POLITICA DELLE DONNE, Testi.Intervista a Ruth Eulenberger

by Donatella Massara on dicembre 18, 2014

INTERVISTA A RUTH EULENBERGER

 

Materiali per una storia della danza femminile, della ginnastica e del movimento. La Scuola Carla Strauss – movimento in movimento di Johanna Wollmann

Introduzione

Intervista a  Johanna Wollmann

Intervista a Alessandra Signorini

Intervista a Claudia Mizrahi

Intervista a Karin Ullrich

Testimonianza di Rossella Majuri Meusel

Le testimonianze delle allieve della Scuola Carla Strauss

Sito Scuola Carla Strauss

 


Lei quando è entrata alla Strauss?

 

Nel ’63, quando mia figlia Lucia aveva tre anni. Siamo venuti negli anni ’60 a Milano, ho fatto per tre anni la madre di tre figlie

Sono nata in Austria e ho vissuto lì, sono venuta in Italia, ho conosciuto mio marito, dopo un anno ci siamo sposati. Dopo la nascita delle mie figlie ho cercato lavoro, sistemandole in qualche maniera. Sono andata al Provveditorato e lì mi hanno inserita in un corso di ginnastica per le insegnanti che avrebbero poi insegnato educazione fisica ai bambini, però il mio diploma non era riconosciuto, io allora parlavo ancora molto male l’italiano, mi avrebbero anche dato una supplenza fuori Milano, ma io non ho mai voluto prendere la patente. Durante questa ricerca di lavoro proprio al Provveditorato mi avevano detto che Carla Strauss cercava sempre insegnanti stranieri che avessero una formazione come la mia. Così sono andata alla Carla Strauss, in via Brera.

In quel periodo lei era in Russia con alcuni amici ma anche per fare formazione. Perché lei è sempre stata molto di avanguardia, ha sempre avuto uno sguardo verso il futuro che è eccezionale, che ho sempre ammirato. In quei giorni la sua chinesiterapista Carla Vannelli la stava sostituendo a scuola e mi disse di fermarmi. Quando è tornata Carla Strauss mi ha tenuto in prova per un mese e poi mi ha fatto il contratto. Io insegnavo ginnastica normale ai bambini e alle bambine dai 3 in avanti e alle ragazze di 18 anni. C’erano però anche bambini difficili da inserire in una situazione collettiva, più di 15 non erano mai accettati. Facevo anche le supplenze quando mancava qualche insegnante. Poi avevo cinque classi alla Scuola Montessori, perché le due scuole erano in contatto. Così ho accettato di stare alla Strauss. Avevamo fatto dei corsi di formazione in Svizzera, Germania e non so più dove. Perché c’era questa formazione bellissima che facevamo d’estate a cui dedicavamo tutto settembre per digerire cosa avevamo appreso e per discutere cosa c’era di positivo e di negativo in questo metodi. Io ho sviluppato le classi correttive dai 15 ai 17 anni. Erano casi con malformazioni. A quell’epoca facevamo anche delle lezioni singole per persone che erano incapaci di inserirsi nei gruppi. Nel ’72 purtroppo è morta Carla Vannelli e Carla Strauss ha voluto che prendessi tutti i suoi corsi. Diceva che trovava un riscontro con la maniera mia di insegnare. In quel periodo c’era la mania delle scarpe ortopediche che venivano prescritte dai medici. E io dicevo al medico se le metta per un mese e poi mi dica se si possono ordinare le scarpe ortopediche a un bambino di tre anni. Noi invece curavamo con la ginnastica che veniva fatta senza scarpe o con scarpe molto leggere. Avevo delle classi che facevano il metodo Klapp che era molto faticoso e noioso, così facevo fare 10′ alle ragazzine di esercizi di autocorrezione libera e dopo facevano gli esercizi richiesti e questo piaceva. Poi ho cominciato, con delle ragazze che avevano delle malformazioni, a adattare la ginnastica jazz che era in evoluzione in quell’epoca. Avevo un pianista e un percussionista di accompagnamento e potevo regolare il tempo giusto per l’apprendimento di una classe. Ho cominciato così a fare della ginnastica jazz correttiva perchéavevo riscontrato la felicità di queste ragazzine. Facevano dei movimenti a ritmo di musica invece di fare giù, su, giù si facevano dei movimenti sciolti, concatenati, E’ tutta un’altra cosa. Ho iniziato a fare la ginnastica jazz nel 1972, 73 l’anno in cui Johanna è arrivata e faceva i corsi di danza jazz. La ginnastica dà gioia quando c’è lo stimolo giusto e l’ho proposta perché era dentro di me. Sono stata fortunata perché riuscivo a inculcare in queste ragazzine che ‘il muoversi’ è una cosa bellissima. Un esercizio dipende sempre da come lo faccio. Non basta dire vado in quella direzione, non basta un gesto dovuto, annoiato, obbligato perché la mamma o un medico l’ha ordinato. Io parlavo di gioia del movimento, e questa è la base di tutto quanto.

 

 

Che rapporto c’è fra la danza e la ginnastica?

 

Una buona ginnasta sa danzare. Carla Strauss era ginnasta, però aveva questa arte di applicare la ginnastica non come un esercizio. Era un movimento. Le mie lezioni erano danza allo scopo di migliorare un atteggiamento, questo vale per tutti perché non so chi non abbia una deviazione.

 

 

Come è proseguita la sua carriera?

