Questo
film mi è molto piaciuto come già quello precedente, Thirteen,
opera prima della regista. In rete ci sono recensioni che ne descrivono gli aspetti
più seducenti.
Il
film immette in una storia, quella della West Coast nella metà degli anni
'70, con la sua musica, l'atmosfera di vacanzitudine e libertà. Se è
già capitato, questa volta l'invenzione di uno stile di vita giovane avviene
tenendo il tono basso sull'ideologia e la politica. Eppure, dentro alle immagini
dei volteggi e delle corse sullo skateboard ho sentito una forza che ha ugualmente
un coefficiente di verità e di baldanza, altrettanto rivoluzionario come
quello del '68. Qui l'alfabeto delle immagini esibisce ciò che con più
fatica rintracciamo fra i figli e le figlie dei fiori; c'è in scena la
forza erotica dei maschi adolescenti, chiamati a rappresentare la sessualità
degli adolescenti, indistintamente presi; infatti le ragazze, che li stanno a
guardare, sono altrettanto espressive di cosa significhi essere sixteen years
old. Il film dice questo: quei giovani atleti e quelle giovani donne, che non
facevano altro che goderseli e accalappiarseli, non corrono nè sulle onde
nè sulla strada, mettono in danza la loro sessualità, e fanno delle
loro esistenze campioni di successo.
In
questo film c'è tanto della capacità americana di celebrarsi. Però
mi è piaciuto che la regista non si tiri affatto indietro, non moraleggi
e si butti a capofitto. E allora racconta come arriva il successo ai figli del
quartiere più povero di Venice, ai ragazzi di pelle bianca e con i capelli
biondi, anche se latino americani. A Dogtown i ragazzi e le ragazze sono rabbiosi
e grintosi ma dotati di uno squisito e avveduto selfcontrol.
E' questa mescolanza
di coraggio e di misura, fra arte dell'acrobazia e musica, ovviamente la bellissima
di quegli anni, che riesce a ridarci un pezzo di storia, magari romanzato, a volte
anche assurdamente appiccicato su fondali di cartapesta, ma tiene bene la sfida
di mettere in moto idee, ricordi
e i confronti di periodi storici diversi e di paesi lontani. Su questo presente
azionato all'indietro, biopico, giocano a favore alcuni accorgimenti; il ragazzo
protagonista di Elephant è Stacy Peralda, uno degli skateboarder,
oggi, sceneggiatore del film, che ha assicurato successo fra la critica; tante
e tanti si sono sentiti Z boys, in USA. So che a alcune mie amiche non piacerà,
quelle a cui piace la musica lirica, quelle che non sono esattamente in sintonia
generazionale, quelle che dicono ma qui i protagonisti sono maschi. Attenzione
in questo film c'è molta musica rock, forte e le scene sono rapidissime
tutte dedicate ai volteggi etc; il film è ambientato nel 1976; io, che
non conoscevo la vicenda me ne sono accorta metà. Infatti qualcosa non
mi tornava, il film mi stava piacendo e non capivo bene quando stava avvenendo
tutto ciò, con una musica che conoscevo e non capivo come.
Vuol dire
che il segno del passato c'è con suggestioni che avvertiamo anche se non
sappiamo definirle esattamente. E' vero ci sono tutti questi ragazzini ma lo sguardo
è femminile, la regista sa quello che fa e qual'è la sua posizione;
ce lo dice infatti quando sulle scene finali dispiega la musica di Wish you
were here dei Pink Floyd, 1975, ma è una donna a cantarlo.