Alla fine
della visione del film che vedrete e rivedrete magari per la prima volta
quasi sicuramente vi chiederete se questa storia non sia più
che la storia di una madre, l'immagine che una figlia ha di sua madre.
Non sbaglierete perché è la stessa regista a ammetterlo.
Avrebbe voluto fare un film <<di soggettività materna,
ed è venuta fuori una madre vista con gli occhi di una figlia>>.
Su questo testo sfuggitole dalle mani, l'autrice interviene anche alla
vigilia della presentazione a Cannes e rinuncia alla scena finale.
Avremmo visto la madre e la figlia ancora più simili, la figlia
con i capelli rossi tagliati come la madre per sottolineare i due opposti
che si rivelano analoghi, e un monologo di Carla Gravina che dispiega
il significato sottaciuto del suo personaggio, "l'incesto mancato".
La regista in altre parole toglie di mezzo quello che è secondo
lei il peggiore ostacolo al film: lei stessa, lei con il suo io/lui,
carica di memoria acquisita che diffida delle immagini e le rincorre
mettendogli sotto le parole.
Un'altra caratteristica
del film che sicuramente è interessante è il modo di
raccontare il tempo, che scorre sull'arco di una sola giornata e sul
quale la regista avvolge i ricordi. E' brava e ci conduce dentro e
fuori il tempo reale e quello immaginato, usando i colori dei vestiti,
gli oggetti spostati e variati, ma anche le scelte registiche di messa
in scena, l'inquadratura fissa per il tempo reale e il piano sequenza
per i ricordi, il passato atemporale.
Il film si presenta
subito come un prodotto speciale, unico; infatti la regista lo insegue
- dopo che è uscito - con una sceneggiatura pubblicata con
le Edizioni delle Donne alla quale allega uno scritto originalissimo,
una postfazione che aveva richiesto a Luce Irigaray che riinterpreta
il film e traduce le immagini in parole calandosi nella parte della
figlia. La sceneggiatura è la ricostruzione a film finito dei
dialoghi e delle immagini alle quali è accompagnato il commento
della regista. A questo lavoro nel libro segue lo scritto struggente
e poetico, L'una non sogna senza l'altra, dove la psicoanalista rivolge
lo sguardo e la parola a una madre soggetto della sua vita ma anche
simbolo di ombra e lutto, che lei definisce <<corpo estraneo
a una conoscenza propria>>.
Così conclude il testo << E l'una non si muove senza
l'altra. Quando una viene al mondo, l'altra ricade sotto terra. Quando
una porta la vita, l'altra ricade sotto terra. Quando una porta la
vita, l'altra muore. Da te aspettavo che, nascendo io, lasciandomi
vivere, tu restassi viva.>>
La storia di Maternale
prosegue, nel 2005, una ragazza Eva van der Plas che vive in Olanda
ed è una studiosa di italiano chiede all'Ass. Lucrezia Marinelli,
a Laura Modini di inviarle un duplicato del film, ed è così
che esce la ristampa in olandese della sceneggiatura di Maternale,
il film viene proiettato a Amsterdam e Giovanna Gagliardo è
invitata a presentarlo a un pubblico di donne di più generazioni.
Maternale era
stato presentato in anteprima e con esiti lusinghieri al New York
Film Festival nel maggio 1978, è poi invitato al Festival di
Cannes, partecipa in ottobre dello stesso anno alla III rassegna del
cinema femminile che le Nemesiache organizzano a Sorrento, viene anche
presentato in Germania e la rivista Frauen und Film intervista l'autrice.
E' accolto molto bene in Italia soprattutto fra la stampa femminista,
Noi Donne gli dedica due articoli a distanza di poco tempo e colloca
uno dei due in una intera sezione dedicata a Madri e figlie: un'amicizia
quasi impossibile. L'articolo è di Marisa Fumagalli che intervista
Giovanna Gagliardo. Patrizia Carrano parla benissimo del film - in
maggio dello stesso anno sempre su Noi donne: <<Costato pochissimo
Maternale è un film adulto, consapevole, di straordinaria
maturità e di grande bellezza>>. In marzo del 1979 anche
Effe decide di dedicare un'intervista alla regista definendo Maternale,
il primo film italiano sul rapporto madre-figlia.
Lo slancio verso il film si colloca in un contesto di dibattito politico
molto vivace sulla regia femminile, il cinema delle donne, e le altre
figure professionali femminili, attrici, tecniche, lavoratrici televisive.
In quegli anni ci sono vari convegni soprattutto di professioniste
o aspiranti a esserlo nel mondo del cinema. Nascono collettivi di
donne che fanno anche insieme film e video. Ne avevamo già
parlato in un incontro di due anni fa con Isabella Bruno, Liliana
Ginanneschi e Clelia Pallotta che le aveva presentate. In quell'occasione
avevamo visto il loro film collettivo Affettuosamente Ciak.
A Milano, Napoli, Genova, Roma, Verona e Bologna partono le prime
rassegne di cinema femminile. A volte sono studentesse che autogestiscono
le proiezioni dentro l'Università come succede nel '77 con
un gruppo di giovani nell'Istituto di Comunicazione e Spettacolo di
Bologna. Altre rassegne sono organizzate su scala internazionale come
Kinomata; riprendono anche in queste sedi i dibattiti; inoltre sono
molte le donne a cui facevamo riferimento come autrici di film, di
documentari e di video militanti, considerati i primi di un genere
che sarà molto usato, anche recentemente fra i movimenti giovanili.
Il 1978, in particolare,
è considerato un anno importante per il cinema delle donne.
A Cannes che assegna la Palma d'oro a Olmi per L'albero degli zoccoli,
un film neutro sono moltissime le donne presenti, registe, attrici,
sceneggiatrici e le donne sono considerate le vere protagoniste del
festival.
Giovanna Gagliardo non arriva per una strada appartata al suo film.
Aveva fatto parte di gruppi di autocoscienza e di un collettivo femminista
romano sul cinema ed è lei che scrive un articolo per Rinascita
(l'unico con la sua firma in quegli anni) alla fine del 1976 per raccontare
la prima rassegna di Kinomata e descrivere i film visti, commentarne
il valore e entrare nel merito del dibattito in cui sentiamo tutta
la sua passione.