Geminis
di Albertina Carri, Argentina, 2005
di
Donatella Massara
Geminis
di Albertina Carri, presentato quest'anno al Festival di Cannes è il
secondo film di questa regista, portato in Italia in occasione di una rassegna.
Mai presentata nei circuiti nazionali dei cinema questa regista è molto
stimata dalla critica internazionale. E' abbastanza giovane, è molto seria
e ha lavorato nella precedente pellicola Los Rubios a una trama dove rientra
sotto fiction nella sua storia.(vai a Festival del cinema
Africano ed. 2004)
Argentina di nascita e di formazione, non lascia possibilità
di sfuggire al contesto storico in cui è vissuta la sua famiglia. In Los
Rubios immagina che una regista, che non è lei a interpretare, ricerchi
i luoghi dove sono vissuti i suoi genitori fatti sparire. Sono 30.000 le donne
e gli uomini, in qualche caso anche i bambini, scomparsi fra il 1976 e il 1983
durante il regime di Videla.
Los Rubios (I biondi) sono loro,
così li ricordano chi viveva vicino alla loro casa, segnalando una diversità,
un'alterità che confonde nella memoria i tratti della realtà. Così
si sente chi era in Argentina in quegli anni, ammutolito e con i ricordi confusi
alla paura e al senso di colpa per non avere capito cosa stava succedendo sotto
una delle più feroci dittature mai avute in Sud America.
In
questo nuovo film che ha già lasciato il posto al nuovo film che Albertina
Carri intende girare, La Rabia, la regista che è anche co-autrice
della sceneggiatura, lavora su un registro complesso. Per sua stessa ammissione
al centro del film c'è la figura della madre ma questa donna che vede e
perde la memoria è anche l'Argentina.
La
prima scena del film è un piano sequenza che riprende la casa dove vive
la famiglia di Lucia, la madre. La macchina da presa attraversando varie aperture,
fra muri divisori e l'anticamera, affiancando le lunghe tende bianche di una finestra,
entra in una camera da letto dove c'è la madre. I colori sono luminosi
e freddi nella penombra di una casa lussuosa. Lei è una donna bella non
più giovane, la madre di un figlio che si appena sposato in Spagna e sta
per ritornare con la moglie e di due figli più giovani, quelli che sono
ancora chiamati, i bambini. I due adolescenti sono una ragazza alta e scura con
gli occhi azzurri e un ragazzo biondo con gli occhi scuri e, anche se improbabili,
come dice il titolo, sono gemelli. A differenza dei gemelli di The Dreamers,
non hanno particolari interessi che li attraggano e uniscano - i due protagonisti
di Bertolucci vivevano nel '68 e amavano il cinema terreno di comunicazione e
di gioco che incide profondamente sul film. I due adolescenti di Carri, a differenza
di quelli di Bertolucci, si scambiano poche battute e non precisamente memorabili.
Notiamo Jere (Jeremias) che dice a Meme (Magadalene) "Ti sei fatta molto
carina". E' il primo taglio della distanza che avvicina, Meme si sente guardata.
Il vedere
è quindi anche in questo film il centro della tensione e dell'attrazione
esercitata dal film, affatto spostata su qualche cosa d'altro, come sullo schermo
di Bertolucci era la Cineteque National di cui i due sognatori erano assidui frequentatori,
né sul cinema di cui erano virtuosi conoscitori. I due sono protagonisti
solo di se stessi e perché c'è chi li spia, altrimenti chi riempie
la scena famigliare è sempre e solo la madre. Vedere, in Geminis,
è un movimento dell'occhio che penetra, coglie particolari, scorre sopra
alle cose creando un materiale utile più per chi ama interpretare un film
piuttosto che leggerlo. E' un vedere per forza di cose occasionale e rubato. E'
un vedere che, tuttavia, cattura noi che guardiamo e ci fa complici, nostro malgrado,
del clima di trasgressione.
Come già nel film di Bertolucci,
anche qui è difficile resistere all'attrazione seduttiva di due adolescenti
che si amano, per di più protetti, abbracciati dalle pareti della casa,
grembo caldo che trattiene invece che respingere e fare uscire all'aperto. E anche
noi che guardiamo siamo chiamati e coinvolti nello spettacolo, raccolti nella
sala buia a rifletterci nel gioco erotico di due che sembrano essere due parti,
due di una cosa una. Un amore impossibile che non finisce mai, un amore assoluto
fra due uguali per età e per peso di una reciproca attrazione. Il simile
conosce il simile e non si lascia distanziare. L'incesto fra i due, in realtà,
è consumato in una discoteca e non in casa dove si festeggia il matrimonio
del fratello, e li spinge al 'disastro' annunciato, una dose di ecstasy che i
due sposi novelli offrono l'una alla cognata e l'altro al fratello.
