Donne e conoscenza storica
    

 

"Di madre in figlia" come le registe guardano alla relazione

di Donatella Massara e Laura Modini


Abbiamo fatto nostro il tema del seminario di Diotima L'ombra della madre per domandarci: le registe come sviluppano il tema della madre e della figlia?
All'inizio della storia del cinema c'era La fata dei cavoli. Sono gli scherzi del destino. Alice Guy prima regista contemporanea di Melies e Lumieres racconta al suo pubblico una favola sulla maternità e forse non aveva piena coscienza di essere all'origine di una storia importante. Il suo primo film del 1896, è anche probabilmente il primo film di finzione a noi pervenuto, contemporaneo, se non precedente, al rullo in cui Melies usa il montaggio per mostrare i suoi trucchi di illusionista. Alice Guy nella autobiografia, scritta fra il 1941 e il 1953 racconta:

Nel 1896 […] a Belleville, vicino ai laboratori di stampa delle fotografie, mi fu concessa una terrazza abbandonata […]. Fu in questo 'palazzo' che feci i miei primi esperimenti: un lenzuolo dipinto da un pittore di ventagli (e fantasista), una vaga scenografia, una fila di cavoli fatti da falegnami, alcuni costumi noleggiati qua e là a porta Saint Martin; come artisti, i miei amici, un neonato piangente ed una madre inquieta che ad ogni istante entrava nel campo dell'obiettivo, ed il mio primo film la Fée aux Choux venne alla luce. Oggi è un classico di cui la Cineteca francese conserva il negativo.
(Alice Guy, La Fata dei cavoli memorie di una pioniera del cinema, Lestoille, 1979)

La regista farà poi altre rielaborazioni sul tema della Fata dei cavoli. La prima espressione femminile del cinema delle origini sceglie di lavorare su un immaginario carico di fantasie e di richiami alla mitologia della nascita, mentre Melies andava sulla luna e i fratelli Lumierés facevano entrare in sala il treno.

E' con l'arrivo degli anni '70 e delle femministe che esprime tutta la sua pienezza la relazione della madre con la figlia. Giovanna Gagliardo in Maternale del 1978 ne individua la grandezza rafforzata con la politica delle donne; l'interesse che suscitava in quegli anni la psicoanalisi si nota nella ricerca di simboli come specchi della storia di ogni donna. Il film era stato fatto per la televisione e non aveva avuto distribuzione.
Germania pallida madre di Helma Sanders-Brahms del 1979, a suo tempo distribuito nelle sale, per ora non lo vedremo, in attesa dell'edizione in dvd. E' un film che ha segnato l'immaginario. La regista aveva intrecciato la vicenda di Lene e della sua bambina con la storia della Germania in guerra e nell'immediato dopoguerra. Così succede al viso semiparalizzato di Eva Mattes, l'attrice che interpreta il ruolo materno, quello che capitò alla Germania divisa nella parte orientale e occidentale. Allo stesso tempo è messa in campo la complicità e la bellezza della relazione madre e figlia, per la prima volta l'amore giocato in libertà.

Ricevono ampia smentita film di registi come Lo specchio della vita (The imitation of life, 1934, remake 1959) di John Stahl nella prima versione e di Douglas Sirk nella seconda, ispirate al romanzo omonimo di Fannie Hurst oppure Bellissima di Luchino Visconti del 1951. Non più colpevolizzanti, questi film non hanno protagoniste la figlia reproba che disconosce la madre o la madre che espone la figlia a una società crudele per appagare i suoi sogni, le registe ribaltano le situazioni: le figlie amano molto le madri e sono ricambiate anche in maniera esclusiva e decisamente possessiva.
C'è esplosione dei sentimenti e intrigo di gesti che affermano per negare, che disordinano per ordinare, la madre dà quando sembra togliere. Lo scompaginamento persegue però una sua linearità eccentrica che va indagata nei segni dispersi nelle pellicole. E' la madre che inverte il suo desiderio di possedere la figlia, per sempre, offrendole contemporaneamente i talismani che servono a realizzare i desideri. Qualche esempio: la pettinatura che Carla Gravina in Maternale aggiusta sulla figlia Carla, bisognosa di cure costanti, ritorna uguale dopo la guarigione durante la festa del suo compleanno mentre la madre-attrice torna in se stessa e, ormai attenuato il naturalismo ripetitivo della cura materna, esce di scena..
In Di questo non si parla, film del 1993 di Maria Luisa Bemberg, regista argentina, la madre autocrate è l'organizzatrice scrupolosa e prepotente di una esistenza, per la figlia nana, che sia il più possibile vincente però non può fermarla quando il circo arriva nel paesino dove hanno vissuto finora. Charlotte finalmente felice, in sella al cavallo che la madre le aveva regalato, se ne va lontano.
L'invenzione narrativa che ci preoccupa per tutto il film di Velia Santella, Te lo leggo negli occhi del 2004 si risolve nell'accettazione delle diversità di ognuna. La madre cantante collocata nella distanza di un televisore commuove la figlia scostante e disillusa che, nonostante la sua pretesa superiorità razionale, accetta, come dice la canzone, di avere bisogno della madre ma capisce come la madre ha bisogno di lei e della nipotina.

