L'avversario di Nicole Garcia, regia e partecipazione all'adattamento
dei dialoghi e alla sceneggiatura della regista. E' un film importante,
tratto dal romanzo di Emanuele Carrère L'avversario
(Einaudi, 2000) dedicato a Romand, l'uomo che nascose per anni e anni
di non essere medico della OMS, a Ginevra, e che, scoperto, uccise
la moglie, la figlia, il figlio e i genitori. Il film esce in Italia
in un momento in cui avversario evoca immediatamente l'altro, il nemico
fuori di noi e in guerra. Nella soggettività contemporanea,
maschile e femminile, è ancora possibile distinguere fra ciò
che è in noi, e ciò che è fuori ? Perché
di questo parla il film di Nicole Garcia.
L'ombra junghiana, o il diavolo che nomina Jung, riferendo a Freud
sul suo rapporto extra-medico con Sabina Spielrein, è sempre
e solamente una parte di noi? Oppure è possibile accusare il
padre, il figlio, il marito l'onnipotente maschio salvando desideri
femminili che l'hanno evidentemente spinto a simulare ? In questo
caso l'avversario, il folle, è fuori di noi, collocato in una
quotidianità certamente distratta, anche egocentrica e soprattutto
avvolta in una routine opaca. Nessuno e nessuna per anni, quindi,
vedono l'amico-nemico perché ogni personaggio fa esattamente
sempre le stesse cose, apparentemente. Il piano salta perchè
il suocero comincia a avere i suoi desideri, e li dice, decide di
spendere i soldi che ha in banca e aveva affidati al genero, anni
addietro. Finchè ha a disposizione i soldi l'avversario gioca
la sua parte, credendo di fare felice chi gli sta intorno. La mancanza
di soldi, il pericolo di essere scoperto mette in pericolo la compattezza
di un mondo falso, però non del tutto. La falsità è
visibile solo sotto un punto di vista convenzionale. Perché
il protagonista va a Ginevra, segue le conferenze pubbliche alla Organizzazione
Mondiale per la Sanità, legge e si informa come se fosse veramente
medico. L'amico di sempre con cui ha condiviso l'università,
interrogato dice che avevano preparato gli esami insieme e l'altro
era pure più bravo di lui. Conferma di non avere sospettato
mai nulla.
Daniele Auteuil il bravissimo interprete che Nicole Garcia si è
scelta con giudizio, porta in scena la posizione della regia risulta
distaccata, non colpevolizza, mostra i fatti senza suggerire né
le cause sociali né quelle psicologiche. E' la stessa regista
a dire:<< Ho voluto scrivere la tragedia di una normalità
smarrita, allo stesso tempo famigliare e incredibile. La storia di
un uomo che non ha voluto dispiacere a nessuno e che ha preferito
uccidere che provocare dolore agli altri>>.
L'avversario è l'incarnazione dell'idea del male come l'ha
pensata la filosofia. Male come assenza, mancanza di essere, così
è stato detto in Platone e anche in Agostino, e a lui manca
proprio quello che vorrebbe essere.
Nella nostra società tuttavia chi possiede l'oro, equivalente
universale, riesce a colmare la mancanza e a volte alimenta anche
il bene, è l'esaurimento del filone aureo che fa vedere l'assenza
di essere, a volte, diventando male; in questo caso l'amico fidato,
il padre affettuoso, il marito innamorato, il figlio solerte, il genero
responsabile diventano il nemico, l'assassino.
Mi domando se anche per una donna il male sia assenza di essere o
se nella storia di una donna si metta in evidenza l'opposto della
mancanza, vale a dire la perseveranza della fedeltà a se stessa.
Anche dove le condizioni reali sono terribilmente mancanti, le donne
perseverano a tenersi i pezzi di una società arrangiandosi
a fare diventare oro non quello che luccica ma tenendosi quello che
non è oro, non luccica e che la propria esperienza, però,
fa risaltare. E' quello che mette allo scoperto la moglie dell'avversario;
lei, senza rendersene conto approfitta dell'assenza, garantita la
continuità di una follia salva fino ai limiti del possibile
la sostanzialità della pura apparenza, quindi la bellezza immanente
in una vita così come è, una scelta di conservazione
sparita con lei.
Il problema della
cosmetica del nemico, come dice il felice titolo del romanzo di Amélie
Nothomb (A.N. Cosmetica del nemico, Voland, Roma, 2003), mette
fuori di sé la domanda sul senso dell'essere, sposta sul manichino
interno l'esternazione delle nostre malefatte, adornandole di buone
ragioni. Nel romanzo di Nothomb l'avversario è un altro fino
alla fine del testo come scissione della psiche.
C'è un nemico che per conoscerlo bisogna "andare dietro
allo specchio". E' questa la formulazione della congolese di
Contes cruel sur la guerre (Congo, 2002) quando, all'inizio del
documentario ci avverte che incontrerà i guerrieri della armata
Cobra. Ibea Atondi, la regista, sa che dovrà spostare il proprio
baricentro per accettare una diversità irriducibile a sé,
non può che guardare senza avere alcuna immagine di sé
per comunicare con i guerrieri, impenitenti macchine assassine, drogati
fino ai limiti della coscienza.
Ricostruzione storica però anche finzione ha definito lo sceneggiatore
Marcello Fois
Ilaria Alpi. Il giorno più
crudele, Italia,
2003 (regia di Ferdinando Vicentini Orgnani, attrice protagonista:
Giovanna Mezzogiorno). Il film racconta la scoperta dei traffici di
rifiuti tossici e di armi che ha portato all'assassinio della giornalista
di RAI 3 e di Miran Hrovatin, il cameraman freelance che girava i
suoi reportage in Somalia. Il regista mantiene nel film i nomi veri
e i fatti narrati della storia ricostruita in tre libri. (Barbara
Carazzolo, Alberto Chiara, Luciano Scalettari, Ilaria Alpi. Un
omicidio al crocevia dei traffici, Postfazione di Luciana e Giorgio
Alpi, Baldini & Castaldi, Milano, 2002, Giorgio e Luciana Alpi
... et al., L' esecuzione: inchiesta sull'uccisione di Ilaria Alpi
e Miran Hrovatin, Milano, Kaos, 1999, Roberto Cavagnaro, Franco
Fracassi, Gabriella Grasso, Ilaria Alpi: vita e morte di una giornalista;
con contributi di Alessandro Curzi e Maurizio, Roma, I libri dell'Altritalia,
1995).
Il film di Nicole
Garcia invece non è un documentario, non è una trascrizione
letterale, neppure una ricostruzione storica, è un film ispirato
a un romanzo e racconta una storia reale. Attraverso l'immaginario
questa storia produce riflessione sotto un velo di lucida pietà.
Oltre questo sentimento che il film sollecita ci sono le domande:
per il protagonista c'era piacere nella vita che conduceva ? L' onnipotenza
di voler essere la copia simulata di altri, condizione artefatta del
potere fa pensare che fosse proprio questo il godimento.