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La
Settima stanza
(la
fotografia di Edith
Stein è del 1931)
di Laura Modini
"La settima stanza" di Márta Mészáros
è stato presentato alla Mostra di Venezia nel 1995 tra le Iniziative
Speciali in occasione della Conferenza Mondiale della Donna a Pechino.
La regista, nata e vissuta nel comunismo più ortodosso, libera
quindi da complicazioni confessionali dopo tante figure femminili di cui
si è occupata con amore e attenzione, punta il suo occhio su una
donna nostra contemporanea, morta neanche cinquantenne nel campo di concentramento
di Auschwitz e beatificata nel 1987 da Giovanni Paolo II.
Una Santa, dunque! Forse, ma meglio è stata una donna che ha vissuto
per cercare la sua verità, individuata al punto più alto
nella tentata unione con Dio. La regista in una intervista dice: "Ciò
che mi ha affascinato di Edith Stein è la sua completezza. Era
una donna forte, colta, femminile. Una donna a molte dimensioni. Molto
religiosa, ma anche amante degli uomini, della famiglia, degli amici...Inoltre
la sua conversione è un esempio per tutti perché pur abbracciando
una religione di e con una cultura diversa non ha mai tradito la sua origine
e il suo popolo (gli ebrei) né la sua patria (la Germania). Un
grande esempio di libertà e tolleranza per tutti, anche per il
mondo ebreo. Una donna così piena di temperamento, che ha attraversato
tutte le fasi più difficili del suo tempo per trovare sé
stessa, con una determinazione incredibile... " da non poterla dimenticare,
ma da far nascere un desiderio di ricerca, e dal lontano 1989, quando
la Mészáros ne lesse per la prima volta su un giornale polacco,
si preparò, lavorò per la realizzazione di un film su di
lei.
Edith Stein, nacque a Breslavia il 12 ottobre 1891. Ebrea, orfana di padre
ricevette dalla madre la più rigida educazione ebraica. All'Università
di Gottinga studiò filosofia con Husserl subendone una profonda
influenza. Si laureò in filosofia a Friburgo nel 1916 diventando
poco dopo assistente del suo maestro, una delle poche donne a salire in
cattedra come docente di filosofia. Curiosa e affamata di verità,
leggendo Max Scheler entrò per la prima volta in contatto con il
cristianesimo che fu per lei La Scoperta ampia come una voragine. Ma è
con la lettura degli scritti di Santa Teresa D'Avila che troverà
l'approdo nella conversione al cattolicesimo. Ricevette il battesimo nel
1922 e fino al 1931 volle ritirarsi nel convento delle domenicane Santa
Magdalena di Speyer insegnando lettere e filosofia al Liceo del convento.
Certamente molto conosciuta nell'ambiente colto degli anni '20 per i suoi
saggi filosofici e di morale (si occupò anche del posto della donna
nella società moderna), nel 1932 venne chiamata all'Istituto Germanico
di Pedagogia Scientifica di Munster come docente. Ma tutto si fermò
bruscamente con l'inizio della persecuzione agli ebrei (1933). Ormai i
tempi si facevano difficili: in una società sempre più estranea
e brutale, il suo desiderio di un incontro totale con Dio le fa scegliere
la via dei voti in un convento di clausura strettissima: il Carmelo di
Colonia.
A questo punto temporale e spaziale inizia la storia cinematografica di
Márta Mészáros, una storia che copre l'arco di un
decennio, gli anni più poveri di eventi esterni nella vita di Edith
Stein ma più ricchi per il suo cammino spirituale e gli anni che
segnano l'avvio al pieno potere del nazismo in Germania.
La macchina da presa parte e si muove in un continuo di ambienti chiusi
fuggendo da tali prigioni con sguardi dalle finestre aperte per ricordare
delle partenze: la stazione, i treni carichi di ebrei, il campo di concentramento
di Auschwitz. Ambienti presentati, dove questa donna, definita dagli uomini
del suo tempo che la amarono anche molto, presuntuosa e ambiziosa intellettualmente,
ha vissuto le svolte della propria esistenza nel "pieno diritto di
autodeterminazione come proprietà inalienabile dell'anima, mistero
della libertà personale, davanti al quale Dio stesso si arresta!"
Con queste parole spiega alla madre il suo desiderio di entrare in convento,
che sbigottita, respinge con indignazione il tradimento della figlia nel
voler prendere i voti, sentendone un vero e proprio oltraggio. Il rapporto
madre e figlia percorre tutto il film, amore materno e amore filiale che
non riescono a trovare l'incontro. Proprio puntando sulla madre, la regista
offre quelle annotazioni che, senza l'uso di stacchi o flash-back, ci
rendono partecipi pienamente dell'ambiente familiare ebraico di una famiglia
medio borghese tedesca. L'attenzione che ci rende partecipi è pregna
di un amore costante e di un riferimento a una radicata genealogia femminile:
la regista dopo essersi soffermata sulla figura materna, scivola su quella
delle sorelle, ognuna con reazioni diverse, che in comune hanno certo
l'amore e il riferirsi ancora alla loro Edith, ma nel concreto manifestano
trincerandosi nella paura, disprezzo. Solo Rosa, la sorella che si prenderà
cura della madre prima e della stessa Edith poi, non si esprime, tace,
guarda e si pone in attesa. Il legame che fa prendere a Rosa la sorella
diversa, Edith, come riferimento della propria vita, per non abbandonarla
e non sentirsi abbandonata, la porterà ad abbracciarne la stessa
esistenza accettando di diventare portinaia nel convento di Colonia e
a condividerne successivamente il destino di morte .
Degne di una grande regista sono le immagini che esplorano il convento
tutto al femminile, il chiuso di esistenze che si aprono solo nella ricerca
di Dio ma che devono confrontarsi con la quotidianità, le reazioni
naturali che devono essere represse e controllate dall'amore delle più
anziane, quel aleggiare sempre di luce proveniente da finestre o fessure
poste in alto, o da porte che si aprono e subito si chiudono. E "la
settima stanza" (lo stadio finale tracciato da Santa Teresa D'Avila,
l'ultimo che porta diritto verso la conoscenza suprema) luogo simbolico
tanto agognato, cercato, desiderato con una passione umana oltre l'umano,
sarà da Edith spiegata a una conversa la sera prima del giorno
culminante dei voti, la quale, fiduciosa chiede aiuto nella confusione
e paura al momento della grande scelta. E come una parabola la costruzione
di Santa Teresa viene esposta da Edith che con amore e disponibilità
saprà mostrare e far intravedere alla giovane donna, che non sarà
mai suora, la strada da intraprendere, finalmente chiara, scoperta per
la sua vita umana, dove il desiderio forte di maternità troverà
legittimazione e sostegno da parte di un'altra donna.
Così dalla immagini della gioia "mondana" della cerimonia
dei voti, si ritorna alla tragedia: i tempi ormai non perdonano nulla,
Edith dovrà pagare per scoprire cosa si cela dentro la settima
stanza.
La scena finale, impareggiabile nella sua essenzialità, squarcia
l'oscurità, gli occhi sbattono, le pupille, che colpite dal bagliore
del bianco, a fatica rintracciano i contorni dell'immagine: Edith che
rende il suo corpo nudo, piegato a forma fetale, alla madre, in un ultimo
grande abbraccio materno ma anche filiale, certo d'amore.
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