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Sous
les pieds des femmes, di Rachida Krim, Francia 1997, 35 mm,
col., 85' - interpreti: Claudia Cardinale, Fejiria Deliba, Nadia Farès,
Mohamad Bakri, Yorgo Voyagis, Hamid Tassili, Carim Messalti, Bernadette
Lafont.
di Donatella Massara
Il
cinema è una faccenda di mitizzazione. E ci sarebbe da perdersi
dietro al 'camp', alle 'dive', e via dicendo. Se le donne non sono mai
mitiche, per alcuni uomini, quando la loro attività richiede:
corpo, testa, padronanza della situazione, prova è la recensione
cattiva che ha riscosso questo film di una giovane regista algerina.
Esordisce il critico di Expanded Cinemah: <<[
] , girare
un film sull'Algeria in Francia e farlo recitare in francese da un cast
che comprende anche Claudia Cardinale (?!), può aiutare non poco
a vendere il film in Francia e, di lì, magari in Europa.>>
Il
film non è piaciuto moltissimo neppure a me, però siccome
mi piace che le donne si mettano in gioco vorrei riconsiderare il film
e altri punti di vista che la critica al film non ha avvertito. Anzitutto,
come altri, visti alla rassegna Sguardi Altrove-2002, mi ha fatto riflettere
sulla diversità d'ispirazione che c'è fra occidente e
altre parti del mondo.
Le donne di altri paesi danno, attraverso lo sguardo del cinema femminile,
una pienezza soggettiva, una completezza di riferimento alle altre donne
che si fa fatica a trovare uguale nei paesi occidentali.
Ripenso a Rosa L. di Margarethe Von Trotta dedicato a Rosa Luxemburg
e a Ho sparato a Andy Wharol di Mary Harron dedicato a Valerie
Solanas o Un angelo alla mia tavola di Jane Campion dedicato
a Janet Frame. Per farsene un'idea propria, di questo incontro fra le
registe e la storia delle donne, è sufficiente visitare il repertorio
di videocassette al sito dell'Associazione Lucrezia Marinelli e contare
i film soggettati sotto la voce Donne celebri e Genealogia.
Le registe delle altre metà del mondo - a mio parere - si spendono
molto sulla genealogia e non risparmiano protagoniste al centro della
scena, fino a scegliersi un'attrice come Claudia Cardinale e collocarla
a fianco di attori di minore prestigio chiamati a recitare il ruolo
di uomini deludenti. C'è un femminismo nei film delle registe
non europee che osa mettere in primo piano le donne, lasciando ai maschi
le retrovie e facendo esistere solide relazioni fra donne. E' fin troppo
ovvio che tale attenzione alle donne sia il risultato di una separatezza
dei sessi che non c'è in occidente? E' un femminismo che plana
sulla parità dei sessi conclusasi in Europa? Oppure è
una scelta consapevole per creare genealogia e soggettività delle
donne?
La mia risposta è che Sous les pieds des femmes, piace
molto alle femministe. Anche se nel film franco-algerino non c'è
ricerca sulla storia delle donne, alcune sentono che è debito
pagato alla maternità simbolica, rivolta a madri 'femministe'
della nostra storia più vicina. C'è una dedizione che
piace, gratifica, come un riconoscimento, un risarcimento generico ma
convincente.
E' diverso il film dell'iraniana Milani che invece sa fare breccia sul
bisogno femminile di individuarci, di portare la soggettività
al servizio della storia raggiungibile e spendibile: oltre gli stereotipi
fallici sulle donne.
Sous les pieds des femmes di Rachida Krim racconta la storia
di Aya, algerina in Francia con il marito dell'FLN e due bambine. Le
prime immagini della protagonista la riprendono in età matura,
è Claudia Cardinale l'interprete. Bella ed elegante la signora
franco-algerina riceve nella sua lussuosa casa l'ex amante, amico del
marito, ritornato in Francia dopo trentanni per mettersi in salvo dagli
integralisti islamici. L'uomo è stato un capo della resistenza
e con il ricordo Aya - un'attrice più giovane - riporta i suoi
22 anni: lei ha un marito, scelto dalla famiglia, parla poco, porta
le trecce, si occupa della casa. Con la mente ritorna, turbata, anzitutto
alla spietata uccisione di una coppia, un uomo e una donna, amici comuni,
uccisi dagli stessi compagni con l'accusa di avere tradito la legge
islamica. Siamo nel 1958 quando in Francia e in Algeria si sta organizzando
la resistenza al colonialismo francese che porterà all'indipendenza
algerina. Nel frattempo anche il cinema algerino cresce con la sua storia
di colonialismo e di ricerca nelle origini arabe. Aya porta il caffè
al marito e ai suoi compagni. Non parla e non ha alcun ruolo. L'uomo
decide di arruolare Aya nelle fila della resistenza perché mancano
staffette. E Aya ubbidisce come ha ubbidito il marito alla richiesta
del partito. Non si tira indietro davanti a niente: lascia le figlie,
e nella attività clandestina va ad ammazzare un uomo per ordine
politico. Il marito è nascosto, questa militanza senza amore
e nella solitudine le crolla addosso. Chiederà all'altro l'amore
e di smetterla con l'altera freddezza. L'altro non ne vedeva l'ora e
le promette di tornare in Algeria, sposarsi, allevare le figlie della
donna, altri figli e una grande casa nella campagna. Sono separati dalla
guerra e Aya si ritrova con i tre figli, il marito, una nipotina. Una
donna che ha subito l'essere confinata, vissuto violenza e libertà
e che diffida delle promesse della politica. Non crede più nelle
idee ma solo nel rispetto verso le donne, le madri del mondo. Se sotto
i piedi delle donne - come dice il detto arabo - ci sono le lacrime,
Aya chiede che cosa c'è sopra. E l'uomo quando si rivedono e
si lasciano per sempre può ora risponderle: sopra i piedi delle
donne c'è la verità.Si legge nella presentazione del Festival
<< il film rappresenta un documento indicativo del ruolo che le
donne algerine hanno avuto - e hanno tuttora - nella liberazione e nel
processo di evoluzione del loro paese.>> Anche in questo film
il filone della critica al comunismo e alla politica alimenta la filosofia
della vicenda, presente nei film delle registe e non solo di questi
anni. Penso all'intreccio biografico con la politica comunista ungherese
di una porzione filmografica di Marta Meszaròs.
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