Donne e conoscenza storica
         

Bibliografia

Immagine-storia tempo della storia delle donne nel cinema

Altri documenti correlati:

Lettera alle associazioni femminili lombarde

Fare storia delle donne attraverso i documentari italiani (2000-2006)

Per pensare la storia delle donne: una filosofia dell'origine)

Il cinema e la somiglianza di noi con la storia

Recensioni di film di storia

Nel sito:

Recensioni

Testi e articoli di storia del cinema delle registe

Rassegna stampa


Immagine-storia -tempo nelle registe


(Intervento di Donatella Massara per il XII Simposio IAPH Associazione Internazionale delle Filosofe (30-8/4-9, 2006) - Workshop Storia e memoria- Roma 31-8)

Storia delle donne nella storia del cinema delle registe.

Ho creato cinque anni fa il website Donne e conoscenza storica con una sezione FILM dove posto recensioni e articoli sui film a regia femminile.
Ho costruito nel sito un discorso apposito sulla storia nei film delle registe. Faccio una politica di relazione con donne che condividono la mia stessa passione come Laura Modini, Nilde Vinci, Silvana Ferrari. Per il 2007 vorrei distribuire alcuni film indipendenti di storia delle donne. E' un impegno politico che mi assumo quest'anno convinta che siano utili a mettere al presente la storia femminile. L'allegato n.1 che si intitola Care amiche dell'Associazione è la lettera con cui intendo proporre una raccolta di titoli di film alle Associazioni femminili lombarde. La caratteristica di questi film è di rappresentare la storia delle donne avvalendosi della ricerca documentata. Il mio obbiettivo è sollevare dibattiti, arrivare a una raccolta di testimonianze, di giudizi, di parola fra le donne e gli uomini che raccoglieranno la proposta.

Nel numero di Signs del 2004 intitolato "Film Feminism", la rivista fa il punto sulla Film Feminist Theory, Il dibattito in lingua inglese nato nel 1973 intorno al celebre saggio di Laura Mulvey Piacere visivo e cinema narrativo. E' la stessa Laura Mulvey a indicare, nel suo intervento, la prospettiva di sviluppo del pensiero delle donne verso <<la storia femminista alternativa>>. Questa storia riconfigurata attraverso le storie raccontate offrirebbe un notevolissimo punto di partenza per mettere in questione la temporalità. Laura Mulvey ci mette di fronte alla rottura avvenuta nella storia del cinema dopo il 1980; quando la pellicola in 16mm con cui erano girati molti film indipendenti costa sempre di più viene generalizzato l'uso delle nuove tecnologie video e digitali. Le immagini impresse sulla vecchia pellicola di celluloide, <<con il loro carattere familiarmente non indexicale>>, possono acquistare nuovo valore come fonti d'archivio. La studiosa inglese denuncia che nel nostro presente dove predomina il neoimperialismo liberista, <<le sue vittime sono incredibilmente perdute nella storia>>. Queste immagini che apparterrebbero a un periodo arcaico sono comunque fatti in varia misura documentanti che le nuove tecnologie possono ritrasformate per creare coscienza. Se comprendere il tempo è reso ancora più difficile nell'era del digitale l'unione fra le vecchie e le nuove tecnologie -dice la Mulvey- <<ci fa intravedere altre temporalità conciliabili con la guida irrevocabile del tempo narrativo lineare.>>


Il film di storia fa ripartire il tempo da una origine convenuta. Il tempo storico parte con una origine propria. C'è una decisione che impone un punto di vista ricco di soggettività propria. (cfr. il mio testo Per pensare la storia delle donne: una filosofia dell'origine)

