondo, la radice di un movimento va cercato dall’interno, parte dal corpo. Non deve essere una forma. La forma sono capaci tutti di eseguirla. Devi metterci l’anima, così che scaturisca come un getto di fontana dal dentro.

D. Sono belle definizioni. Questa è la tua filosofia. O nasce dalla tua formazione?

C. Ma io credo tutte e due. Le cose a ventanni sono diverse che a cinquanta. Nel senso che metti insieme le tue esperienze e ragioni. Quello che è, è quello che ti sto dicendo, poi non so se questa sia la mia filosofia. Questo è quello che va fatto. Io credo che questo lavoro vada fatto in questo modo e l’ho capito dalla danza.
Io sono stata allieva della Scuola Strauss fin da bambina, perchè alla scuola ebraica abbiamo avuto per uno o due anni delle insegnanti mandate da Carla Strauss. Siamo negli anni ’70. Facevamo la ginnastica per bambini, quindi ritmica, a corpo libero. Sono ritornata da lei in via Brera perchè cercavo delle lezioni di danza e Johanna era da poco, forse uno o due anni, arrivata. Facevo il liceo e quindi era dal 1975 al 1977. L’ho seguita per tre anni fino alla maturità. Dopo di che avevo un forte desiderio di continuare, di andare avanti. Allora facevo stages, studiavo con Johanna e anche con un’altra insegnante, con cui facevo danza contemporanea. Johanna faceva jazz dance, per cui è buffo questo ritorno e per me è stata la cosa più bella. Lei quando le avevo espresso questo mio desiderio mi aveva detto “Vai”, mi aveva sostenuto. Allora mi ero avvicinata molto di più alla danza contemporanea. E così sono partita per Parigi. Sono andata a Parigi perchè a Milano non c’era assolutamente nulla. Non sapevo se, come alternativa, andare a New York o no. C’era la possibilità di scegliere fra due scuole, comunque ho accettato di fare l’audizione a Parigi e mi hanno presa al Centro Internazionale della danza. Era un percorso formativo molto completo che spaziava dalla danza contemporanea che era l’argomento clou, alla danza classica, di carattere, musica, composizione, coreografia, storia della danza e anatomia. C’era una ricerca del corpo in modo funzionale il “placement”, il piazzamento, per imparare a usare il tuo corpo con il minimo di sforzo e il massimo di rendimento, per fare meno fatica quando balli, per farti meno male. Anche quello era un giusto comportamento rispetto al tuo corpo. Tutto questo su tre anni con relativa crescita e spettacoli. Sono rimasta un poco lì a lavorare e poi sono tornata. Eravamo in tre italiane di Milano e abbiamo deciso di tornare perchè Parigi era inflazionata mentre a Milano non c’era niente. Parigi è piena di gente a un livello altissimo, noi eravamo medie. Avevamo 25 anni e nessuna di noi era a un livello eccelso per dire “resto qua e faccio strada”, quindi ci sembrava interessante tornare con il nostro bagaglio e creare qualcosa qua. Ogni volta che tornavo durante le vacanze, venivo a trovare Johanna e la signora Strauss. Andavo anche a lezione e l’ultimo anno Johanna mi disse, alla fine di un’ora, “Dai fai tu il finale” e la signora Strauss mi diceva “Dai finisci di studiare e poi torna da me”. Eravamo sempre in contatto e lei era molto interessata a quello che avevo scelto. Quando sono tornata con le mie amiche ci siamo dedicate pienamente allo spettacolo. Abbiamo creato una compagnia di danza “Trifase” e abbiamo fatto una decina di spettacoli. Non dico che fossimo le prime a fare danza contemporanea a teatro. Ma compagnie medie che facessero spettacoli di danza contemporanea non erano molte. Parlo di spettacoli che puoi vedere tutti i giorni o tutti i mesi, senza andare per forza alla Scala. Per esempio Pina Bausch i suoi due spettacoli li aveva fatti alla Scala. Gianni Valle aveva aperto le porte alle nuove leve di allora. E’ stato lui a istituire al Teatro di Porta Romana la rassegna di danza contemporanea italiana e estera. Noi avevamo quasi sempre fatto spettacoli al Teatro di Porta Romana (che adesso è diventato un garage). Era il 1986. Il teatro dell’Elfo e il Porta Romana collaboravano insieme. Gianni Valle era il direttore e si era dedicato a noi. Le coreografie erano nostre soprattutto di Cecilia Galizia. Collaboravamo anche con altre compagnie. Ballavamo su musica classica e contemporanea. I balletti erano quasi tutte storie. Uno per esempio era stato tutto montato sulle suite di Bach al violoncello. La coreografia era tutta improntata sulla personalità di Sonia di Dostoevskij in Delitto e castigo. Un’altra era su Dracula per la quale abbiamo chiesto la collaborazione con l’altra compagnia. Avevamo bisogno di pipistrelli. Poi un lavoro per la RAI. Era un periodo molto creativo. Infatti G. Valle aveva creato la rassegna a cui noi partecipavamo sempre. Ogni anno a aprile, c’era la presentazione delle nuove produzioni e poi le tourneè.

