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Biografia
e filmografia
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Il
più bel giorno della mia vita
regia
di Cristina Comencini, Italia, 2002
di Donatella Massara
Dopo avere visto
Il più bel giorno della mia vita i primi commenti di noi
tre amiche, all'uscita dall'Anteo sono stati: è recitato male,
che brutti dialoghi, non c'è niente di profondo.
Antonello Catatacchio recensisce il film su Il Manifesto (13,4,2002)
e dice - invece - c'è << l'impegno degli attori>>,
<<i dialoghi sono buoni>> però il film è inconsciamente
fatto per il piccolo schermo, per il vasto pubblico domestico, quindi
incapace di affascinare la platea di un cinema. Aggiunge che in questo
film tutto scivola un po' via, nonostante il tentativo di non dare torti
e ragioni e mostrare che i punti di vista soggettivi non c'entrano nelle
rotture che pure avvengono.
Se per leggere un film il piglio della riscrittura è il meno
divertente, quello della recitazione è secondario perché
è solo una delle tante chance del cinema e se è vero che
per essere un capolavoro un film può anche non fare il verso
alla Divina Commedia, allora mi piacerebbe trovargli altre chiavi di
lettura.
Dice bene una di queste mie amiche individuando il significato principe
del film nella difesa della famiglia che si mantiene come nucleo protettivo
pur rompendosi alcuni legami. E' un ambito utile, la famiglia, di questi
tempi. La regista infatti costruisce un ampio intreccio di personaggi,
femminili e maschili tutti, in vario modo, imparentati. Ci sono sei
femmine, sette con la moglie di uno, solo citata, e otto maschi, più
tre potenziali solo citati. Fanno contorno una cameriera e i giudici
e il P.M. nella scena del tribunale. Nonostante ci siano più
uomini che donne, il film mette in primo piano la soggettività
femminile. Questa è confermata dalla linea matriarcale delle
parentele. I maschi entrano come esterni, salvo il figlio maschio, e
però omosessuale, nella famiglia della moglie, e infatti gran
parte delle scene si svolgono nella grande casa materna.
La madre vorrebbe perpetuare questa parentela, trasmettere la sua grande
casa, che va a pezzi, dice, ed è per questo che non gli va a
genio che il figlio sia omosessuale. Ma alla fine accetta lo stato delle
cose. Le figlie, invece, hanno vicende domestiche 'imperfette'; vissute
dall'interno esse sono grandi drammi, anche se non muore nessuno. Una
figlia è vedova con un figlio che le dà preoccupazioni,
comunque, anche se non beve, non si droga, studia, non ha la fidanzata,
appunto; l'altra figlia non sopporta più il marito, e anche se
ha due figlie si è innamorata di un veterinario. La madre sa
che tutto questo suo mondo famigliare non è perfetto. Il fascino
discreto della borghesia è al suo culmine, di soldi non si parla,
le contraddizioni si coprono con il buon senso e la reticenza ma nessuno
è felice di quello che fa ed è. C''è disponibilità
a cambiare? Di questo fondale 'soggettivo' e determinante per la vita
di ognuna e ognuno, le protagoniste sono inevitabilmente le donne e
scontate sono le loro scelte eterosessuali, ma altrettanto conformiste
e quiete quelle omosessuali. Queste nostre compatriote, dunque, vivono
una vita amorosa in un'Italia con la paura dei ladri, ma mettendosi
poi con un ex-militare accusato di tentato omicidio passionale della
moglie che lo aveva tradito e poi condannato a due anni. L'occasione
di conoscere l'amante veterinario per l'altra sorella avviene nei gruppi
terapeutici contro il fumo. E nonostante tutto questa vita amorosa e
essenziale ha le sue entusiasmanti realtà. Tanto che alla fine
si avvera la preghiera della più piccola del gruppo che il giorno
della prima comunione chiede a Gesù di fare scendere sui parenti
la spada della verità. La verità arriva ma senza che ci
se ne accorga perché tutte e tutti ne erano già al corrente.
La famiglia si ricompatta, mai riuscirà a lasciarsi perché
peggio delle nevrosi famigliari c'è pur sempre la morte, o il
mondo che non si nomina.
I dialoghi quindi, forse non sono affatto buoni. La recitazione pure
non è tanto impegnata, benchè il film accolga i migliori
attori e attrici professionisti del cinema italiano, sono Sandra Ceccarelli,
Margherita Buy, Virna Lisi, Luigi Lo Cascio, il giovane debuttante Francesco
Scianna e Ricky Tognazzi e altri dei quali non conosco il nome. Se anche
attraverso la recitazione non si capisce immediatamente qual è
la sfida della regista non c'è impegno.
Qual è dunque la sfida della regista che vuole raccontarci morale,
filosofia, psicologia di un gruppo di italiane e di italiani del ceto
alto (per una vedova mantenere una villa è un bello sforzo) romano?
C'è la libertà femminile a prevalere. Nonostante i mariti
continuino a essere gelosi, fino all'arresto, trovano poi quella che
li comprende, e che riaggiusta l'onore ferito. E anche questa grande
capacità di perdonare è libertà femminile.
Guardato di sbieco e facendo saltare le coordinate famigliari il film
parla dello scambio degli uomini fra le donne. Gli uomini sono tutti
abbandonati dalle donne, se non sono morti, ma vengono in qualche maniera
scambiati fra le stesse, mantenendo una serena circolarità della
pace fra gli esseri umani.
Che cosa è cambiato dunque, in questi anni, nella società
italiana cattolica, e pur divorzista, abortista disponibile a perdonare
la diversità ?
Tutto e niente perché altra sfida della regista - a mio modestissimo
parere che critica cinematografica non sono - è fare vedere che
il corpo sociale dei 'suoi' personaggi è sano e compatto; è
una sfida perché rivolgendosi al grande pubblico che ne sente
di tutti i colori, l'inconscio potrebbe fare capolino immaginando turpitudini:
incesto, pedofilia, e chi più ne ha più ne metta.
Niente di tutto questo. Con un'abile miscela, questa sì, di immagini,
la regista, ci porta tutto in scena, quindi sesso in abbondanza fra
gli amanti e sentimenti scoperti fra i parenti. Il distillato del film
rimane un amore paterno dolorosissimo e purissimo e un amore filiale
e materno tenerissimo e molto umano: le basi della famiglia che non
è più patriarcale e non è 'matriarcale'.
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