Donne e conoscenza storica
         

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Sguardi Altrove
, 2003, Milano inizio: mercoledì 26 febbraio

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Film e storia al Festival Sguardi Altrove a Milano 2003.
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Le registe in Sguardi Altrove - Catalogo X edizione

Appunti: Festival Internazionale della regia femminile SGUARDI ALTROVE a Milano e L'occhio delle donne a Sesto San Giovanni

di Donatella Massara

 

 

 

Se faccio finta di non sapere quali differenze ci sono nella politica delle donne è difficile che non mi stupisca per due scelte tanto distanti e contemporanee, una settimana dopo l'altra, nei programmi di Sguardi altrove, allo Spazio Oberdan del Comune di Milano, al suo deciimo compleanno e del quasi coetaneo L'occhio delle donne rassegna cinematografica dell'Associazione Lucrezia Marinelli di Sesto San Giovanni, che praticamente è un quartiere di Milano.
Conosco le organizzatrici delle due rassegne per una, quella di Sesto, c'è una mia carissima amica, la 'grande' Nilde Vinci e altre mie amiche e compagne di politica; anche le donne della rassegna milanese le conosco, una l'ho incontrata negli anni '80, la 'grande' Gabriella Guzzi, c' è poi Cristina Galante, direttrice artistica della rassegna con Patrizia Rappazzo, che ho conosciuto personalmente solo l'anno scorso e determinatamente mi ha messo a parte del suo impegno e della ricerca dei film di quest'anno e le sono sommamente grata per questo regalo che mi ha fatto. Lei non sa quanto sono legata nella mia memoria a questa pratica femminile di sentire raccontare. In questo caso e non è il primo per me è un anticipare con le parole immagini. A me piace questa maniera di mettere l'altra in un rapporto di famigliarità con quello che si conosce e che potrebbe conoscere lei stessa ma che sapendolo prima attraverso un'altra impara e comprende sempre qualcosa in più; insomma è come vedere su due tempi il prima e il dopo attraverso la ricchezza della parola viva e relazionale che è molto più sorprendente e efficace della parola professionale e specializzata.

Ma tornando ai due programmi delle rassegne perché - mi sono domandata - due scelte così opposte? L'una, quella dell'Oberdan si dichiara apertamente <<non artistica>>, nel senso che è anzitutto militante e impegnata nella documentazione storica; come ha detto Gabriella alla presentazione del Festival, mercoledì: perché di fronte a tutto quello che sta succedendo nel mondo non si sa come si riesca a ridere, a divertirsi; ecco allora che i film sono documentari, quasi tutti, parlano di guerra, di dolore, di sofferenze e di morti; nella sezione internazionale, ci sono film di registe palestinesi, turche, slave, bosniache, israeliane ed ebree, e ancora di italiane che sono andate a documentare popolazioni femminili senza parola propria, come le afghane.
Bellissimo è il film di Mai Masri che attraverso due adolescenti e i loro amici descrive la situazione di un campo profughi palestinesi. Le due amiche si staccheranno perché l'una rimane nel campo e l'altra diventa esule negli USA. Lo sguardo delle registe è fermamente rivolto alle donne e questo aspetto mi colpisce attirandomi verso la regia delle donne non occidentali. C'è inoltre un orgoglio di appartenere al sesso femminile che commuove quando si rivolge, come nel film della Masri, alle due giovanissime con una fermissima aspettativa nel loro futuro, dove all'autorità femminile si chiede di farsi carico addirittura del cambiamento politico e del mondo in guerra in cui si trovano tutt'oggi.

Nelle stesse giornate del Festival internazionale si svolge la proiezione dei film delle giovani registe italiane in un concorso della regione Lombardia e in un altro del Premio Kodak. Un azzeccato incrocio che permette di pensare a che cosa in Italia le registe scelgono di girare e a quello che vedono invece le registe palestinesi e ebree, piuttosto che quelle che stanno in contatto con le sacche di proletariato del sud e Centramerica.

L'altra rassegna invece si apre lunedì 3 marzo e si intitola La felicità ricerca o casualità? e attraverso tre film, soprattutto, perché due risultano estranei
all' interrogativo, vorrebbe fare riflettere su questo problema che non esiterei a definire di filosofia della vita. Per quanto ne so, la felicità è una chimica dei fluidi riconoscibile come tale, stato corporale di beatitudine oppure stato della mente che è felice dell'intuizione di sé e del mondo, oltre l'attimo fuggente è uno stato psichico, una contingenza di situazioni riconoscibili propriamente, come dice Adorno, solo quando se ne è fuori, solo quando la felicità è nel passato, si puo' dire, dunque: sono stata felice.
Invece L'occhio delle donne propone di progettare la felicità e qui la filosofia che conosco non mi dà risposta, se non quella delle donne; quando scrivemmo Non credere di avere dei diritti ci fu chi teorizzò il kairos, l'occasione giusta saperla cogliere, dunque, e essere felici. E per citare, quindi, Aristotele: cercare l'eudaimonia nella via di mezzo, nell'equilibrio delle situazioni.
A questo risponderebbero i film programmati perché come si legge nell'Introduzione <<Se è vero che non si nasce sapienti, ma lo si diventa, è anche vero che non si nasce felici, ma potremmo sempre imparare a diventarlo. Ci sono persone così infelici al mondo che, ad un certo punto della loro esistenza, non possono fare a meno di trovare un rimedio, una soluzione per porre un termine a quel tormento>>. Ecco che allora le due rassegne mi sono accorta che si parlano, non sono opposti insanabili, sono due versioni diverse della contingenza, dell'essere nel mondo, sapendo che cosa abbiamo vissuto e stiamo vivendo.


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I film di Sguardi altrove