LIBRI, Testi Maria Meli, “Pigghiàti carta e pinna e scrivìti”

by Donatella Massara on dicembre 30, 2016

ARTICOLO DI FRANCA FORTUNATO PUBBLICATO SUL QUOTIDIANO DEL SUD IL 22.12.2016

IL NATALE  … CHE NON C’E’ PIU’

UNA VOLTA … a Vibo Valentia,mia città natale, il Natale iniziava dall’Immacolata, quando  si cominciava a preparare il presepe. La costruzione del presepe – come scrive la ricercatrice Maria Meli nel suo libro “ Pigghiàti carta e pinna e scrivìti” – era una vera arte e una vera festa per le bambine e i bambini.  Si costruivano alcuni monti ed in basso si poneva la capanna fatta di pietre, corteccia d’albero, sughero o carbon fossile. I monti si rivestivano di muschio per dare l’idea del verde e si spolveravano di farina o di polvere di gesso che fungeva da neve. Facevano da sfondo rami di mirti, di aranci, di mandarini, di pini, di palme, di fichi d’India artisticamente intrecciati; tutta questa frutta che ornava il presepe si consumava la sera dell’Epifania, quando il presepe si smontava. Vi si combinavano gruppi di cartoni dipinti con case, chiese e campanili. Nei giorni che precedevano il Natale, ovunque il mercato si popolava di venditori ambulanti che portavano dolciumi, torrone di diverse qualità come quello di Soriano, fatto con miele, ghiande o noccioline americane, quello di Bagnara, fatto di mandorle e frutta candita e quello locale di zucchero e di mandorle abbrustolite, detto <croccante>. E poi portavano  i <mastazzola> di Soriano fatti con farina, mosto e miele, ai quali davano forma di dame, cavalieri, cuori ecc. e li ornavano con pezzetti di carta stagnola argentata e dorata. I bambini e le bambine cominciavano a giocare al <casteju> (castello) o a                     < scifuleja>  ( scivoletta). Nel gioco del < casteju> si mettevano a terra tanti castelli – tre nocciole come base ed una sopra le altre – quanto erano quelli che giocavano. Si tirava a sorte. Chi era preferito dalla fortuna lanciava per primo una nocciola più grossa, detta< faju>  e cercava di far precipitare i < castej> e quanti ne faceva cadere tante nocciole prendeva. Il gioco della < scifuleja > si svolgeva su una pietra o su una tavola o pavimento inclinato.                Si lasciavano scivolare le nocciole una dietro l’altra: chi toccava le nocciole sparse con la propria le vinceva tutte.                                  All’alba del sedici dicembre aveva inizio la Novena, gli zampognari giravano per le strade buie del paese suonando il pastorale. Alla vigilia di Natale nelle strade si friggeva fino a tarda ora e si preparava una tavola sontuosa. Si friggevano <i zippuli >, frittelle fatte con farina impastata e uva passa, ripiene di tonno o di acciughe,  <i hjauni>  formati da una sfoglia a mezza luna ripiena della cosiddetta  < ciciarata>, cioè da una crema fatta di ceci bolliti passati a setaccio, mista poi a cioccolata, zucchero e uova frullate. Si preparavano poi i fichi <mbuttiti>. Si sceglievano i fichi migliori, li si aprivano a metà e li si riempivano di noci, di mandorle e qualche pezzetto di buccia di arancia o di limone per profumarli, sopra si metteva < a cumpagna> cioè un altro fico aperto che copriva quello di sotto. Poi li si spolverava di zucchero, di vaniglia, di cannella e li si disponevano < a crucera >, cioè a forma di croce oppure li si infilavano in canne delle quali si legavano le estremità per dare loro una forma circolare,                         <i curujcchi>. Il tutto veniva annaffiato da buon vino e da liquori.              La sera le portate a tavola dovevano essere tredici ed escludevano in modo assoluto la carne. Di solito come primo piatto si mangiava pasta con i broccoli, poi baccalà fritto e stocco < a’ ghiotta> con olive, capperi, pomodoro e tanto pepe rosso. Seguivano le diverse qualità di pesce, poi i broccoli all’olio crudo o < stranghiati>, cioè soffritti nell’olio misto ad aglio e le zucchine gialle o la zucca, che si friggevano e si mescolavano in una salsa piccante fatta con aceto, foglie di menta ed aglio. Seguivano le diverse qualità di frutta, dai finocchi alle noci, alle nocciole, alle mele, ai mandarini, al melone bianco. All’avvicinarsi della mezzanotte, incominciavano gli spari e le campane chiamavano                i fedeli in Chiesa. Nelle case si illuminava il presepe, si coprivano, con una tovaglia di lino o un’ asciugamano, le mani del più piccolo o piccola della famiglia e vi si poneva sopra il Bambino. I familiari formavano una processione e, con una candela in mano e al canto di < Tu scendi dalle stelle >, giravano le stanze e poi si riponeva il Bambino nel presepe. Si metteva qualche soldino nelle mani di chi aveva portato il Bambino in processione. La mattina dopo le note delle cornamuse si spandevano nell’aria. Erano gli zampognari. Avevano la barba incolta, i capelli lunghi, le scarpe  di pelo, i berretti di lana in testa. Bussavano di porta in porta e nessuno si rifiutava di dar loro qualche moneta.                                        Natale era arrivato ….