Primo fra i primi è La vida secreta de las palabras
di Isabel Coixet. Un film bello e intelligente, forse più
intelligente che bello, come molti film di donne.Un film che svela i
significati con una misura non comune, un film ricco e colto dove le
citazioni, i richiami di altre pellicole attraversano con ordine e premeditata
compattezza la visione. Un film che gioca anche rispettosamente con
chi sta in sala, un gioco altamente drammatico che ci tiene vicine e
lontane come se la politica delle donne - prima fra tutte - ricomponesse
la coralità della storia del nostro tempo. E quando ci troviamo
di fronte la piattaforma petrolifera dove pochi marinai fanno passare
il tempo, ognuno per conto proprio, in attesa che la petroliera venga
definitivamente chiusa per lasciare il posto a un parco acquatico, non
si resiste a rovesciare l'immagine in un significato più generale.
E tutti noi ci ritroviamo lì, ognuna-o con la sua mania, a guardare
Hanna, la protagonista e quello che rappresenta e riassume in sé:
la storia della guerra che noi in Europa abbiamo avuto per anni nel
nostro fianco. Storia che ci è stata raccontata mai tutta intera,
parole con una vita nascosta che questo film restituisce alla sua limpidezza
passando per uno sguardo femminile.
Di
altri film di registe ho già parlato (Familia
di Louise Archambault e On a clear day di Gaby Dellal).
Seguono
altri film tutti di registi che hanno in comune l'impegno a rappresentare il nostro
tempo e quello che su di esso necessita avere presente e riflettere. Les
amants reguliers di Philippe Garrel lavora sulle impressioni lasciate
negli animi di un lungo e scomodo '68 con un inciso e opaco bianco e nero che
scolora nella memoria lasciandoci la voglia di rivedere il film. Quasi una simulazione
di documentazione storica va a finire dritto dritto dove rimane sveglia in noi
la percezione di un tempo realmente vissuto oltre le interpretazioni ufficiali,
i ricordi collettivi. Anche se proprio di questi il film è fatto, nei particolari
e nelle deviazioni di percorso assai più che nella vicenda.Un gruppo di
giovani rivoluzionari che si fa distruggere per l'oppio evoca poco il '68 piuttosto
Lautremont o De Quincey.
Mi è dispiaciuto che la fine di una speranza
e di un sogno, quello di una rivoluzione che tanto sarebbe assomigliata alla rivoluzione
francese, secondo le interpretazioni degli autori, coincida con la partenza della
ragazza che va a realizzarsi come artista negli USA. Un tradimento delle donne?
La separazione? O forse è un sano viaggio verso la libertà ?
Good night,
and good luck di George Clooney è un film girato con
un budget basso, il regista ha voluto un dollaro per la sceneggiatura
e tutti gli attori hanno girato al minimo sindacale, così hanno
guadagnato meno di un elettricista. E' la storia di Edward Murrow
il giornalista della CBS che durante il maccartismo riuscì
a opporsi e a parlare pubblicamente contro i metodi, le accuse e i
processi che McCarthy intentava contro chi era sospetto di comunismo.
E' un film serio e rigoroso nella ricostruzione storica. Clooney nell'intervista
rilasciata su Ciak di settembre ha detto che ovviamente i dialoghi
non sono autentici ma che il loro intento era raccontare i fatti avvenuti
riportando allo spirito del tempo. Figlio di un giornalista televisivo
Clooney ha fatto un film insuperabile nel senso che è già
previsto non farà grossi guadagni e tuttavia utile e godibile
per chi ama la storia, fa pensare che difficilmente potrà essere
considerato superato. Mi ha ricordato Segreti di stato visto
nel 2003 a Venezia che Paolo Benvenuti ha scritto con la moglie Paola
Baroni. Segreti di stato è un altro film di grande rigore
e che nulla concede alla bellezza della scena se non istruita per
documentare.
Prosegue il tema
dell' impegno a spiegare il nostro tempo in Evviva Zapatero
di Sabina Guzzanti presentato personalmente all'Anteo. Il film
vuole svegliare i giornalisti. Sabina racconta le sue peripezie a
proposito di Raiot, la trasmissione di satira politica che dopo una
sola puntata è stata defenestrata e censurata. Le interviste
sono rivolte a chi non risponde, non sa che cosa dire, ripete le stesse
cose, le fa la predica, le tira fuori che suo padre è senatore
di Forza Italia, qualcuna è apertamente offesa come Lucia Annunziata
che chiaramente le dice: <<per te io parlo napoletano, ho gli
occhi strabici e non conto niente>>. Sabina ci mette davanti
al fatto che in Italia c'è la censura e che i giornalisti non
sono più liberi, estendendo il caso al Corriere della Sera,
dopo dimissioni fulminee e irrevocabili del direttore Ferruccio De
Bortoli. L'esortazione della regista è a non passivizzarsi
accettando lo strapotere di Berlusconi e di chi comanda la stampa.
