Donne e conoscenza storica

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Ampi stralci dall'Introduzione a
Le amiche di Dio

Riporto queste pagine dil Luisa Muraro chè commentano un fatto di cronaca nera, l'assassinio di una donna dopo un rapporto sessuale fallito, simile al finale del film In cerca di Mr. Goodbar.
Inoltre fate attenzione al ragionamento di Luisa Muraro che si applica a quella che chiamo 'la filosofia dell'inizio'. D.M.

La verità offende
di Luisa Muraro
(sta in La folla nel cuore, Pratiche, 2000 pag. 52-54 e in Salti di gioia (con il titolo Un fatto di cronaca nera) in AA.VV., Femminismi, Stampa Alternativa, 1996)

I giornali di non so che giorno di dicembre, subito dopo Natale, hanno dato la notizia dell'uccisione di una giovane donna del Camerun, e dell'arresto del suo assassino, reo confesso, un giovane di vent'anni, italiano. Questa la ricostruzione dei fatti: il ragazzo, un militare di leva, doveva rientrare in caserma, ma aveva un paio d'ore di tempo e decise di occuparle con un rapporto sessuale a pagamento. Si recò in auto su una strada dove sapeva che trovava donne che facevano quel mercato e contattò la giovane del Camerun ( non la chiamo prostituta perché di molte straniere si ignora se si prostituiscano liberamente). Si appartarono nell'auto in campagna e tutto poteva finire com'era cominciato, piuttosto miseramente, senonchè lei volle commentare le prestazioni sessuali di lui. Che cosa disse? Non si saprà mai, ma sappiamo, dalla reazione e dalla successiva confessione, che il commento fu poco lusinghiero. Secondo i poliziotti che hanno raccolto la confessione subito dopo l'arresto, il ragazzo, ancora coperto del sangue della sua vittima, in un solo punto avrebbe dato segni di turbamento, nel riferire il giudizio di lei.
La sua reazione fu violentissima; si avventò sulla donna per ucciderla con le mani, lei fece un tentativo di fuga chiamando aiuto ( le sue grida furono udite dall'abitante di una casa non lontana, da dove partì la chiamata della polizia) ma lui la riprese, per caso trovò sul terreno un coccio di bottiglia e quella diventò l'arma del delitto. Poi la fuga in macchina, il ritrovamento del corpo di lei da parte della polizia, la caccia, l'arresto e la confessione.
Questo è ciò che si poteva leggere sui giornali. Il racconto sta in piedi, non presenta risvolti oscuri da romanzo giallo, la cronaca è sostanzialmente completa. Ma il racconto stesso non è completo e la verità resta nascosta, né i frettolosi commenti dei cronisti sono di qualche aiuto. Senza pretendere di arrivare alla completezza e tanto meno alla verità, indicherò le direzioni in cui si dovrebbe indagare.
Dentro di sé per cominciare. Dentro di me si è formato subito un pensiero molto preciso: "Io non avrei mai detto a un uomo che…" E completato con un anzi: "Anzi, qualche volta ho mentito in proposito". A questo punto il corso dei pensieri si divide. Da una parte ci chiediamo come mai quella donna inerme abbia osato sfidare la tremenda suscettibilità maschile in fatto di potenza sessuale. Veniva dall'Africa e forse nel suo paese la virilità non è così fragile e violenta come da noi, o non così dipendente dal giudizio femminile. Dicono che avesse lasciato l'Africa da poco: non aveva avuto il tempo di capire quello che in realtà i suoi clienti italiani le chiedevano, essere confermati nella loro virilità? O non dobbiamo piuttosto supporre che, pur avendolo capito, avesse deciso che questo servizio non fosse compreso nel prezzo? Troppo basso il prezzo e troppo alto il servizio…Anzi, troppo basso il prezzo e ancor più basso il servizio. Forse, non c'erano soldi che potessero pagare la sua rinuncia alla sincerità, e qui il pensiero torna alla civiltà dell'Africa nera e alla forza di cui si dice che siano dotate le donne di quel continente. Non tutte, suppongo, ma tutte, forse, rispetto alla debolezza delle donne occidentali in proposito.

L'altro filo dell'indagine riguarda, appunto, la verità del rapporto fra i sessi nella nostra cultura. Non intendo la "verità" esterna della psicologia o della sociologia o di altra scienza, intendo il dirsi della verità nel rapporto fra i sessi. Cosa molto difficile e direi quasi inaudita e inconcepibile. Nessuna donna di mia conoscenza (se escludiamo la protagonista di Orgoglio e pregiudizio) se lo propone come un traguardo nella relazione con un uomo. E' sbagliato? Non lo so. Ma non posso non pensare a Ipazia d'Alessandria, la filosofa neoplatonica che insegnò nel celebre Museo e che nel 415 fu assassinata da un gruppo di cristiani faziosi. Ebbene, un discepolo s'innamorò di lei, ma in maniera eccessiva. La maestra tentò invano di guarirlo con la musica, finchè un giorno lo affrontò con una pezza delle mestruazioni: << Guarda, giovane, quello che ami: non è niente di bello>>. Questo fatto e l'intera vicenda di Ipazia, li conosco da un libro erudito e appassionante Ipazia d'Alessandria, di Gemma Beretta. Il discepolo rinsavì. Ipazia sapeva dire la verità del rapporto fra i sessi. Per uno strano caso, ella fu trucidata con la stessa arma usata contro la povera ragazza del Camerun: dei cocci. Ed era anche lei africana! Che cosa voglio dire? Che ci sono singolari rispondenze fra le due storie, come se una fosse venuta a ricordarci l'altra e a farci misurare le conseguenze del magistero interrotto della filosofa alessandrina.

Una domanda ingenua: la giovane donna ha detto la verità al suo cliente? La risposta, secondo me, è sì, altrimenti non sarebbe morta. Le modalità dell'uccisione indicano che lui voleva ucciderla a tutti i costi. D'altronde, non aveva nessuna intenzione di farlo, non era infatti quel che si dice un perverso o un maniaco: la sua furia omicida fu scatenata, dunque, dalla verità. C'è un detto popolare che vale un libro di filosofia: la verità offende. Le parole o la mimica di lei avrebbero potuto, chissà, liberarlo dal fantasma della sua virilità inferma, avere cioè un'efficacia terapeutica. Ma ci sono terapie troppo forti che uccidono il malato. Questa, ha ucciso anche il medico, perché era una terapia relazionale; anche Ipazia ha corso quel rischio (e, alla lunga, non ha evitato la stessa fine cruenta).
Ma per avanzare in questa indagine, bisognerebbe, di nuovo, partire da sé, un sé maschile, questa volta, un sé che sappia misurare il problema di una virilità insicura, quali fantasmi faccia nascere. Io riesco solo a immaginare che il ventenne fosse impreparato alla verità (chi non lo è) e che questa, di conseguenza, si sia tradotta per lui in un imprevisto e spaventoso attacco a un "bene" senza il quale la sua vita si sarebbe perduta in un caos di miserabili macerie. E' terribile quando la cosa per noi più importante, indispensabile, si trova a essere minacciata dalla verità, il che temo capiti più spesso di quel che crediamo. Sarà per questo che le nostre esistenze sono tanto faticose? L'unica via d'uscita sarebbe che ci arrendiamo e cediamo il nostro "bene", ma è umanamente possibile, quando esso viene custodito da potenti fantasmi come la Vergogna, il Disprezzo, l'Ansia, la Paura?