Politica delle donne, Testi, Comunità di storia vivente di Milano, “La spirale del tempo. Storia vivente dentro di noi”, Moretti & Vitali, 2018

by Donatella Massara on gennaio 29, 2019

di Donatella Massara

Comunità di storia vivente di Milano, “La spirale del tempo. Storia vivente dentro di noi”, Moretti & Vitali, 2018,  libro distribuito agli inizi di quest’anno. La Comunità di storia vivente accoglie alcune donne impegnate nella ricerca sulla storia soggettiva, è stata promossa nel 2006 da Marirì Martinengo già fondatrice della Comunità di pratica e riflessione pedagogica e di ricerca storica. Questo libro attinge, rielaborandole, con lo sguardo della storia vivente, alle storie personali delle autrici, nasce da una profonda riflessione collettiva durata anni. I racconti non sono quindi semplici spunti autobiografici ma nascono dall’incontro con altre, mirato, attraverso la relazione politica, a fare uscire allo scoperto, per metterlo in parole, il nucleo più resistente emozionalmente, quello condizionante lo svolgimento nel tempo, della nostra storia.
Il libro mi è piaciuto veramente molto. Consiglio di non farselo sfuggire. Anche se la veste grafica è poco attraente, fa pensare a un noioso lavoro politico che magari non abbiamo voglia di leggere. Invece è brillante come un romanzo. E c’è da ringraziare Luciana Tavernini per l’amorosa e attenta lettura dei testi. Giovanna Palmeto, a questo proposito, riconosce a Luciana Tavernini “la sapiente e generosa cura con cui ha saputo porsi con lei in relazione di ascolto, confronto e riflessione”. Ci sono scritti come il suo e quello di Marie-Therese Giraud che sono dei gioielli preziosi ricavati parola per parola da una confessione con se stesse che solo  la presa di distanza da sè hanno fatto diventare una riflessione da cui imparare, apprendere, cercare la mediazione per storie nostre magari molto differenti. In questa differenza da un’altra che si è resa disponibile attraverso percorsi interiori meditati, ho visto la nascita del pensiero, della riflessione che ci fa capire di più il mondo in cui siamo vissute e viviamo. Prendo una citazione di Simone Weil dallo scritto di Giovanna Palmeto perchè mi ha colpito particolarmente proviene da “La prima radice”, testo che conosco bene e il cui senso è  bene concentrato in questa frase: “La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto, che le è subordinata […] C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia a intervenire”. Mi riconosco in questa frase ampia. E’ questa vibrazione che ha a che vedere con l’erotismo, con la nostra vita passata, con la corrispondenza di amorosi sensi. Ma a volte non ci si sceglie, il vedersi e stare in relazione accade. Nella vita vera non c’è preferenza, come in una classe, una sala da ballo, un concorso. Credo nel lasciare che l’accadere avvenga senza pilotarlo con le convenienze. La ‘preferita’ suona come una scelta fredda, razionale, volutamente ‘cattiva’ che seleziona. E questa selezione la si subisce e la si esercita. Non mi piace. Quindi ognuno di questi racconti lo accolgo. Non ho preferenze. Ho ammirato e capito molto dai racconti di Marie Therese Giraud e Giovanna Palmeto. C’è nei loro racconti quella consonanza di soggettivo e oggettivo, che cita Laura Minguzzi da Chiara Zamboni, la nozione hegeliana di coincidenza di astratto e concreto. Io la chiamo capacità di giudizio sintetico, di legame semplice. Lo vedo in quei racconti precisi, che ho citato, ricchi di legami, dove fatti e valutazioni cadono insieme, come quando la punta della matita sul foglio disegna con una minima pressione i segni della mente. Non amo le troppe spiegazioni, l’intrigo delle identificazioni, chiamare una situazione per spiegarne un’altra che in quella starebbe nascosta. La biografia riguadagnata nel ricordo, nell’analisi, nella mossa di un’altra che ricade su di noi, quando avviene, in un’apertura, lascia posto a chi legge per lavorare di suo. Il racconto di Marirì Martinengo mi ha dato il respiro di un tempo e di una società di relazioni che mi hanno incuriosita. Il racconto di Laura Modini lo conoscevo già, l’avevo ascoltato letto da lei e mi aveva emozionata. La scrittura mi ha tolto quel di più di partecipazione, adesso penso che gli occorrano molte più parole. Ecco leggere mi ha dato la certezza che il suo racconto chiede di essere approfondito, proprio perché esca tutta la sua grandezza femminista. Il racconto di Laura Minguzzi mi ha fatto entrare dentro un mondo di cose, luoghi, azioni, movimenti. Anche la sua storia già conoscevo, la morte di sua madre ancora mi ha commossa. Questa volta il fantasma di sua madre, che non ho mai visto in fotografia, ha preso le fattezze di Domitilla Colombo. L’ho vista a teatro recitare “La sposa di Ade”, proprio poche ore prima di leggere il racconto di Laura. Domitilla ha recitato un lungo monologo dove racconta la storia, le probabili emozioni, i possibili pensieri di una giovane sposa, abbandonata dal futuro marito, il giorno delle nozze, che, con indosso il suo abito bianco si getta, in quello stesso giorno, dal balcone di viale Monza a Milano. È una storia realmente accaduta su cui l’autore, Danilo Caravà, nipote della sposa mancata, ha lavorato, dissotterrando il ricordo che lo ha accompagnato fin da bambino. Ecco per me la madre di Laura è diventata quella sposa in abito bianco di seta, con le scarpette d’oro che la bella amica Domitilla ha interpretato.

