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«Si è cicatrizzata la tua ferita? Hai riempito il vuoto
che, forse, hai sempre sentito sin dalla tua nascita?» chiede
il padre adottivo a Marie Klaassen in To my Birthmother della canadese
Beverly Shaffer, passato in concorso alla decima edizione del Festival
internazionale delle donne in corso al Teatro Nuovo di Torino dal 7
marzo e che si chiude domani. La domanda racchiude una scena chiave
del viaggio di Marie assieme alla regista per indagare la complessità
del mondo di una donna cresciuta in una adorabile famiglia adottiva
ma che al momento della nascita del proprio figlio ha sentito la curiosità
- anzi quasi la necessità - di scoprire chi fosse la sua madre
biologica. Ma la domanda si potrebbe avvalere anche allo stesso festival
che dal 1994 porta nel capoluogo piemontese l'immaginario femminile
«per far incontrare opere e registe con il pubblico nella loro
contemporaneità», come spiega Clara Rivalta, la direttrice,
che sin dagli inizi lotta per il riconoscimento (economico) di questa
manifestazione a fronte di una grande affluenza di pubblico. Tre i concorsi
a premi (fiction, documentari e corti, 2500/1500/750 euro, rispettivamente
offerti da regione Piemonte, sindaco di Torino e presidenza della provincia),
due le sezioni paralleli: percorsi femminili e sguardi femminili dal
Sudafrica. Torniamo al film canadese: non è una ricerca affannosa
della madre, vista come ancora di salvezza o pianeta proibito, ma uno
spaccato sulle relazioni familiari, anzi umane, in generale, quando
Marie scopre di avere anche una sorella biologica. È ai limiti
del surreale il loro primo incontro (ricostruito): chi è l'altra?
perché amarla? Si apre un universo sulle relazioni familiari
al di là della «famiglia di origine», dove entrano
in causa profondità ma anche leggerezza dell'amore materno -
oltre alla presenza fisica - soprattutto a partire dal primo contatto
telefonico con la donna che l'aveva partorita. «In Canada i dati
sui genitori originali sono tabù, quando invece dovrebbero essere
accessibili a tutti», dice Beverly Shaffer (premio Oscar 1978
per I'll find the Way) raccontando l'odissea per trovare la persona
adatta con cui girare questa avventura nella burocrazia canadese (seguita
per un anno) ma anche nella società contemporanea e al contempo
degli anni sessanta. Il film è stato acquistato solo dal canale
tv tematico delle donne... Questa ricerca della madre, la relazione
madre-figlia/o o comunque la dimensione più intim(ist)a nel disegnare
il mondo femminile, salta all'occhio in questa edizione. È il
cinema delle donne che ha voltato l'occhio verso il mondo interiore?
O è piuttosto una scelta? Nel messicano in Las Caras de la luna
(Le facce della luna) di Guita Schyfter si intrecciano finzione, incontri
e dibattiti sui temi più vari come: figli e lavoro, l'arte è
maschile?, la scrittura femminile, la prostituzione come atto di rivendicazione....
Ice Cream Sundae di Désirée Nosbusch (con Tippi Hedren)
parla di amore passionale e amore familiare, la solitudine che governa
entrambi se non accompagnati dalla passione personale, lo sloveno Leti...leti...leti
zenska? di Polona Sepe, sulla base del gioco dei bimbi «vola,
vola, vola, la donna?» crea un accattivante disegno del corpo
femminile, frantumato dalla pubblicità in labbra, mani, gambe,
seno, qui poi reintegrati nella loro totalità quando una telecamera
inquadra i volti insanguinati dopo una esplosione.
Originale e di grande
sensibilità nel ritrarre la lotta di una donna per il proprio
spazio (simbolico e materiale) è Jia zhuang mei can jue (Donne
di Shanghai) della cinese Xiaolian Peng che fa parte della quinta generazione
e lavora per lo Shanghai Film Studio. Considera questa la sua opera
seconda dopo Women's Story del 1989 (gli altri per lei sono titoli su
commissione) perché è un suo progetto: «a Shanghai
la vita è molto costosa e persino ridere è un privilegio,
le donne lottano per la indipendenza e i diritti di base che sono il
lavoro, la casa e il rispetto al di là di un matrimonio d'interesse».
Un ritratto femminile di tre generazioni: Lin, la madre dell'adolescente
e trepidante Ah-xia, ma anche figlia di una donna che rappresenta la
tradizione gerarchica dell'ordine sociale.
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