Donne e conoscenza storica

 

Palabra de mujer regia di Silvia Ponzoda, Spagna, 2004, 51'

di Donatella Massara

Il documentario di Silvia Ponzoda Palabra de mujer è bello. Regista e fotografa propone tre interviste a tre note scrittrici arabe dove sia le parole che sentiamo per i 50 minuti del video sia le immagini che ci accompagnano sono scelte con attenzione per conservare il senso di incontri eccezionali e immedesimativi. Queste donne non occidentali, al centro in quanto arabe di un conflitto che ci angoscia e facciamo fatica a volte a ricondurre nelle vene della razionalità comune, in questo piccolo testo cinematografico, tacitamente sfidano i luoghi abituali della lotta politica fra maschi per concentrarsi sulla ben conosciuta familiarità delle donne con la scrittura e con la propria storia. Il merito della regista e autrice delle interviste è di avere catturato quel sottile filo con cui le donne, sotto ogni latitudine, a parole costruiscono sapere, aprono spazi di testimonianza, elaborano immaginazione. Siamo davanti a immagini e parole del simbolico femminile. Il film in me ha fatto nascere il desiderio di cercare e leggere i libri delle scrittrici arabe, confrontarli e confrontare nello scarto che esiste fra di loro, l'immagine che danno di sé, collocarle nel corso di un tempo che le tiene da noi distanti, facendoci percepire le esperienze che hanno vissuto, ma anche avvicinandole nella comune storia delle donne che parla attraverso le generazioni femminili. Esse diventano più vicine, se guardate come punti di coordinate temporali, unite per affinità di storia generazionale più che per prossimità fisica, geografica, culturale.

La storia del femminismo in situazioni così diverse dalla nostra, italiana e occidentale, testimonia attraverso queste donne le sue punte di alterazione, movimentando un quadro al quale apparteniamo tutte e dove improvvisamente avvengono i cambiamenti epocali. Salti repentini che siamo avvertite non significano mai progresso né regresso, ma impennate dove i colori della terra che descrivono affondano nella vita personale. Escono allo scoperto allora amori fra donne clandestini in situazioni dove il sesso femminile può muoversi solo in macchina in compagnia di un uomo. Emerge un racconto delle ore solari dove le donne sono sotto un cielo dove emerge una strana libertà.
Sarebbe stato interessante proseguire in questa scoperta andando a intervistare anche scrittrici arabe di nuova generazione, quelle nate fra gli anni settanta, ottanta, novanta
Ci aiuta la rete perché se difettano le traduzioni ufficiali, al sito di Le Luminarie trovate una sezione Scrittrici arabe dove Asma Gherib traduce testi di scrittrici arabe. C'è quindi l'attività della casa editrice "A Oriente!" di Anna Schoenstein (http://www.bab-levante.net/) che pubblica opere orientali con testo a fronte. Nella serie di racconti, sempre con testo a fronte, fra le scrittrici arabe ha pubblicato Cielo Lontano della giovane egiziana Hana' 'Atiyyah (tradotta da Stefania Angarano) - dalla hindi la novella la Sposina della scrittrice indiana Citra Mudgal, nella collana Ratnamala - Gemme - curata dall'indologa Alessandra Consolaro. Con la rivista A Oriente! ha affrontato la lingua araba, l'indonesiana, la hindi, la turca, la giapponese, la cinese, l'afgana (dari), la neopersiana (con versi della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad) e le molte lingue dell'India (tra cui hindi e bengalese).

Nawal Al Saadawi è conosciutissima per la sua fiera opposizione al governo egiziano e per il femminismo apertamente schierato verso le donne del suo paese di cui si fa portavoce, maestra, poeta. E' stata incarcerata, in esilio in USA e adesso vuole definitivamente lasciare l'Egitto. E' una donna della vecchia generazione pre-fondamentalista che parla della sua diversità di bambina, adolescente e poi donna piena di sogni che non sono più tali perché è riuscita a realizzarli.
Assomiglia Nawal Al Saadawi a una delle protagoniste del bellissimo film algerino Barakat ! di Djamila Sarahaoui (vincitore nel 2006 del Premio per il miglior film africano al Festival del cinema africano, Asia e America Latina 16a edizione di Milano). Sono donne che hanno lottato per l'indipendenza del loro paese e che ricordano con orgoglio le compagne di Università che negli anni '50 non portavano il velo, costrette entrambe adesso a sentirsi isolate in una società, femminile, che ha adottato le rigide norme politico-religiose.
Nawal è però una figura reale. Inaspettata- nel film spagnolo - anche perché non altrettanto sottolineata nell'autobiografia (Una figlia di Iside, Nutrimenti, 2003) - è la riconoscenza verso la madre. <<Ho sempre sognato di andare lontano, conoscere altre genti, altri paesi>>, <<Mia madre ammirava le scienziate, avrebbe voluto studiare ma non ha potuto, ha avuto nove figli e mi diceva che aveva bisogno di usare la sua mente non solo fare figli come una coniglia>> <<Ho realizzato il suo sogno che era anche il mio: diventare una scrittrice, letta in tutto il mondo>> .