Necessarie mappe dei concetti che trasferiscono senso politico alla storia vivente in Milagros Rivera Garretas e in Marina Santini. “La storia vivente è quella storia che continua a vivere dentro di noi” così l’ha definita all’origine Marirì Martinengo, inventrice di questa pratica che è stata raccolta da Milagros Rivera Garretas, se una è la madre della storia vivente l’altra è la sua madrina. Intenso il testo di Luciana Tavernini che approda, dopo una lunga narrazione su sua madre, suo padre e lei stessa, al concetto di trasformazione della necessità in libertà. Questo è il senso dell’agire delle nostre madri. Riprendono le storie con il gruppo di storia vivente di Foggia, aperto da poco tempo ma già pronto a raccontare per coinvolgere chi legge. Dopo che le amiche della Comunità di storia vivente di Milano ci hanno fatto strada, illuminando le braccia della pianta della vita dove trasferiamo i nostri ricordi, molte storie si avvicinano a comporre il quadro del fare comunità.

Dopo la recensione al libro della Comunità di storia vivente, “La spirale del tempo” qui pubblicata aggiungo alcune considerazioni alla luce delle osservazioni suscitate, in questi giorni, dalla mia recensione. La prima è stata quella di Daniela Pellegrini, femminista storica che ha ricordato, in risposta alla mia recensione al libro sulla storia vivente, che l’autocoscienza, secondo lei, è stata abbandonata, commettendo un grande sbaglio, alla fine degli anni ’70. Altre osservazioni hanno sottolineato che il libro vuole spingere la storiografia a cambiare, mettere fine al monopolio maschile, non solo raccontare storie negate. Le  osservazioni di Laura Modini, Luciana Tavernini, Marina Santini, Giovanna Palmeto, Marie Therese Giraud e Anna Potito, fra le autrici del libro, sono state invece di apprezzamento oltre che di gratitudine. Loretta Meluzzi, Paola Elia Cimatti, amministratrici con me della pagina Facebook La Biblioteca femminista, hanno comprato il libro, dicendosi, la prima, d’accordo con me che il libro “muove e ‘smuove’ “, e la seconda interessata per essere stata autrice di racconto autobiografico.

