Donne e conoscenza storica
     

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Articolo in Il Manifesto su Anne Aghion

Festival del Cinema Africano 13 ed. 2003

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Vai al sito del Festival Cinema Africano 14a edizione a Milano il programma è in costruzione


Festival Cinema Africano 14a edizione 2004 a Milano
di Donatella Massara

I Premi alle registe: Na cidade vazia, Maria Joao Ganga, Angola, 2004
di Marina Santini

Gacaca, revivre ensemble au Rwanda (2003) di Anne Aghion

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PREMI

Concorso lungometraggi
3° Premio Ministero Affari Esteri,
4.000 Euro
NA CIDADE VAZIA
- Maria Joao Ganga
- Angola/Portogallo

Motivazione
“Per aver raccontato, attraverso un approccio sincero e stupito, il contrasto tra lo sguardo fiducioso del bambino sul mondo, e la realtà che prende il sopravvento”

Premio "Citta di Milano" del Comune di Milano al lungometraggio più votato dal pubblico,
5.000 Euro
NA CIDADE VAZIA
- Maria Joao Ganga
- Angola/Portogallo

Motivazione
Il pubblico ha votato i lungometraggi del Concorso Finestre sul Mondo, esprimendo il proprio giudizio su apposite cartoline distribuite all¹entrata delle sale cinematografiche.

Concorso cortometraggi

1° Premio COE,
5.000 Euro
DEUX-C ENTS DIRHAMS
- Laila Marrakchi
- Marocco

Motivazione
“Per la straordinaria fotografia e per il modo brillante in cui racconta una storia semplice ma significativa sulla vita e sulla solo apparente casualità del destino. In quindici minuti la regista riesce a sviluppare la trama e, in una struttura perfettamente circolare, riesce a passare attraverso tutte le fasi della
narrazione”

Concorso documentari Africa

3° Premio Timberland,
2.000 Euro
WALKING BACKWARDS
Caroline Deeds
- Ghana/UK

Motivazione
“Per l’intensità lirica di un viaggio all’indietro, personale e storico, in un paese che vuole cambiare il proprio destino”





L'esperienza del Festival del cinema africano non significa certo stare sedute in una sala buia a vedere film di grazioso contenuto etno-antropologico. Dopo tre giorni di visioni il motivatissimo popolo della sala e l'educatissimo popolo dell'organizzazione hanno l'aspetto già lievemente triste e stressato, nonostante il festival sia riuscito bene e la presenza sia alta nelle quattro sale in cui si svolge. A coronare i primi tre giorni assistiamo al documentario di Anne Aghion sul Rwanda - tema speciale di questo 14° Festival.
Gacaca, revivre ensemble au Rwanda (2003) di Anne Aghion regista e produttrice esperta di mondo arabo, documenta l'esperienza di riconciliazione fra le etnie in un piccolo villaggio. Il gacaca è un processo a cielo aperto nel quale prigionieri e vittime in presenza di un giudice accusano e si difendono. Con una instancabile civiltà, seguendo la pratica processuale dell'epoca pre-coloniale raccontano davanti alla cinepresa in mezzo a uno spiazzo sotto le piante millenarie gli orrori capitati, denunciano, accusano un essere presente dell'assassinio di fratelli, figli di pochi anni, raccontano stupri, furti, violenze gli altri si discolpano, come possono. In alcuni casi confessano esplicitamente e sottolineano la perfetta coscienza del male agito, non potendo sottrarsi all'obbligo di esecuzione. Colpisce la presenza femminile, le donne sono rimaste più sole e più numerose degli uomini, alcune lucide partecipano al processo, al gacaca, le altre che chiudono il documentario raccontano il loro malessere con parole difficili, la sofferenza psichica negli occhi di chi ne ha subite troppe, undici figli uccisi, probabilmente ancora bambini, dice una donna, accovacciata nella sua capanna <<ed è come se fossi stata sempre sola, come posso tenere ancora qualcuno fra le braccia?>>
Il processo continua nei bar, nei ritrovi degli uomini; questa gente è incuriosita, cerca di mascherare il legittimo interesse per la cinepresa che li distrae, forse contribuisce a valorizzare il loro impegno, al limite dell'assurdo; diventano attori di se stessi e trovando le parole per dire il male che hanno subito. La regista è esterna a questa rappresentazione che si snoda sempre tenendo in primo piano i suoi soggetti, la geografia appena accennata di un paesaggio rurale, ordinato eppure che ci comunica l'idea di un pericolo reale, perchè già avvenuto.
Ecco una donna che ha contravvenuto all'interrogazione sulla propria storia, così urgente nel cinema delle registe. Un preziosissimo segno della differenza che aiuta a smitizzare la storia, a desituarla dove non ci aspetteremmo di trovarla.
Nel documentario di Anne Aghion non troviamo tutto questo, eppure sentiamo l'appassionata presenza della ragione femminile politica. Le donne ruandesi hanno a disposizione un occhio che le mette in evidenza - senza privilegiarle agli uomini - e noi vediamo che c'è un 'dio' delle donne che ne ispira la ragione, l'autorità, il giudizio politico.

