Donne e conoscenza storica
         

 

Rassegna Stampa

Il Manifesto 13 marzo 2003

L'altro pianeta cinema al festival di Torino
La rassegna internazionale delle donne tra avventure e drammi famigliari. Una sezione sul Sudafrica
Sullo schermo. Passioni silenziose e corpi frantumati dalla modernità. Le registe raccontano l'immaginario contemporaneo dal Canada alla Cina
ELFI REITER
TORINO

 

 


«Si è cicatrizzata la tua ferita? Hai riempito il vuoto che, forse, hai sempre sentito sin dalla tua nascita?» chiede il padre adottivo a Marie Klaassen in To my Birthmother della canadese Beverly Shaffer, passato in concorso alla decima edizione del Festival internazionale delle donne in corso al Teatro Nuovo di Torino dal 7 marzo e che si chiude domani. La domanda racchiude una scena chiave del viaggio di Marie assieme alla regista per indagare la complessità del mondo di una donna cresciuta in una adorabile famiglia adottiva ma che al momento della nascita del proprio figlio ha sentito la curiosità - anzi quasi la necessità - di scoprire chi fosse la sua madre biologica. Ma la domanda si potrebbe avvalere anche allo stesso festival che dal 1994 porta nel capoluogo piemontese l'immaginario femminile «per far incontrare opere e registe con il pubblico nella loro contemporaneità», come spiega Clara Rivalta, la direttrice, che sin dagli inizi lotta per il riconoscimento (economico) di questa manifestazione a fronte di una grande affluenza di pubblico. Tre i concorsi a premi (fiction, documentari e corti, 2500/1500/750 euro, rispettivamente offerti da regione Piemonte, sindaco di Torino e presidenza della provincia), due le sezioni paralleli: percorsi femminili e sguardi femminili dal Sudafrica. Torniamo al film canadese: non è una ricerca affannosa della madre, vista come ancora di salvezza o pianeta proibito, ma uno spaccato sulle relazioni familiari, anzi umane, in generale, quando Marie scopre di avere anche una sorella biologica. È ai limiti del surreale il loro primo incontro (ricostruito): chi è l'altra? perché amarla? Si apre un universo sulle relazioni familiari al di là della «famiglia di origine», dove entrano in causa profondità ma anche leggerezza dell'amore materno - oltre alla presenza fisica - soprattutto a partire dal primo contatto telefonico con la donna che l'aveva partorita. «In Canada i dati sui genitori originali sono tabù, quando invece dovrebbero essere accessibili a tutti», dice Beverly Shaffer (premio Oscar 1978 per I'll find the Way) raccontando l'odissea per trovare la persona adatta con cui girare questa avventura nella burocrazia canadese (seguita per un anno) ma anche nella società contemporanea e al contempo degli anni sessanta. Il film è stato acquistato solo dal canale tv tematico delle donne... Questa ricerca della madre, la relazione madre-figlia/o o comunque la dimensione più intim(ist)a nel disegnare il mondo femminile, salta all'occhio in questa edizione. È il cinema delle donne che ha voltato l'occhio verso il mondo interiore? O è piuttosto una scelta? Nel messicano in Las Caras de la luna (Le facce della luna) di Guita Schyfter si intrecciano finzione, incontri e dibattiti sui temi più vari come: figli e lavoro, l'arte è maschile?, la scrittura femminile, la prostituzione come atto di rivendicazione.... Ice Cream Sundae di Désirée Nosbusch (con Tippi Hedren) parla di amore passionale e amore familiare, la solitudine che governa entrambi se non accompagnati dalla passione personale, lo sloveno Leti...leti...leti zenska? di Polona Sepe, sulla base del gioco dei bimbi «vola, vola, vola, la donna?» crea un accattivante disegno del corpo femminile, frantumato dalla pubblicità in labbra, mani, gambe, seno, qui poi reintegrati nella loro totalità quando una telecamera inquadra i volti insanguinati dopo una esplosione.

Originale e di grande sensibilità nel ritrarre la lotta di una donna per il proprio spazio (simbolico e materiale) è Jia zhuang mei can jue (Donne di Shanghai) della cinese Xiaolian Peng che fa parte della quinta generazione e lavora per lo Shanghai Film Studio. Considera questa la sua opera seconda dopo Women's Story del 1989 (gli altri per lei sono titoli su commissione) perché è un suo progetto: «a Shanghai la vita è molto costosa e persino ridere è un privilegio, le donne lottano per la indipendenza e i diritti di base che sono il lavoro, la casa e il rispetto al di là di un matrimonio d'interesse». Un ritratto femminile di tre generazioni: Lin, la madre dell'adolescente e trepidante Ah-xia, ma anche figlia di una donna che rappresenta la tradizione gerarchica dell'ordine sociale.