Alle prime osservazioni faccio presente che l’invenzione femminista, l’autocoscienza (la self rising consciousness, come la chiamarono le americane), negli anni ’60 e poi ’70, generò un’onda rivoluzionaria teorica, pratica, epistemologica. Avvenne uno slittamento importante nella vita di molte donne. Passammo  dal parlare ‘sulle donne’, al parlare di noi stesse insieme alle altre. Spiega bene questo passaggio, mettendolo in atto nella costruzione del suo libro, Gisella Modica in “Come voci in balia del vento”, Iacobelli, 2017. Dal femminismo e dalla pratica politica che avevamo inventato, la storiografia, oltre che la politica, ricevettero un forte colpo. Una rottura del muro di silenzio, appunto. Quella rottura di cui con molta passione ha parlato Carolyn G. Heilbrun (il cui alias è Amanda Cross) in “Scrivere la vita di una donna” La Tartaruga, 1990. E’ un’autrice che, come Donne di parola (www.donnediparola.eu) ci ha ispirato un radiodramma. Carolyn G. Heilbrun spiegò come furono le poete femministe americane, negli anni ’50 e ’60, quando iniziarono a parlare di sé, a rompere la complicità con il pensiero maschile, rivelando aspetti taciuti della vita delle donne. E racconta che lei stessa, docente universitaria, sulla loro spinta, trovò la forza, più tardi, negli anni ’70, di parlare, mettersi allo scoperto, rendendo pubblica, come avevano fatto quelle poetesse, la storia personale raccontata oltre i quattro muri della propria casa. Il muro di silenzio è già caduto. Ora, se dice Milagros Rivera Garretas, una delle autrici del libro, che questo non sarebbe avvenuto per ciò che ci riguarda più visceralmente, ciò sarà anche vero. Per lei, almeno. Sento però necessario riconoscere da dove partiamo, l’origine, una origine almeno. E poi definirci dentro a questa orizzontalità della storia femminista che esiste da almeno cinquant’anni. Ora che (la storia vivente) serva a raggiungere finalità di redenzione dell’intera storiografia a me per ora non  interessa. Voglio però pensare al passato, dove ci sono esempi di come la storiografia abbia taciuto su aspetti sostanziali per la cultura occidentale. F. Nietzsche nel 1881 inizia a scrivere “Così parlò Zarathustra” testo celebre e forse uno dei più diffusi anche fra chi non ha mai studiato filosofia. L’ho riletto, in questi giorni, perché Zarathustra è “il danzatore”. E sono interessata alla storia della danza. Mentre rientravo in un libro, che, rispetto a quando ho preso la laurea in filosofia ha perduto, per me, la inattaccabilità del capolavoro, mi sono trovata a pensare “Ma questo è il libro di un omosessuale”. Non una grande scoperta. Liliana Cavani, nel 1977, aveva fatto il film “Al di là del bene e del male” sul triangolo fra Paul Ree, Nietzsche e Lou Andreas Salome. Ma io mi sono riaccostata al libro di Nietzsche, pura, come lui voleva, per un desiderio innocente. Ho visto uno che non può dire quello che veramente è o è stato, magari nella sua infanzia. Sublimare vuole dire questo? Oppure se Nietzsche avesse fatto tesoro della storia vivente, magari in segreto, oggi non avremmo davanti a noi un capolavoro della filosofia di cui sappiamo veramente poco. Allora che la storia vivente continui e continui e continui ancora, è giusto. Ma il muro di silenzio non copre solo la storia vivente, nel senso di quella che Nietzsche magari non ha mai raccontato. Io penso che abbiano rotto il muro di silenzio tutte e tutti quelli che hanno scritto le bellissime biografie di donne. C’è un muro che nasconde le storie straordinarie che la storiografia maschile ignora. Studio la storia della danza, come ho detto, e ho scritto un libro su Carla Strauss, una grande rivoluzionaria delle pratiche della ginnastica, partita dalla danza libera di Isadora Duncan, per arrivare a inventare un suo metodo di ginnastica dolce rivolta soprattutto al corpo femminile. Carla Strauss non è presente nelle storie della danza, della ginnastica, e delle pratiche del corpo. È ignorata, nonostante abbia fondato la sua scuola, scritto decine di libri e sia stata una personaggia carismatica, apprezzata da allieve, mediche, artiste. La storia va così perchè la ricerca storica, oggi, viene fatta soprattutto, non più negli archivi ma nel passaggio di contenuti, dove i soggetti nominati sono quasi sempre gli stessi. La ricerca asseconda il canone, deciso da chi ha il potere di pubblicare. Voglio ancora citare proprio perché mi ha molto colpito, una grande danzatrice Ida Rubinstein (1885-1960) ormai sconosciuta anche forse a chi di danza si occupa. Fu lei stessa una protagonista, a Parigi scelta da Djaghilev,  per ballare in coppia con Nijinsky.

Ida Rubinstein promosse spettacoli, in cui oltre a essere lei interprete, coinvolse, ispirò e finanziò decine delle menti più creative del suo tempo. Nacque grazie a lei, uno dei pezzi più conosciuti della storia della musica. Il Bolero di Ravel. Scritto per un suo spettacolo. Su lei c’è un muro di silenzio che ha dell’inspiegabile. Rotto appunto da alcune donne e uomini che hanno seguito le sue tracce e rimontato, con i cocci, la sua storia. Mi sono accorta che come la intendo io la ‘storia vivente’ ha la potenza di entrare e di scorrere dentro le storie personali e di rileggere le storie di altre. Ma discutendo con Luciana Tavernini e con Marie-Therese Giraud  mi hanno convinta che è bene tenere la storia vivente per quello che è. Per rispettare il punto di vista che ho guadagnato attraverso “La spirale del tempo”,  per il quale la ricerca storica non sia semplicemente storia delle donne, potrei chiamarla: una storia partecipata. Questa storia invita a fare ricerche su chi non ha più parola, e su ciò che ci riguarda e continua a vivere per noi. Fare comunità, una grande comunità, penso sia la direzione verso cui muoverci quando il pensiero, la politica e l’agire femminile diventano sempre più forti. Fare comunità vuole dire per me avere riferimenti, stimoli, pensieri non omologanti ma che facciano da comune riferimento alle donne. Fare comunità contro ogni forma di isolamento, di solidarietà populista o di valorizzazione generica di concetti come la sorellanza, il doppio femminile dell’idea maschile di fratellanza.