La storia cinematografica lesbica ha dato un grande contributo alla storia delle donne, cito qui due grandi registe Barbara Hammer, Su Friedrich e una più giovane Gabriella Romano, che di loro si ritiene allieva. Hanno inventato modalità di comunicazione innovative e interessanti. Barbara Hammer della quale è stata presentata per la prima volta una retrospettiva a Immaginaria nel 1998, in History Lessons riscopre film, spezzoni immagini di materiale di varia provenienza che rispondendo all'immaginario maschile sul lesbismo mostra relazioni fra donne. Sono reperti degli archivi del movimento lesbico, appartenenti a film di carattere scientifico, medico-sanitario, educativo e soprattutto pornografico. I film sono stati maternamente riconfigurati dalla Hammer seguendo una precisa scansione temporale: l'inizio della storia del cinema, 1896, e Stonewall, 1969, quando nasce il movimento politico lesbico. Ricontestualizzare questo materiale e proporlo al presente quando per la prima volta siamo di fronte al potere lesbico è stato l'obiettivo della regista. Le immagini sono montate con molta ironia, con humor e disinvolta levità la pornografia lesbica è alternata agli spezzoni dei film di repertorio dove vediamo le soldatesse gentilmente inquadrate nell'esercito americano durante la seconda guerra, intersechiamo anche scene di film collegiali degli anni '30 e ci ritroviamo sul primo piano di Eleanor Roosvelt che tiene un discorso a eleganti signore riunite in convegno. Nonostante lo sguardo divertito la regista fa una messa in scena molto seria della storia delle donne; il risultato è di mettere tutte le donne nel continuum lesbico di cui parla Adrienne Rich e anche Simone De Beauvoir, quando sosteneva che tutte le donne sono all'origine attratte dal proprio sesso.
Su Fredrich anche lavora creativamente sulla propria storia. E proprio i suoi Personal films sono stati presentati in retrospettiva nel settembre di quest'anno al Moma di NY. Ha influenzato per sua ammissione Gabriella Romano che, dopo film girati in Inghilterra dove ha vissuto per 15 anni, ha fatto ricerca storica sulle lesbiche italiane durante gli anni del ventennio. Pazza d'azzurro, presentato nel 1996 al festival gay e lesbico di Torino, è una ricerca di testimonianze sulla vita matrimoniale e mai pubblicamente nominata di due donne Flafy Mazzuccato e Nietta Aprà; la vera storia delle due donne la racconta il diario di Nietta, letto dalla voice over mentre due donne interpretano nel film la loro vita in comune, privata e appartata, più che nascosta. Il testo di Nietta non è mai stato pubblicato e Gabriella quando lo legge scopre che era tutto dedicato all'amore che la univa a Flafy; l'altra scena era dunque oscurata ma era anche sotto gli occhi di tutti. La regista -anche per un debito verso l'amica Nietta- la mette in scena. Il risultato è di grande affascinazione anche perché induce a pensare al coraggio vincente del desiderio femminile che c'è senza chiedere esistenza.
L'immagine-storia nei film delle registe è prevalentemente femminile. E non è collettiva; fa eccezione Bellissime di Giovanna Gagliardo. Anche lo sguardo del cinema femminile, come nell'arte, è rivolto direttamente alle proprie simili.
Lo dico a ragion veduta. Nel sito che ho citato trovate una mia ricerca Fare storia delle donne attraverso i documentari italiani (2000 - 2006) che conferma questa tendenza. Disponibile anche verso i documentari a regia maschile dove è presente un soggetto femminile, che non sia il solito discorso sulla prostituzione, ne ho trovati in realtà pochissimi. Viceversa ci sono film di registe dedicati a uomini politici, ai ragazzini o con l'attenzione rivolta a una situazione sociale e politica, storica. Alcuni di questi titoli sono citati nella Bibliografia.

Il montaggio di immagini -storia connette le donne lungo l'asse temporale e storico. Le registe a volte mettono a disposizione la storia propria, usando documenti visivi, le testimonianze, la scrittura privata come fonti primarie. Espongono la storia personale per farla diventare pubblica. Il gesto di rendere pubblica una storia privata, cerca testimonianza e ascolto e crea il tessuto della storicità femminile. La spettatrice non può identificarsi però entra in relazione, sa e racconterà, approfondirà, o meglio estenderà il senso, avvantaggiandosi dell' ipertestualità sinestetica. C'è una intromissione nel nostro spazio visivo-uditivo che ci espone a una esperienza conoscitiva; dove le donne sono protagoniste è in arrivo un risultato insperato, un guadagno di visibilità e di memoria collettiva. Una capacità di stare nella soggettività di altre, di partire da sé e come dice Luisa Muraro "di non farsi trovare"
La storia per sé parla a tutte. C'è un'enfasi dell'autrice su se stessa che diventa esperienza conoscitiva per il pubblico. Il film accenna, allude a una condizione nel tempo che trova posto nella nostra memoria. C'è l'esposizione a un'esperienza che produce l'idea di quel tempo e di quello spazio.

