Cinema Recensioni Politica delle donne: “WIFE – Vivere nell’ombra”

by Donatella Massara on febbraio 6, 2019

“WIFE. Vivere nell’ombra” è il film uscito nel 2107, nell’ottobre 2018, per la distribuzione italiana, è diretto da Bjorn Runge, un regista svedese, ma è interpretato da Glenn Close, sceneggiato da Jane Anderson che ha elaborato il romanzo di Meg Wolitzer statunitense, (1958) figlia della scrittrice Hilama Wolitzer. La sceneggiatrice  ha poi riscritto il suo testo teatrale “The Mother of the Maid” (La madre della serva) del 2013, dove racconta la storia e la relazione fra Isabella e sua figlia adolescente che è Giovanna d’Arco, debuttando nel 2018 con protagonista Glenn Close. Jane Anderson è sposata con una compagna. “Wife” è dunque un film diretto da un regista ma con una presenza femminile così protagonista alla quale possiamo dire che lui ha reso un buon servizio. Il romanzo è stato pubblicato in traduzione italiana da Garzanti nel 2018 con lo stesso titolo del film ed era uscito in lingua originale nel 2003. La storia di “Wife” è piuttosto nota. Joan è la moglie di uno scrittore che ha vinto il premio Nobel. Il film parte dall’annuncio del ricevuto premio per spostarsi quasi subito a Stoccolma dove sono ambientate quasi tutte le scene del prima e dopo la cerimonia della premiazione, fino a quando lui muore e lei ritorna in USA con il figlio. La vera scrittrice è lei ma per comune decisione, in tutti questi anni, la coppia aveva deciso che lei sarebbe stata il ghost writer e  lui pubblicamente lo scrittore. Lei in trent’anni ha passato otto ore al giorno a scrivere, lui, scrittore poco riuscito, già professore di letteratura a Yale, si è speso a cornificarla, creandole occasioni di narrazione, e tutto quello che faceva erano le revisioni. Il motivo per cui lei gli ha ceduto così in fretta l’identità pubblica è che, dopo i primi tentativi di scrivere, era stata avvertita da una scrittrice che i suoi libri come donna sarebbero stati meno letti che se fosse stata un uomo. La sua passione di scrivere (perchè chi scrive non lo fa mai per pubblicare) e anche i successi e i guadagni che incassano insieme hanno mantenuto il patto attivo per trentanni, fino a che davanti al Premio Nobel, lei non regge più e decide di lasciarlo. Ancora una volta lui, vecchio e malato, si era fatto distrarre da una bella fotografa con 50 anni meno di lui. Non è successo nulla fra i due ma a Joan è bastato il sospetto. C’è qualcosa che va molto oltre la gelosia. Il film quindi si gioca su questi passaggi psicologici, sulla verità nascosta, che chi guarda conosce, ma su cui continua a dubitare, sui doppi ruoli, su come le cose spesso non sono come sembrano ma guardando più da vicino, oltre le convenzioni, possono essere anche viste per come sono. Un film giocato quindi prima di tutto sulla grandezza della recitazione della protagonista, di Glenn Close, già nominata per numerosi premi, fra cui l’Oscar, e, anche della sua spalla, l’inglese Jonathan Pryce. Lui è un marito superficiale che continua mangiare e sfodera vecchie battute che solo l’aura che alita intorno a chiunque sia nato per destino con i cromosomi XY e si autodefinisca di successo può rendere credibile. C’è poi l’abilità di chi ha romanzato la trama, la scrittrice, e poi di chi, partendo da lì,  ha sceneggiato il film. Il regista è riuscito a giocare sulle riprese, distribuendole fra chi è il protagonista di facciata e chi questa facciata la costruisce veramente nell’ombra. Per tutto il film siamo tenuti sulle porte della verità che la coppia custodisce. Fino a che c’è l’esplosione e la copertura va in mille pezzi. Quando lui fa i consueti ringraziamenti alla moglie, definita “la sua coscienza” lei inizia a chiudere il patto. Glielo aveva detto “non ringraziarmi pubblicamente, almeno non farmi passare come la povera moglie che sta umilmente al tuo fianco”. Ma lui non può non fregiarsi di questa possibilità, non può non stare nelle convenzioni. E’ una vanità a cui non può rinunciare. Perché lui ci crede che senza di lui lei non avrebbe trovato di che scrivere. E’ l’estrema presunzione maschile di chi pensa che la propria vita ‘forte’ ispiri chi scrive. Come se non vivessero, tutte e tutti, quelle e quelli che non sono morti. Ma tradurre in parole ‘la vita’ è una grande fatica, e ancora più faticoso è uscire dal piacere di scrivere per farsi pubblicare e al sommo della scala delle difficoltà c’è accettare che non tutte e non tutti siamo dotati della stessa intelligenza, sensibilità e degli stessi poteri davanti ai soldi, ai premi, alle edizioni. 

Il film racconta una storia che può sembrare, oggi, inverosimile. Un altro film “Big Eyes” di Tim Burton descrive invece la vera storia di Margaret Keane, che negli anni ’50 dipingeva i quadri dei bambini con gli occhi grandi che erano attribuiti al marito Walter. Nel 1958 Margareth raccontò la verità, i due ex coniugi finirono a processo perché lui non voleva riconoscerla e non voleva darle i soldi incassati. Alla fine la pittrice ebbe ragione sulle pretese dell’ex marito.