Gli uomini in sala hanno strane reazioni, invece: un giapponese che fino a ieri si aggirava con l'aria gentile e attenta, mi passa letteralmente sui piedi, travolgendo le mie cose senza lasciare che mi sposti, un altro durante la proiezione vedo con la coda dell'occhio ogni tanto mi osserva, fa cenni con la testa, come se si sentisse responsabile in prima persona, un giovane nei corridoi chiede insistentemente alla ragazza che gli sta di fianco se non le sembrasse <<carino >> (!!) il film che avevano visto, spero non si riferisse a questo film.

Le registe presenti alla rassegna concorrono o presentano 32 opere fra cortometraggi e lungometraggi su un totale di più di un centinaio di film.
The journey of a queen di Viola Shafik (Egitto-Germania, 2003) racconta la storia di una testina di legno raffigurante la regina Tiye. La regista, dottorato in filosofia, descrive attraverso interviste, letture la storia archeologica della statua attualmente al Museo egizio di Berlino.

Kuxa Kanema (O nascimento do cinema), (Mozambico-Portogallo, 2003) di Margarida Cardoso racconta in un interessantissimo documentario la nascita e lo sviluppo del cinema mozambicano durante la rivoluzione socialista del Frelimo e la fine di questo cinema dopo la morte sospetta del presidente Samora Michel caduto con l'aereo in Sudafrica. I filmati di quei dieci anni giacciono, oggi, in un luogo abbandonato e diroccato, quello che resta degli stabilimenti di una cinematografia, nel 1991, ulteriormente demolita con l'incendio della cineteca nazionale. Molti sono i filmati d'epoca inseriti nel documentario, vediamo il presidente e le domande reiterate e enfatiche con cui si rivolgeva direttamente al popolo; probabili alti funzionari del partito in giacca e cravatta ballano in fila un ritmato rap contro il capitalismo; Jean Luc Godard progetta la disseminazione delle cineprese nei villaggi mozambicani, rese per un uso alternativo e autonomo della informazione, a donne e uomini che non avevano mai visto neanche una fotografia.

Walking backwards di Caroline Deeds (Ghana-UK, 2004). E' un ritorno della regista fra le donne della sua famiglia, la nonna che è stata una grande oratrice, diceva le preghiere di rito e apriva i comizi di N'Krumah. presidente durante gli anni della liberazione del Ghana.

Tanger, le reve des bruleurs di Leila Kilani (Marocco-Francia, 2002) con uno stile molto più vicino al cinema della finzione che del documentario la regista insegue gli uomini e una donna di diversa provenienza africana che vivono a Tangeri nei pressi del porto in attesa di imbarcarsi clandestinamente verso la Spagna. Mette in evidenza il desiderio di queste persone di andare, di superare il confine per entrare nella società occidentale dove esiste il benessere. La sfida con se stessi è il motivo conduttore del film che risulta appassionante più che semplicemente informativo.

Being Pavarotti - Project 10 di Odette Geldenhuys (Sudafrica) riprende il motivo del desiderio, della sfida maschile. In questo caso il modello è un uomo in carne e ossa, Luciano Pavarotti arrivato attraverso i cd a Ermano in Sudafrica, un paese sul mare dove d'estate arrivano piccole balene e i turisti affascinati accorrono a osservarle. Ragazzini di dodici, tredici anni sono gli epigoni scrupolosi del tenore, ne imitano la voce e cantano in italiano O sole mio e La donna è mobile aspettando che i turisti li ricompensino e i maestri di musica ne scoprano i talenti.

Il tema dell'indagine sulle proprie origini ritorna in altri film di registe note come Frédérique Devaux (Entre deux rives, Francia, 2003) di origine algerina che nasce in Francia da madre francese e padre algerino. il padre abbandona i figli francesi e si rifà una famiglia in Algeria. Solo alla morte del padre la regista può cercare di capire le sue scelte. Il film-documentario si snoda tra le campagne povere e le voci delle donne (zie, parenti del padre) che raccontano chi era, e voci e volti dei fratelli francesi e di altri immigrati privi di radici: un fratello avrà problemi psichici dovuti a questo suo non sapere chi è (religione, tradizioni, lingua, padre)

Ancora il tema delle origini in Belonging - Project 10 di Minky Schlesinger e Kethiwe Ngcobo (Sudafrica, 2003). Le due donne sono una regista e l'altra interprete del documentario. Kethiwe figlia di esuli sudafricani, vissuta per molti anni a Londra, oggi giornalista free lance alla tv, è tornata con un figlio a vivere in patria con la madre e le sorelle. Ha un figlio di pochi anni ed è sola, intenzionata a crescerlo senza un uomo. La situazione in cui si trova a vivere è complessa; mentre analizza, in una lunga autocoscienza, le sue relazioni con gli altri e le sue esigenze, scopre la scontata assimilazione alla cultura occidentale e -allo stesso tempo- il bisogno di rientrare profondamente nella sua etnia. E' immergendosi dentro a questo rapporto materno che arriva perfino a ripetere la cerimonia zulu tradizionale con la lancia e il gonnellino. E' una cerimonia di cui la madre le rivela il grande significato: ricevere il laccio che tiene il figlio legato al suo corpo simboleggia l'ingresso nella tribù. Oltre la tradizione il rito vale per il bambino e per lei, ritornata adulta fra la sua gente.