 

Gli insegnanti di un certo valore mi hanno sempre detto che i miei allievi si muovevano in un modo che si vedeva, per le basi che gli davo. Era dentro di me, questa peculiarità, senza che me ne rendessi bene conto, però quando ai formatori dicevo che ero piena di dubbi, loro mi rispondevano di stare tranquilla che i miei allievi si conoscono da un chilometro. Quando è arrivata Johanna ci siamo divise le allieve e io presi le principianti. Perché io apprezzo molto la sua fantasia per le coreografie, io faccio delle composizioni di passi ma devo ripetere tante volte fino a che funziona, io voglio che funzioni, sono del parere che in una lezione ci debba essere un tot di ripetizione senza annoiare. Quando è arrivata Johanna ci siamo fatte questa divisione. E’ stata una collaborazione magnifica. Dopo l’80 ho avuto l’infarto, sono stata malissimo, ma mi sono curata quasi da sola, non sono andata in ospedale e sono stata curata da un ottimo cardiologo però ho dovuto ridurre la mia attività.

 

Qual’è stata la sua formazione?

 

Sono arrivata nel ’45 mi sono trasferita da Vienna Linz sul Danubio. A me piaceva suonare il pianoforte e cantare e avevo una discreta voce, che ho perso con la palestra. Mia mamma mi disse “ci possiamo permettere il tuo studio se tu mi fai i lavori di casa, perché io con questi soldi potrei pagarmi una domestica”. Devo dire che eravamo sei fra fratelli e sorelle, eravamo una famiglia grande. Mi sono iscritta a canto e pianoforte ma al Conservatorio mi dissero una cosa che non sapevo che ci volevano due anni di ginnastica per avere il diploma di insegnante e dopo potevo fare tre anni di danza moderna con il metodo Cladeck. Convinta che era quello che volevo fare mi iscrissi a pianoforte, canto e ginnastica. Per la ginnastica mi chiesero un mese di prova. Mia mamma protestò che non aveva tutti quei soldi. Era appena dopo la guerra e mia mamma aveva sempre fatto la casalinga. Comunque il mio maestro dopo 15 giorni chiamò i miei genitori per dirgli “questa ragazza ha un estremo talento, la vedo poco come insegnante di ginnastica però è ottima come danzatrice, se lei frequenta fra due mesi va nel gruppo di danza da camera” che faceva – in tuta nera – danza moderna per il Conservatorio. Normalmente le allieve venivano prese dopo i due anni di studio. Ho fatto un salto. Ora lì c’era un teatro dove passavano gli spettacoli che poi venivano lanciati a Vienna. Questi impresari passavano dal Conservatorio per trovare delle allieve promettenti. C’era inoltre la loro prima ballerina che veniva da noi a fare lezione di danza classica. Io ho fatto tutti e due corsi. Così sono stata un anno a scuola e poi mi hanno chiamato al teatro per fare le sostituzioni. Era tutta danza classica. E le mie giornate erano piuttosto impegnative perché la scuola durava dalle otto di mattina fino alle tre di pomeriggio, le lezioni erano molto impegnative, poco scritto, ma molto movimento. Dopo tutte queste ore facevo le prove al teatro e se avevano bisogno io saltavo dentro, però quando arrivavo a casa dovevo fare i lavori, li ho fatti per un anno poi mamma ha avuto pietà. Mi aveva vista una volta in uno spettacolo e mi disse “ma sei un’altra”. Dopo sono stata ingaggiata, non c’era questa distinzione rigida fra danza classica e moderna. Il mio ideale erano Mary Wigman che come tipo di danza assomiglia molto a Carla Strauss, c’erano lei e A. Kreuzberg, a quei tempi che erano bravi e facevano i solisti. Ho fatto un seminario con questo ballerino che era molto famoso da noi. E lui era piccolo, ma me ne sono accorta quando è venuto nella nostra classe, perché sul palcoscenico sembrava un gigante, tanta era la sua grandezza di movimento. Il suo è stato un grande insegnamento, perché ci faceva solo camminare, una semplicità straordinaria, perché dopo abbiamo capito che cosa vuole dire movimento, il modo di camminare, solo lui ci ha fatto vedere che cosa voleva dire. Alla fine della lezione si è visto il cambiamento. E’ diventato il mio ideale. Quando io vedo una persona cerco di inquadrarla e quando vedo una possibilità nel suo corpo cerco di svilupparla, è lì che lavoro. Anche l’umore di una persona in un movimento deve cambiare, non può restare indifferente. L’allieva indifferente da me non può esistere. Questo lo diceva anche Carla Strauss. Se con una persona non vi trovate a vostro agio mandatela via la manderemo altrove, questo mi diceva. Si faceva questa selezione perché aveva capito che l’insegnante lavora più libera, se lavora in un modo suo che può sviluppare. Questa è una grande lezione. L’unica cosa che mi è dispiaciuta con Carla Strauss, e vorrei dire, è che nel 1997 sono andata a trovarla e quando siamo state sole, ci siamo abbracciate, l’ho sentito che non l’avrei rivista più. Non sono riuscita a superare questo momento, ho avuto una lotta dentro di me, e ce l’ho ancora, perché è stata una persona che mi ha capito, che mi è stata a fianco, che mi ha aiutato, non che ci si vedesse tutti i giorni, ma quando c’era qualche cosa che non andava ci si chiariva e questo l’ho apprezzato moltissimo. Allora questo addio per me è stato ricchissimo e dolorosissimo, tanto che non sono riuscita più a tornare alla scuola, forse questa mia reazione non è stata capita. Questa è la prima volta che riesco a avere un approccio di nuovo, perchè le cose si sono chetate, ma sono ancora commossa.