Donne e conoscenza storica
         
 


Le pietre del sapere di Milli Toya, Italia, 2006

di Donatella Massara

 

 

Sono molto grata a Milli Toya che attraverso i film alla 'sua ' maniera racconta la nostra storia, quella delle femministe in Italia in questi anni. Nei film precedenti ho visto soprattutto le relazioni femminili indagate attraverso la rivoluzione paradossale dell'umorismo e dell'ironia, riguardate attraverso l'analisi di inattese paranoie e di aspettative ansiolitiche. In questo nuovo film il racconto sconfina decisamente nel terreno dell'invenzione fantastica. Le relazioni singolari, la dinamica del conflitto e delle affinità elettive, sono lasciate al privato. E' invece a tema la politica sottoposta a una domanda epocale. C'è una specie di restaurazione di una comunità quasi medievale tutta femminile con leggi e principi e a una Madre è consegnato il potere conferitole dalla conoscenza e dall'uso di pietre misteriose. E' qui dove due pellegrine stranite vanno a incappare. Sono la solita Laura (Silvana Strocco) selfconfident, pretenziosa e astuta in compagnia della stessa Milli alias Rossella, la solita fifona, rivendicativa e quasi sempre di malumore.

Lo stile del film è quello di sempre: guarda e racconta senza sovrastare chi assiste allo spettacolo. Può sembrare poco più di un gioco fra amiche. Un clima di allegra brigata è accentuato dalla famigliarità dei personaggi, dalla recitazione più teatrale che cinematografica, utile però a non distrarre e a riportare a tema, a discutere. Nonostante questo abbiamo a che fare con una macchina da presa che secondo i canoni non si vede. Solo un accenno di sguardo in macchina della madre nella scena, madre anche lei, fa mostra di una cinepresa presente, considerata, punto attivo della costruzione e non puro meccanismo tecnico. E' qui dove il film svela la sua intenzione discorsiva: nel duetto-disputa fra la Madre e la più Milli che Rossella, in questo caso, che discutono sulla politica delle donne. Quindi il film non ha alcunché di sperimentale eppure la mia mania per la storia del cinema mi spinge a collocare Milli e le sue compagne nella scia molto femminile delle autrici indipendenti che hanno dato moltissimo al cinema e alla sua storia, penso alla prima in assoluto la Alice Guy Blachè, ma poi a un'altra pioniera, chiamata addirittura 'la madre di tutte noi' la fondatrice del cinema indipendente americano, Maya Deren, oppure a una protagonista della nascita del Free cinema inglese, l'italiana Lorenza Mazzetti o nel filone del cinema gay a Barbara Hammer una delle prime documentariste della storia lesbica. In realtà anche il cinema di Milli è frutto di tantissimo lavoro. Il bellissimo finale che non svelo prosegue significativamente nei titoli di coda, e va inteso. Perché ci mette di fronte al grande lavoro del film. Vediamo il coinvolgimento di tante donne che lavorano dentro e fuori la scena con passione e convinzione, la complessità del lavoro di regia e l'acquisizione di competenze che svolge Milli sia per il montaggio che per le scelte di messa in scena, la individuazione delle locations che sono questa volta molto differenziate anche se apparentemente omogenee.

Il film gioca per tutta la durata a convogliare verso la sua meta ottimale la risoluzione dell'enigma che è allo stesso tempo un puro meccanismo narrativo insito nel giallo e anche e di più il dilemma politico sul potere femminile, chiedendosi, attraverso la sempre meno stupita Rossella e le altre donne della comunità, se c'è un lascito del femminismo, chi e come saprà usare le pietre, in altre parole queste sono l'intuizione fondante che ha avviato ognuna verso scelte inattese e che forse alla nostra nascita, erano in parte previste, perché già nostra madre ne è stata la componente attiva. Il film domanda in un clima di assoluta leggerezza, e ci specchiamo in una folgorante scena erotica lesbica, quanto siamo ciò che siamo e se è possibile possa esserci complotto, odio o insulsa indifferenza (la sottrazione delle pietre) fra le donne come nell'autorità materna, politica nonché simbolica. Le protagoniste sono tutte donne in carne e ossa perché questo è il passo che compie un'opera cinematografica gettando la comunicazione sul versante delle immagini. Le donne non ne sono ancora così abituate, perché se l'immaginario è una parte di noi e del nostro benessere è anche il primato della parola e dell'astrazione che ha vinto in questi anni per mettere a tema la politica. La sfida del film è la pretesa di riparlare del movimento delle donne e del potere fra donne e se c'è e di chi è lo sguardo che desidera ci sia.