Los rubios di Albertina Carriè è un film molto profondo, impegnato anche nella scelta stilistica. E' stato a mio parere il film più bello fra quelli che ho visto in concorso nella sezione lungometraggi, racconta la storia della regista, figlia di genitori comunisti imprigionati e uccisi durante la dittatura dei generali.

Il titolo, che significa alla lettera I biondi, sta a indicare l'estraneità di quella famiglia che abitava un comune quartiere. Albertina ritorna con la sua troupe a interrogare i vicini di casa e gli amici e le amiche dei genitori dopo più di ventanni. Questa gente che li vide sparire e mai più tornare li ricorda come biondi, anche se Albertina non lo è per niente e così lei dice non lo era sua madre. Per questo l'attrice a metà film indossa una parrucca bionda. Insomma l'immagine reale nella memoria si è sovrapposta a quella della fantasia fino a cambiarne gli attributi fisici di queste persone ricordate come 'altre', diverse. Il film non conclude e rimane aperto, si muove fra la messa in scena di come si svolge il film e l'inchiesta sui genitori di Albertina. Un' attrice impersona Albertina, la vediamo provare la parte e assumersela durante le riprese delle interviste. C'è un continuo scambio fra verità e finzione che non è mai veramente tale, fra testimonianze dirette e riflessione della regista-attrice. L'effetto di questi spostamenti è straniante fino a sollevarci l'ansia della tensione pure mantenendo il clima di partecipazione emotiva. Il tema del film sono i ricordi che a poco a poco diventano un discorso razionale finchè anche noi che guardiamo e ascoltiamo possiamo comprendere, condividere, accettare la grande sofferenza che la regista ci mette davanti.
(vai alla recensione al secondo film della regista, presentato al Festival di Cannes, 2005: Geminis)

Na cidade vazia, Maria Joao Ganga, Angola, 2004
di Marina Santini

Il film della regista angolana è un film costruito bene: ho pensato subito che potesse ottenere, almeno per quanto riguardava il pubblico, un riconoscimento: ha tutti gli ingredienti, un bimbo protagonista, un po’ di politica –guerra, indipendenza, missioni bianche-, il viaggio di scoperta dal villaggio alla città.

Il bambino protagonista è reduce dalle violenze della guerra e orfano dopo i massacri avvenuti nel suo villaggio; non si adatta alla carità delle missionarie bianche (attente e preoccupate, ma che presentano pur sempre un ordine) e cerca una propria strada, scopre la città e i suoi pericoli. C'è la metafora dell’Angola che si vuole svincolare dalle protezioni, anche quelle a fin di bene, dei bianchi e cerca se stessa. Il bambino incontra altri come lui, poco più grandi, ma già troppo cresciuti per le esperienze vissute, adulti che poco si prendono cura di loro se non per sfruttarli come un anziano pescatore che lo accoglie con una vita più semplice, lontana dalla confusione e dai bassifondi della città.

Le prove, ad opera di alcuni ragazzi di una scuola, di una rappresentazione teatrale, che mette in scena un episodio dell’indipendenza angolana si alternano e scandiscono la vita del bambino e la sua scoperta del mondo, fino alla uccisione finale dell’eroe.

Bella la scena finale con il protagonista che dovrebbe mettersi in salvo fuggendo: si affaccia sul vuoto della tromba delle scale e spaurito per il gesto c inconsapevolmente appena compiuto, ritorna sui suoi passi, andando incontro alla morte, come l’eroe dell’indipendenza. Le speranze finite di una generazione, che si affaccia sul vuoto.

La regista è della generazione dell’utopia, e il film mostra la delusione per un’Angola diversa non realizzata. Si sente il senso di colpa della generazione adulta nei confronti dei bambini che avrebbero potuto essere la nuova Angola e che sono invece completamente privi di speranza.

Di femminile nella regia?? Non so… Forse il fatto che in tutto il film non ci sono giudizi negativi sulle persone; della prostituta un ragazzo dice: "Vedrai alla fine ti aiuta. Aiuta tutti..", anche il giovane che metterà in atto una rapina –quella fatale per il bimbo- quando lo incontra si presta ad aiutarlo a costruire i suoi giocattoli, senza un secondo fine…

 

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