Donne e conoscenza storica
     


Catherine Hardwicke

Lords of dogtown di Catherine Hardwicke, USA, 2005

di Donatella Massara

 

 

In Rete:
la recensione di Cinematografo.it

con la trama e tante notizie sul film e la storia

 

Questo film mi è molto piaciuto come già quello precedente, Thirteen, opera prima della regista. In rete ci sono recensioni che ne descrivono gli aspetti più seducenti.

Il film immette in una storia, quella della West Coast nella metà degli anni '70, con la sua musica, l'atmosfera di vacanzitudine e libertà. Se è già capitato, questa volta l'invenzione di uno stile di vita giovane avviene tenendo il tono basso sull'ideologia e la politica. Eppure, dentro alle immagini dei volteggi e delle corse sullo skateboard ho sentito una forza che ha ugualmente un coefficiente di verità e di baldanza, altrettanto rivoluzionario come quello del '68. Qui l'alfabeto delle immagini esibisce ciò che con più fatica rintracciamo fra i figli e le figlie dei fiori; c'è in scena la forza erotica dei maschi adolescenti, chiamati a rappresentare la sessualità degli adolescenti, indistintamente presi; infatti le ragazze, che li stanno a guardare, sono altrettanto espressive di cosa significhi essere sixteen years old. Il film dice questo: quei giovani atleti e quelle giovani donne, che non facevano altro che goderseli e accalappiarseli, non corrono nè sulle onde nè sulla strada, mettono in danza la loro sessualità, e fanno delle loro esistenze campioni di successo.

In questo film c'è tanto della capacità americana di celebrarsi. Però mi è piaciuto che la regista non si tiri affatto indietro, non moraleggi e si butti a capofitto. E allora racconta come arriva il successo ai figli del quartiere più povero di Venice, ai ragazzi di pelle bianca e con i capelli biondi, anche se latino americani. A Dogtown i ragazzi e le ragazze sono rabbiosi e grintosi ma dotati di uno squisito e avveduto selfcontrol.
E' questa mescolanza di coraggio e di misura, fra arte dell'acrobazia e musica, ovviamente la bellissima di quegli anni, che riesce a ridarci un pezzo di storia, magari romanzato, a volte anche assurdamente appiccicato su fondali di cartapesta, ma tiene bene la sfida di mettere in moto idee,
ricordi e i confronti di periodi storici diversi e di paesi lontani. Su questo presente azionato all'indietro, biopico, giocano a favore alcuni accorgimenti; il ragazzo protagonista di Elephant è Stacy Peralda, uno degli skateboarder, oggi, sceneggiatore del film, che ha assicurato successo fra la critica; tante e tanti si sono sentiti Z boys, in USA. So che a alcune mie amiche non piacerà, quelle a cui piace la musica lirica, quelle che non sono esattamente in sintonia generazionale, quelle che dicono ma qui i protagonisti sono maschi. Attenzione in questo film c'è molta musica rock, forte e le scene sono rapidissime tutte dedicate ai volteggi etc; il film è ambientato nel 1976; io, che non conoscevo la vicenda me ne sono accorta metà. Infatti qualcosa non mi tornava, il film mi stava piacendo e non capivo bene quando stava avvenendo tutto ciò, con una musica che conoscevo e non capivo come.
Vuol dire che il segno del passato c'è con suggestioni che avvertiamo anche se non sappiamo definirle esattamente. E' vero ci sono tutti questi ragazzini ma lo sguardo è femminile, la regista sa quello che fa e qual'è la sua posizione; ce lo dice infatti quando sulle scene finali dispiega la musica di Wish you were here dei Pink Floyd, 1975, ma è una donna a cantarlo.