Nasce sedici anni dopo di lei Hanan Al Shaykh. Libanese si allontana decisamente dal suo paese nel 1975 non sopportando la guerra civile, terrorizzata dall'idea che ci fossero uomini appostati dietro le finestre e che potessero sparare a chi volevano. Adolescente aveva deciso di studiare al Cairo, tornò poi in Libano dove ha lavorato come giornalista in un quotidiano, ha vissuto in Kuwait per anni e adesso vive a Londra. Viene ritenuta una innovatrice dei contenuti letterari della generazione che l'ha preceduta.
Avvertiamo nel film, quando parla di sua madre che divorzia da suo padre, quando lei e la sorella sono ancora bambine, la sua sensibilità. E' negli sporadici e meravigliosi incontri con la madre che nacque la sua scrittura <<Mi rimaneva nelle orecchie il suo canto che era così meraviglioso e correvo a scrivere quelle sensazioni per fermarle almeno con la scrittura>> E' una emotività speciale quella a connotare la scrittura, è <<l'essere come una spugna>> che assorbe cosa c'è intorno; le esperienze che diventano raccontabili, acquistano uno spessore, una ragione solo attraverso la scrittura, non la parola verbale. E' molto diversa dalle altre l'immagine che ci dà di sé come scrittrice.
Nawal è una gigante anche della parola verbale, chiamata a tenere discorsi pubblici fino dai tempi del collegio, quando ironicamente ci racconta, citava i versi del Corano, infiammandosi e l'uditorio l'applaudiva. In Firdaus, il suo romanzo più noto, tradotto in Italia da una delle prime collane editoriali dedicate alle donne, la Giunti, la protagonista è una donna che assorbe nella sua storia la vicenda di migliaia di donne. Firdaus ha una soggettività unica e corale, affiancata all'autobiografia di Nawal Al Saadawi ne prende in alcuni punti la voce, quasi le due lingue si confondono in una sola, ma anche si allontana bruscamente per sollevarsi nella sua unicità di 'assassina' che condanna lo sfruttatore. Sfruttamento delle donne che non è una condizione precipua di Firdaus ma indica il lascito secolare, il destino e la storia non naturale ma politica del sesso femminile.

Sono storie di donne in relazione fra loro, quelle di Hanan Al Shaykh (Donne nel deserto, Jouvence, 2001). Donne differenti ma accostate nell'unica situazione geografica, il deserto e la sua monocolore dimensione di spazio dove ogni cosa si riduce, anche i rapporti umani, a imitare i "ruderi istantanei"; edifici che sorgono negli insediamenti del petrolio, delle multinazionali, dei soldi e della insuperabile noia per le donne di questi ceti benestanti. E simili sono anche i sentimenti quando raccontano la debolezza femminile, la dolcezza dell'amore della figlia per la madre contrastato dalla subalternità a norme durissime come i matrimoni combinati.

C'è poi una grande scrittrice marocchina Janata Bennuna - mai tradotta in italiano, un libro tradotto in spagnolo (Janata Bennuna, El espejo acusador : (Antología de relatos): retrato de una mujer marroquí , estudio introductorio y traducción del árabe Guadalupe Sáiz Muñoz. - Granada : Universidad, 1991) che parla di sé come <<la figlia del Marocco>>. Nata nel 1940 nel video parla solo arabo, a volte anche in dialetto marocchino, mentre Nawal e Hana parlano inglese. Ci racconta come cominciò a scrivere a 14 anni. C'è la sua fotografia in seppia opacizzato dagli anni, con le trecce mentre parla al microfono attorniata dai giovani maschi. Scrive però per le donne e di donne, politicamente orientata verso il genere umano. I pensieri le passano attraverso la mente diventando subito parole che scavano il senso e non pare contemplare la possibilità che ce ne sia un altro, oltre a quello che dà lei. Lavoro perfezionista lo chiama, con il quale fa stare insieme tre figure: la direttrice di istituto, la professoressa e non la scrittrice - come potremmo pensare - ma l'educatrice. Non sappiamo molto della sua vita personale. Quello che è certo e che non si è sposata, non quando a 13 anni avrebbe dovuto essere assegnata a un uomo come tutte le sue simili. Fu uno dei capi del Movimento Nazionale del Marocco a intercedere dicendo a suo padre che <<Una ragazza come lei il Marocco non l'aveva mai avuta>>. Fuori dal destino comune delle donne in cerca di marito o ricercate come mogli Janata, invece, scrive e fa politica. E' lei a fondare Suruq la prima rivista per donne nonostante che in ogni età lei avverta estranea agli interessi del suo sesso.
E' una straordinaria figura femminile che ci fa entrare nella sua casa piena di specchi incrostati di pietre, di mobili intarsiati, di versetti del Corano scritti e appesi su falde di tessuto prezioso e mentre offre il tè nei bicchieri di vetro fiorito.

Ogni scrittrice è richiamata a chiudere il video. Janata si inoltra lungo la spiaggia stupenda di Casablanca in pantaloni e cappellino a visiera, sbucano i capelli corti colorati di hennè e i piccoli pendenti, tiene sottobraccio un' esile giovane creatura avvolta di veli chiari che svolazzano all'aria rossa del tramonto mediterraneo.