Al primo spettacolo la signora Strauss che ovviamente era stata invitata, venne. Veniva sempre, si metteva in terza fila e poi si presentava e devo dire che ha sempre apprezzato molto il nostro lavoro perchè partiva da una grande ricerca di movimento, era danza contemporanea ma sempre legata all’anima, nel senso che noi andavamo veramente a sviscerare, ad esempio in Sonia, il carattere e dal carattere a come potere tradurre, come fossero dei sottotitoli, un gesto rispetto a una personalità. E alla signora Strauss piaceva. Non era molto estroversa, diceva “Bello” e basta ma capivo molto bene, io sapevo leggere il suo giudizio, tant’è che dopo il primo spettacolo lei subito mi ha detto “Vengo a vedere una tua lezione”. Io già insegnavo ovviamente perchè eravamo all’inizio, non eravamo pagate. Dovevamo lavorare. Finanziare gli spettacoli. E così la signora Strauss è venuta a vedermi e mi ha detto “Sei libera il mercoledì mattina? Tre lezioni sono tue. Poi il lunedì e il giovedì sera inizi il corso di danza contemporanea, danza moderna”. Ho avuto un bel gruppo però è sempre stato quello. Non si è moltiplicato. Insegnavo in altri posti, in altri centri di danza dove è più facile che vengano delle persone. Intanto la compagnia si è sfilacciata. Dopo che ho avuto i figli, ne ho due, ho smesso di insegnare danza perchè gli orari non mi andavano più bene, succedeva che li portavo al nido e non li vedevo mai perchè la fascia oraria era dalle 6 alle 10 di sera. Gradualmente ho modificato il mio lavoro.

D. E qui hai avuto una formazione per la ginnastica

C. All’Accademia facevamo quello che ti dicevo prima che era chiamato placement, insegnato per la danza, ma valevole anche per la ginnastica. All’Accademia ci sono due indirizzi ci sono due indirizzi, quello pedagogico e quello di scena, in realtà tutte avevamo deciso di presentarci ai due indirizzi con materie aggiunte, come scenografia ma anche pedagogia per insegnare. Perchè tutti sappiamo che balli ma prima o poi devi insegnare. Tutta questa formazione mi aiutava anche a essere pronta a questo passaggio.

