Sono molto grata
a Milli Toya che attraverso i film alla 'sua ' maniera racconta la
nostra storia, quella delle femministe in Italia in questi anni. Nei
film precedenti ho visto soprattutto le relazioni femminili indagate
attraverso la rivoluzione paradossale dell'umorismo e dell'ironia,
riguardate attraverso l'analisi di inattese paranoie e di aspettative
ansiolitiche. In questo nuovo film il racconto sconfina decisamente
nel terreno dell'invenzione fantastica. Le relazioni singolari, la
dinamica del conflitto e delle affinità elettive, sono lasciate
al privato. E' invece a tema la politica sottoposta a una domanda
epocale. C'è una specie di restaurazione di una comunità
quasi medievale tutta femminile con leggi e principi e a una Madre
è consegnato il potere conferitole dalla conoscenza e dall'uso
di pietre misteriose. E' qui dove due pellegrine stranite vanno a
incappare. Sono la solita Laura (Silvana Strocco) selfconfident,
pretenziosa e astuta in compagnia della stessa Milli alias Rossella,
la solita fifona, rivendicativa e quasi sempre di malumore.
Lo stile del film è quello di sempre: guarda e racconta senza
sovrastare chi assiste allo spettacolo. Può sembrare poco più
di un gioco fra amiche. Un clima di allegra brigata è accentuato
dalla famigliarità dei personaggi, dalla recitazione più
teatrale che cinematografica, utile però a non distrarre e
a riportare a tema, a discutere. Nonostante questo abbiamo a che fare
con una macchina da presa che secondo i canoni non si vede. Solo un
accenno di sguardo in macchina della madre nella scena, madre anche
lei, fa mostra di una cinepresa presente, considerata, punto attivo
della costruzione e non puro meccanismo tecnico. E' qui dove il film
svela la sua intenzione discorsiva: nel duetto-disputa fra la Madre
e la più Milli che Rossella, in questo caso, che discutono
sulla politica delle donne. Quindi il film non ha alcunché
di sperimentale eppure la mia mania per la storia del cinema mi spinge
a collocare Milli e le sue compagne nella scia molto femminile delle
autrici indipendenti che hanno dato moltissimo al cinema e alla sua
storia, penso alla prima in assoluto la Alice Guy Blachè, ma
poi a un'altra pioniera, chiamata addirittura 'la madre di tutte noi'
la fondatrice del cinema indipendente americano, Maya Deren, oppure
a una protagonista della nascita del Free cinema inglese, l'italiana
Lorenza Mazzetti o nel filone del cinema gay a Barbara Hammer una
delle prime documentariste della storia lesbica. In realtà
anche il cinema di Milli è frutto di tantissimo lavoro. Il
bellissimo finale che non svelo prosegue significativamente nei titoli
di coda, e va inteso. Perché ci mette di fronte al grande lavoro
del film. Vediamo il coinvolgimento di tante donne che lavorano dentro
e fuori la scena con passione e convinzione, la complessità
del lavoro di regia e l'acquisizione di competenze che svolge Milli
sia per il montaggio che per le scelte di messa in scena, la individuazione
delle locations che sono questa volta molto differenziate anche
se apparentemente omogenee.
Il film gioca
per tutta la durata a convogliare verso la sua meta ottimale la risoluzione
dell'enigma che è allo stesso tempo un puro meccanismo narrativo
insito nel giallo e anche e di più il dilemma politico sul
potere femminile, chiedendosi, attraverso la sempre meno stupita Rossella
e le altre donne della comunità, se c'è un lascito del
femminismo, chi e come saprà usare le pietre, in altre parole
queste sono l'intuizione fondante che ha avviato ognuna verso scelte
inattese e che forse alla nostra nascita, erano in parte previste,
perché già nostra madre ne è stata la componente
attiva. Il film domanda in un clima di assoluta leggerezza, e ci specchiamo
in una folgorante scena erotica lesbica, quanto siamo ciò che
siamo e se è possibile possa esserci complotto, odio o insulsa
indifferenza (la sottrazione delle pietre) fra le donne come nell'autorità
materna, politica nonché simbolica. Le protagoniste sono tutte
donne in carne e ossa perché questo è il passo che compie
un'opera cinematografica gettando la comunicazione sul versante delle
immagini. Le donne non ne sono ancora così abituate, perché
se l'immaginario è una parte di noi e del nostro benessere
è anche il primato della parola e dell'astrazione che ha vinto
in questi anni per mettere a tema la politica. La sfida del film è
la pretesa di riparlare del movimento delle donne e del potere fra
donne e se c'è e di chi è lo sguardo che desidera ci
sia.