Molto divertenti e acute sono le sue performances che alternano le
interviste rivolte a chi ha avuto il potere di censurare ma anche
a chi ha patito identico trattamento. Il film non è solo una
legittima difesa, è l'atto di accusa rivolto a una classe politica,
è l'appello a convincersi che proprio in Italia, uno dei paesi
più liberi del mondo, c'è la censura.
Un altro
film che mi è piaciuto molto è The constant gardner di
Fernando Meirelles, già romanzo omonimo di John le Carrè. E'
stato definito una onesta trasposizione. E' vero che confrontato con altre pellicole
non presenta grandi invenzioni, però il thriller politico che racconta
è di grande effetto. Protagonista del film è una giornalista eroica
che viene uccisa per avere indagato sul traffico di medicinali che una potentissima
casa farmaceutica gestisce con la complicità tacita di esponenti della
diplomazia britannica. L'eroina
del romanzo di Le Carrè ricalcava una figura realmente esistita, Yvette
Pierpaoli, morta nel 1999 a 60 anni in Albania, attivista e volontaria di "Refugee
International", e che Le Carrè aveva incontrato negli anni Settanta.
E' citata con un ringraziamento nei titoli di coda, per "essere vissuta e
morta dando il massimo".
Girato quasi sempre in Kenya che coproduce il film con la Gran Bretagna
e la Germania, tolta qualche scena inutile su come vanno a letto i
protagonisti, racconta con ritmo e credibilità una trama molto
complessa. E' un vero film giallo che senza darsi troppe pensate espone
la morale laica che tutto quello che avviene nel mondo delle imprese
ha per fine un guadagno. E' solo la passione individuale dei soggetti
a fare saltare l'aberrante logica dei profitti. Nonostante sia una
finzione riesce a farci entrare nella storia del nostro tempo e nel
continente Africa contenitore dove esplodono le pulsioni delle grandi
potenze economiche a arricchirsi e in questo caso le passioni per
avere giustizia. La protagonista ricorda anche altre figure veramente
esistite e vittime di spietati assassini: le giornaliste Ilaria
Alpi e Veronica Guerin, entrambe assassinate mentre svolgevano
inchieste pericolose e compromettenti per il potere economico.
Decisamente
più originale e brillante è Simpathy for Lady Vengeance
di Park Chan -wook. E' il terzo titolo della trilogia, il secondo ha vinto
quest'anno il Festival di Cannes. Autore che non conosco rimando alla recensione
in L'Impostore (http://lnx.impostore.it/venezia/archives/2005/09/04/specchioscuro/
) che giustamente dice:<<Lady Vengeance esce dalla serialità della
vendetta e inizia a fare davvero male>>.
Texas di
Fausto Paradivino, ambientato a Ovada, una città del Piemonte
del sud al confine con la Liguria, vicina a Genova, esordisce con
uno stile che ricorda il regista coreano di Lady Vendetta. Una proliferazione
di oggetti e colori dissonanti esorbitano e saturano ogni scena, l'accumulazione
di personaggi minori con una caratterizzazione aggressiva e quasi
grottesca fa cornice attorno ai personaggi principali. L'estetica
di queste messe in scena, definita barocca, in realtà fa capo
a una economia degli sguardi tale per cui ogni personaggio è
guardato attraverso l'occhio di un altro, come una lente anamorfica
distorcesse le sembianze puntando verso la polarizzazione del brutto
estremo e verso quella contraria e opposta della esaltazione della
bellezza.
L'ambiente provinciale non ha niente di che offrire ai giovani maschi
e neppure alle giovani donne, (anche i cellulari non hanno campo),
così una maestra quarantenne si innamora di un ventenne e fa
sparlare tutto il paese, ma le passioni d'amore ne nascondono altre
e dietro alle male parole che i vecchi al bar del paese si scambiano
salta fuori la politica, il texas italiano quello degli antichi
odi fra fascisti e resistenti. Le armi vengono dissotterrate, ancora
una volta, anche se la vendetta finisce in nulla di fatto. La lezione
di Fellini e di Amarcord è finita, perché di poetico
la provincia al nord non ha proprio niente. A incuriosire è
questo stare con piedi per terra che scivolano su gag disperate dove
la narrazione non vuole farsi prendere la mano fra cambi di registro,
improvvisate, battute divertenti, cadenze locali e dialetto. Scena
per scena il film va facendosi sempre più serio fino a rientrare
nelle linee di una tragicità prima non vista e poi sempre più
pesante fino a assopirsi. Questo film italiano meriterebbe di andare
all'estero; è costato tantissimo nel lavoro lavoro di costruzione
delle scene e dei personaggi. Un lavoro puntiglioso che può
sembrare disordinato anche perché il regista che è pure
attore nel film ha tutta l'aria di non pretendere molto più
che di essere visto.
continua