Il
film prosegue gettando questo rapporto senza parole e preoccupazioni fra la normalità
della famiglia. Un'altra figura lacera la serenità della ripetizione che
incalza i membri della famiglia, è la donna di servizio, Olga, sospetta
di avere una figlia nuovamente incinta a 15 anni, probabilmente per colpa del
padre. Un incesto vero o immaginato, non importa come sia, la spiegazione è
che avviene perché la madre è fuori casa a lavorare e non può
vedere. Non è così per i due gemelli che si amano proprio perché
la madre, in un certo senso, li può vedere; loro condividono la stessa
vasca per l'idromassaggio, la stessa sdraio, sono ostili allo sguardo materno
e imperturbabili, come fossero invisibili alla centralità materna che è
anche autocentralità. Gli altri membri della famiglia perseverano nello
stare ai margini, artefici di poche battute bastanti a identificarli. L'unica
che fa concorrenza alla madre è la giovane spagnola, anche lei introdotta
in una famiglia nuova; la magrissima e disinibita sposa accetta il falso rito
nuziale, in realtà già avvenuto, organizzato nella fazenda
dei nonni per fare contenta la suocera. Indossa per l'occasione il velo e la coroncina
di fiori con cui l'altra si è sposata e finisce in lacrime, insopportabile
a se stessa dentro alla farsa di una festa di nozze, lugubre e rituale. Altra
figura è il fratello grande, Ezechiele, che ha visto e scoperto l'incesto,
denso di un dolore e di una gelosia che anticipa la scena della scoperta da parte
della madre.
Lucia è uscita per incontrare un'amica, dimentica
a casa i disegni che vuole mostrarle, ritorna e non può non accorgersi,
mentre li cerca per la casa vuota, origliando dietro una porta, che i due gemelli
stanno facendo all'amore chiusi in una stanza. E' una scena atroce quella della
madre che apre la porta e vede. Una scena lunga e pericolosa del tutto appoggiata
alla bravura di questa famosa attrice argentina. E' lei a cui è affidato
impersonare la madre colei che in casa occupa il posto di tutti gli altri, che
interpreta il senso definitivo di quello che avviene in famiglia, quella che ha
il discorso appropriato in ogni momento. Per non essere come lei, per non riuscire
a assomigliarle non c'è che la marginalità totale di questa sessualità
che esplode, ai margini dove, a quanto pare, è anche acconsentito che ci
sia. Perché dunque questa autorizzazione implicita se il dramma esplode
prima e dopo la scoperta ?
Perché a differenza dei gemelli di
Bertolucci, i cui genitori ne proteggono il sogno, in questo film a deturpare
definitivamente la scena famigliare c'è che l'incesto è il segno
del tempo lacerato, consumato, che non può più rientrare, estinguersi.
Non c'è ritorno dopo quanto è avvenuto, il tempo può solo
piegarsi su di sé. Come la madre che perde la memoria, che ha visto ma
non può ricordare quello che ha visto, non può riconoscere l'orrore
che abbandona la sua memoria. Nello strazio della scoperta stringe a sé
le teste dei due ragazzi, e stringe a sé quello che subito poi ferirà,
involontariamente, perché taglia il ragazzo con un bicchiere rotto. In
una delle prime scene la ragazza aveva detto al fratello, guardando un documentario
per televisione: la madre panda può allevare solo un cucciolo e prima di
ucciderne uno dei due lo abbraccia stringendolo a sé. Il ragazzo ha solo
una piccola ferita su una guancia. La madre invece non ritorna più in sé.
Il tempo ha sporcato il patto che lei pensava di avere custodito.
La 'guerra sporca' durante il regime dei generali ha portato 2.000.000 di profughi,
e anche 200 figli, accertati, di desaparecidos, allevati nelle famiglie
dei loro assassini. Il rubio, il fratello biondissimo, come appare bambino
in una fotografia, ci spinge a immaginare che sia anche lui uno di questi, che
il rapporto con la sorella non sia stato un vero incesto fra consanguinei ma qualcosa
che agli occhi della famiglia è ancora peggio, è il patto fra la
figlia e quell'altro, il figlio non figlio, figlio astratto del corpo del padre,
di una paternità-maternità allusa nella scena dove la madre ritrova
il velo di nozze per la nuora e il padre appare improvvisamente gonfio di alcool,
preso di profilo come se avesse una pancia gravida.
La
madre di tutto questo non vuole ricordare niente perché il dolore della
scoperta l'ha disarticolata e trascinerà carponi per le scale se stessa
e il piede ingessato, come un animale ferito privo di memoria.
Questo
film è di una regista che non è stata a guardare, ha preso in mano
la sua cinepresa e come nel film precedente riprende la storia che pochi raccontano,
che le Madres della Plaza de Majo, molto più di altri, sono abituate a
ricordare. In Geminis, la regista, lavora sul retaggio immaginario
di un paese di cui ha ben presente la storia, parzialmente anche autobiografica.
E allora se il pensiero va per conto suo e cattura i significati che vuole vedere,
possiamo biasimarlo come un'ostentata interpretazione, affatto esibita nel film,
però certamente non ostacolata.
Sono questi i film che penso siano
grandi e che hanno una matrice femminile precisa, film che sono senza avvenenza,
girati con attenta maestria non fanno affatto sognare anzi ancorano alla realtà
e alla storia quando meno ce lo si aspetterebbe; trascurano la preziosità
delle ricostruzioni storiche elavorano più sui simboli che sugli oggetti;
hanno la capacità, per niente bonaria, di entrare a fondo nella nostra
percezione, ingombrando il passaggio fra la coscienza e la memoria, per non farsi
dimenticare.