Su You tube II sentiero dei draghi

by Donatella Massara on settembre 16, 2018

 

IL SENTIERO DEI DRAGHI: UN FILM

 

Un film è un’esperienza artistica e nello spazio di due ore ci fa partecipi di un punto di vista che prima non c’era. Da questa radicalità di esperienza non è possibile tornare indietro, anche se il film lo dimenticheremo. Un film non rilascia dichiarazioni roboanti, non sistema il giudizioso sapere per spiegare il mondo in cui viviamo. Mostra invece una comunicazione di immagini, di parole e di senso che prende esistenza nel momento in cui la percepiamo. Il significato è aperto.

“Il sentiero dei draghi” di Milli Toja, uscito in questo 2018, come gli altri della sua serie fantasy è un’opera delicata, poetica, tenera e comica. Una comunità femminile parla di sé ma facendo un passo laterale, invece di affrontarsi direttamente davanti a uno specchio, ricostruisce se stessa attraverso una sovrimpressione di due realtà. Sono questi livelli spareggiati che mettono in moto i legami più invisibili. La favola nomina esplicitamente quello che non vediamo. Lia, la Madre della Comunità delle donne, che vivono nei boschi, e Elinor, la Regina delle Elfe, che domina beatamente in un’altra dimensione, esprimono la forza dell’eros delle donne come esempi attivi dell’autorità femminile. Siamo di fronte all’autorità femminile, quell’oscuro oggetto del desiderio delle donne, che c’è ma fatica a dirsi in prima persona. Il film autorizza a pensarsi fuori dal tessuto connettivo che appartiene alla logica della quotidianità, e l’autorità femminile che esiste nel mondo ha qui un’autocoscienza che stiamo ancora aspettando che ci venga raccontata dalle sue interpreti nel mondo reale. L’autrice invece gli dà rappresentazione, è una figura dell’amore. Infatti quel qualcosa che tiene insieme le storie che Milli racconta è la traccia dell’amore fra donne, dell’eros, del “costant craving”, la brama costante, come canta KD Lang nella sua canzone.

Ho scritto un saggio “Non solo Lword. La comunità femminile fra immaginario e realtà nel cinema, nel teatro e nella letteratura delle donne” (in “Riflessioni critiche sul femminismo contemporaneo” a cura di Rossella Pisconti, Limina Mentis, 2014) per spiegare anzitutto a me stessa come fosse rappresentata la comunità femminile. Ma sento il bisogno di tornare a pensare alle opere di Milli, mia amica, mia regista, donna che sostengo e stimo perché voglio dire che è l’amore il motivo più interessante dei suoi film, la dismisura del coinvolgimento amoroso fra le donne, le “cattedrali di luce nel cuore” (B.Lauzi) che smobilitano le oggettivazioni scontate. “Ma esiste poi un amore aggettivabile? Filiale, sororale, amicale, coniugale, passionale-ogni aggettivo sembra togliere qualcosa alla misteriosa complessità dell’amore” (Margherita Giacobino, “Ritratto di famiglia con bambina grassa”, 2015 e book pos. 2868). L’amore ha le sue congiunzioni astrali fatte a volte di amicizia, altre di sensualità, di autorità e rispetto, ma sempre sono ostinatamente rivolte a riprodursi.

Le storie di Milli sono ben girate, ben raccontate, ben montate. Tutto questo non basterebbe a estrarle dal filone in cui modestamente vanno a mettersi: il fantasy. Non per deprezzarlo, ma per non ripiegare queste storie dentro a un genere, collocazione che può essere anche fuorviante, penso che siano assai di più e stiano oltre i generi. Nonostante sia proprio in questa costruzione fantastica che Milli prende l’ispirazione per scrivere e poi per girare e dirigere un notevole cast con la sua troupe. È una scelta che anzitutto va rispettata. Il fantasy è un genere pregevolissimo come abbiamo visto nella saga del “Signore degli anelli”, però non lo capiscono in molte e molti che pensano non li riguardi, perché sono adulti e prima ancora di vederlo sono convinti di annoiarsi. Mi capita che due amiche che non frequento mi dicano che le relazioni fra donne le annoino. Tacitamente questa affermazione vuole dire: mi diverto più con gli uomini. Nella mia esperienza c’è una narrazione della vita che ho ricevuto da mia madre, le mie nonne, dalle scrittrici della mia infanzia con cui ho sempre fatto i conti, accettandola o rifiutandola magari distanziandomene. Poi nel movimento delle donne ho trovato la grande scommessa di darci le parole dell’esperienza nel momento in cui la stavamo vivendo. Ho capito che cosa c’è “fra la pelle e l’anima” (Paola Molgora “Drago alato”). E abbiamo costruito un pensiero, indipendente. Infatti con quel discorso pensato abbiamo criticato la scienza, la letteratura, l’arte, la storia, rigenerandole, non solo per noi donne.  Non abbiamo certamente avuto il tempo di annoiarci. Nei film di Milli c’è questa relazionalità di donne che non si annoiano perché corre fra di loro la tensione dell’amore per le altre, per il progetto di comunità, per la politica, per una donna. È la dismisura di quest’amore che chiede di essere raccontata alterando il principio di realtà, armando la fantasia che attraversa il reale non per nasconderlo ma per dargli una visibilità inedita.