Ricorrono in questi film temi già detti, altri ne riaffiorano. Costante la paura di un abbandono. La madre è veramente un'ombra nel bellissimo film di Carine Adler, Sotto la pelle del 1997, regista vincitrice con l'attrice Samantha Morton di numerosi premi. La madre è morta, due sorelle restano sole. Un film sulla elaborazione del lutto, straordinariamente privo di psicologia, perché di questa perdita si può solo dire <<Lei mi manca tanto>>. Il malessere agisce però nell'azione, nelle reazioni, nei toni di voce. Il lutto è sotto la pelle. La realizzazione del desiderio riapre la speranza. La nascita di una bambina per la maggiore. Il canto per la minore che chiude il film con Alone again, naturally del 1972. Dice il testo della canzone:

[…] A sessantacinque anni mia madre rese l'anima a Dio non riuscendo a darsi ragione perché l'unico uomo che lei avesse mai amato se ne fosse andato per primo, aveva il cuore irrimediabilmente rotto nonostante il mio sostegno, non pronunciammo mai neanche una parola e quando lei se ne andò io piansi e piansi tutto il giorno ero sola di nuovo, naturalmente.

Due cortometraggi che si rifanno a suggestioni di paesi e culture molto differenti li vedremo insieme. Le Livre de Marie di Anne Marie Miéville del 1983 mette in campo la separazione dei due genitori e le sofferenze della figlia di 11 anni, una bambina speciale: Maria. Il film era originalmente visto insieme al film di Godard Je vous salue, Marie, rilettura della storia di Maria, futura madre di Gesù. La saggezza della madre esercita il lenimento del dolore. La regista insegue con la mdp piccoli gesti evocativi di una memoria collettiva dell'infanzia e ci fa entrare nel film.
La figura della piccola Maria fa contraltare all'incontro con la mitologia africana. Kare Kare Zvako (Tanto tanto tempo fa) del 2004 ha vinto il Primo Premio al Festival del cinema Africano del 2005 per la sezione del cortometraggio africano. La regista è Tsitsi Dangarembga autrice di un romanzo di successo, molto femminista Condizioni nervose (scritto nel 1988, tradotto in italiano per Frassinelli nel 1991 e attualmente studiato in tutti i women's study che si occupano di letterature comparate). La versatile autrice dello Zimbabwe (ex-Rhodesia), attualmente dedica le sue energie a trasporre in trilogia la tradizione narrativa shona; il film che vedremo è la prima parte. E' un musical, un genere assente quasi del tutto nella cinematografia africana. Ci affideremo alla presentazione di un' esperta di teatro e cultura africana, Serena Sartori per capire un film poetico e sconvolgente allo stesso tempo. Una famiglia vive in una capanna vicina alla foresta, emerge la madre figura eroica nel tempo inesorabile di una carestia.
Il documentario della giovane regista Fabiana Sargentini, Di madre in figlia, vincitrice del Concorso premio Italia al Festival di Sguardi Altrove e del primo premio ex aequo al Bellaria Film Festival, è costruito su interviste montate con uno stile sciolto e uno sguardo diretto e convincente; è rivolto a donne diverse e anche a due bambine. Sarà l'occasione per discutere i cambiamenti delle madri avvenuti in una società che ha passato la fine del patriarcato

La rassegna sarà in gennaio, febbraio, marzo a scadenza quindicinale. Per le date andate al programma. Le altre saranno comunicate nei prossimi mesi.
La presentazione dei film sarà a cura di Nilde Vinci.

 


I film della rassegna

La fata dei cavoli di Alice Guy Blachè, 1896, Francia
con Yvonne Mugnier-Serand, muto, m.20

Maternale di Giovanna Gagliardo, 1978, Italia, 90'
con Carla Gravina e Anna Maria Gherardi

Le Livre de Marie di Anne Marie Miéville, 1983, Francia, 28'
con Aurore Clément, Rebecca Hampton, Bruno Cremer

Kare Kare Zvako di Tsitsi Dangarembga, 2004, Zimbabwe, 30'
con Belinda Mapfute e Nicolas Mazenda

Di questo non si parla di Maria Luisa Bemberg, 1993, Argentina, 106'
con Luisina Brando, Alejandra Podestà e Marcello Mastroianni

Sotto la pelle di Carina Adler, 1997, Gran Bretagna, 82'
con Rita Tushingam, Claire Rushbrook. Samantha Morton

Te lo leggo negli occhi di Velia Santella, 2004, Italia, 82'
con Stefania Sandrelli , Teresa Saponangelo, Camilla Di Nicola

Di madre in figlia di Fabiana Sargentini, 2004, Italia, documentario, 58'