D. Immagino però che avrai anche studiato la ginnastica di Carla Strauss.

 

C. Il primo anno dovevo essere presente alle sue lezioni. Lei prima di introdurre un’insegnante, per almeno un anno doveva frequentare un suo corso, una o due volte alla settimana, poi si parlava insieme a lei, avevamo degli incontri e spiegava perchè aveva fatto questo in quel modo perchè un movimento in successione all’altro, perchè aveva usato tale attrezzo, perchè in quel mese dell’anno andasse bene avvicinarsi a questa attività. C’erano i bellissimi corsi di formazione anche con professionisti arrivati dall’estero, a settembre prima dell’inizio dell’anno scolastico. Erano altri tempi, era un’altra scuola, eravamo più insegnanti, molto più numerose, riuscivamo a organizzare degli stages anche per gli allievi. Questa preparazione nessun’altra scuola te la dava. A quei tempi ma neanche adesso. Non esiste in nessun’altra scuola questa cura, questa attenzione, per amore di quello che hai, di quello che crei, perchè hai a cuore che questa scuola vada bene e che noi siamo brave e che diamo il meglio di noi, almeno per lavorare bene, anche se ognuna di noi è differente.Vorrei dire che diversamente da altre insegnanti che hanno sempre insegnato solo qua, io ho insegnato in diversi posti, ancora adesso. La professionalità e l’alto livello di qualità di lavoro come si è sempre mantenuto qua, dal passato fino ad adesso, lo riscontri molto di rado. E questa è una cosa che mi appaga molto. Sai di lavorare in un posto serio, bello, affiancata a persone capaci, che vengono qui con una testa diversa da altri posti, con un interesse diverso. Io sono contenta di avere avuto questo percorso lavorativo. E devo dire che il mio percorso di lavoro che è partito da qua l’ho portato anche altrove. Ho lavorato e lavoro ancora in una palestra, dove ci sono attrezzi, macchinari, gestita però da una persona molto particolare, con un occhio molto attento a quello che c’è di ‘altro’. A parte che il luogo è strutturato in un modo diverso dalle palestre classiche. C’è una sala totalmente separata per tutto quello che è il lavoro mio o altre discipline come yoga, danza etc. Vedendomi lavorare, dicevano “sì è ginnastica dolce, chiamiamola così, però è Scuola Strauss”. C’è un occhio di riguardo al mio lavoro perchè giustamente non è una lezione di ginnastica.

 

D. Mi colpisce che lei Carla Strauss abbia progettato il suo metodo partendo da sé. E penso che questa capacità di partire dall’ esperienza, più che da quello che conviene per il mercato, sia molto artistico e creativo oltre che femminile. Ho capito che organizza i corsi per i bambini – creando la prima ginnastica per le creature sotto i sei anni – quando lei ha la figlia che è ancora bambina. Poi si occupa della ginnastica per anziani quando lei invecchia. E insegnava a ballare quando era giovane, anche se forse avrà lo stesso continuato a ballare.

 

C. E’ molto in sintonia con lei, con il suo pensiero perchè tutto il gesto ha comunque seguito esattamente tutto il suo percorso non personale ma fisico, ti adatti esattamente a quello che stai attraversando. E’ quello che è successo a me. Prima ho fatto danza, poi avevo i bimbi. La mia vita cambiava. E ovviamente cambiava anche il mio gesto, il mio impegno. Però hai anche voglia di essere allieva, hai voglia di svuotare la testa e di sbagliare e non stare attenta a delle cose a cui quando insegni, sai, devi essere attenta, non solo gli errori, ma cosa fai, come lo fai, quante volte lo fai. Io sono arrivata al flamenco un po’ per questo motivo. Banalmente, io volevo studiare qualcosa. Volevo riprendere a studiare danza. Mi andava bene anche di cominciare qualcosa di nuovo. E’ stato un poco casuale il flamenco, però mi andava bene. Vado a lezione, facciamo spettacoli, l’anno scorso abbiamo ballato al Carroponte. Questa è una mia passione. Facciamo ogni tanto delle serate nei locali.

 

D. Verrò a vederti. Tu riesci a vedere in questo ambiente così femminile una pratica, una politica, un’energia?

 

C. Io credo che noi donne abbiamo una sensibilità che è totalmente diversa da quella di un uomo. Questo fa sì che gestiamo una situazione in modo diverso, un po’ più di pancia. E’ vero anche che questa, appunto, non è una palestra. Una palestra la gestisce un uomo. Io vedo la palestra quadrata e qui c’è un tondo, c’è armonia e può essere gestito solo da donne.