Alcuni film buoni o meno buoni hanno uno sguardo romantico che li conduce alla storia d’amore dove la relazione fra donne ha una traccia che, a volte, è quasi insostenibile: è la copia della coppia eterosessuale. Lo sguardo ironico di Milli non si è mai adeguato a questa rappresentazione, nei suoi film ogni scena d’amore è sempre assolutamente comica. Però c’è e non si può non farci i conti. Non è possibile non vedere l’eros, non sentirsi coinvolte e pensare anche solo per un attimo, mentre ridiamo di cuore, che non è mai troppo tardi per dire: in questo racconto “voglio esserci anch’io”.

Mi dispiace che queste pellicole, alle quali partecipo dal 2010, ma che Milli sta girando da decenni, non abbiano un corso riconosciuto nei festival. Qualcosa fa ostacolo. Certamente c’è della incompetenza da parte di chi li organizza, una mancanza di autonomia, uno sguardo non abituato a vedere se non attraverso immagini diciamo di ‘repertorio’. Non aveva questi pregiudizi Luki Massa, precocemente scomparsa, che aveva proiettato l’opera di Milli nel festival da lei fondato “Some prefer cakes”. Ci è stato detto che questi festival privilegiano le pellicole straniere. E mi è anche stato detto che questo avviene perché in Italia di donne che fanno cinema -dove si parli delle relazioni fra donne- non ce ne sono. Ho parlato dei film che facciamo con Milli, già proiettati negli anni passati, appunto. Ma non ho più ricevuto parola. Mi auguro che qualcosa cambi.

L’opera di Milli non ha certo bisogno di una mia difesa. Voglio dire però che questo punto di vista sui titoli stranieri preferiti nei festival italiani mi ha richiamato la mia adolescenza. Quando facevo le medie, eravamo tutte donne, e ascoltavamo la musica italiana. Poi sono andata al liceo e è esploso il fenomeno beat. Sono arrivati i Beatles e con le amichette, accompagnate da mio padre, andammo al concerto dei Rolling Stones, allora poco più che ventenni, al Palalido. La musica italiana non esisteva più. Ignoravo allora i bravissimi musicisti italiani, penso alla Scuola dei cantautori genovesi, di quelli, fra noi adolescenti, si salvava Fabrizio De Andrè. A stento riconoscevamo ma con diffidenza una grande Caterina Caselli, ci piaceva Nada ma non avremmo mai comprato un suo disco, era impossibile sottrarsi al fascino di Patti Pravo, ma nessuna lo diceva.  Forse non c’entra molto, anzi non mi piace paragonare i film di Milli a “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, quando lei stessa da vecchia hippy adora la musica pop dai Deep Purple a Kate Bush, però ho il sospetto che nelle giurie dei festival delle donne ci sia, fra gli altri, anche un atteggiamento esterofilo. Guardare all’estero non è solamente un sano sguardo aperto oltre casa propria è, anche, accettare un fenomeno di mercato. Il circuito dei festival si palleggia i titoli, accettandone alcuni e ostentandoli mentre ignora molti altri. Purtroppo in questo modo ci troviamo di fronte una tappa bruciata che viceversa darebbe una visibilità più ampia, una recettività critica, un’apertura di dialogo che sollecitando la creatività di altre produrrebbe nuove opere. Le idee quando ci sono vanno discusse, fatte girare, messe in parola e immagini.

“Il sentiero dei draghi” il film di Milli Toja presentato in prima visione nel 2018 è ora disponibile sulla rete. Su You Tube trovate l’intero film in 12 episodi di 10’ https://www.youtube.com/playlist?list=PLTMwSJbQkNDp8OhKgzQA7KBYed7aSgSaT

L’intero film è su Vimeo https://vimeo.com/253386273segnalato, come tutti gli altri film di questa regista, sul sito della Galleria delle donne Sofonisba Anguissola http://www.galleriadelledonne.org