Un film-documentario molto speciale è Un'ora sola ti vorrei di Alina Marazzi probabilmente prende molto del suo successo dalla compresenza di elementi differenti che ci tirano dentro. La storia che Alina Marazzi racconta è quella di sua madre, morta suicida dopo il ricovero in una clinica per la cura della malattia mentale. Le testimonianze sono i filmati e le fotografie dell'infanzia, dell'adolescenza e poi della vita adulta della madre, la voce fuori campo è quella della regista che parla come se fosse la madre che le racconta la sua storia. Il film crea un supporto di identificazione, affatto lineare. L'unicità di Lisely Hoepli sollecita però le parti nascoste della soggettività femminile; sono il residuo di memoria che guardiamo con commozione ma anche con il disincanto di una risposta mancata. Riporto la confessione di Laura Lepetit coetanea della protagonista del film: <<Questa sarebbe stata la mia storia se non avessi incontrato il femminismo>>. E' una prova della ricchezza che proviene dal dibattito politico quando c'è l'occasione creata da film sulla storia delle donne.

Avvertiamo la narrazione storica attraverso alcuni dispositivi: l'uso del flash back, della voice over, del recupero di un'estetica pittorica attinente al periodo trattato nella scenografia e nei costumi. Il film di finzione recupera in un mondo scomparso le tracce di emozioni del presente ma anche vuole condizionare il nostro modo di guardare il passato. A Isabel Coixet, regista laureata in storia, riesce particolarmente bene la messa in scena in A los que aman di una narrazione del passato. La storia delle passioni umane è senza tempo, fantastica e poetica. E' il dispositivo narrativo però che ci fa voltare indietro, i flash back danno il ritmo con cui il film va ascoltato, come se rivelasse faticosamente qualcosa, che esce piano dal passato arrivando a un presente, interno al film, ancora irrisolto.

In Germania pallida madre di Helma Sanders Brahms la libertà che porta una madre e una figlia a girare per la Germania occupata le mette in un rapporto di amore che non finirà mai ma questa situazione è anche densa di pericoli. Lena, alla fine della guerra, ha il volto che la paralisi divide a metà e che lei tiene nascosto con un drappo nero. Anche Lena e la sua bambina sono accompagnate dalla voce fuori campo della figlia adulta, la regista stessa, che si rivolge alla madre e creando le immagini della memoria racconta la loro storia, che è anche la storia tedesca.

Nella splendida e originale scena di Orlando di Sally Potter Tilda Swinton corre e attraversando il labirinto vediamo che esce dal settecento per trovarsi nel secolo dopo. La ritroviamo nella scena successiva aperta dal titolo Ottocento gettarsi a bocconi su un prato a catturare i profumi della natura. La spazialità e la temporalità nel cinema lavorano affiancate restituendoci dove lo vogliamo vedere il tempo della storia, fra scansione di metafore e accostamento di significati opposti.

Maggie Humm nel saggio "Postmodernism and Orlando" (pag.146) dice che è proprio l'attenzione alla superficie, intesa come storia, che fa precisamente di Orlando sia come libro, in anticipo, che come film, una impresa postmoderna, distintiva e rappresentativa di una cultura che mette chi guarda in una posizione interessante e individua quindi nella visibilità un mezzo di conoscenza, produttiva di nuove idee della soggettività.


Nel film di Patricia Mazuy Saint Cyr dedicato a Madame de Maintenon, l'ultima moglie del Re Sole, e al collegio per giovanette da lei voluto, dopo i titoli che scorrono su Madame de Maintenon e il Re Sole a letto, le ragazze che saranno maestre nel collegio corrono lungo la strada per Saint Cyr. La mdp le aspetta al punto di arrivo e noi le vediamo avanzare con le larghe gonne sollevate per non inciampare, le vediamo avvicinarsi come se volessero entrare nel grand siécle per accelerare i tempi della libertà femminile. E' il tempo della modernità che il film ci sta raccontando.
Non è la stessa intenzione di Agnes Varda che nel 1961 in Cleo dalle cinque alle sette, uno dei film che inaugurano la Nouvelle Vague dirige la <<bellissima farfalla>>, la sua protagonista per un'ora di tempo quasi reale in una lunga passeggiata attraverso Parigi. E' questo il tempo necessario per raggiungere l'ospedale dove riceve l'esito di analisi. E' una donna allo stesso tempo bellissima e malata, ammirata e nervosa, preoccupata del proprio stato di salute e affascinata da sé ogni volta che si guarda nello specchio.
Alla fine del film Cleò dirà al ragazzo che l'ha accompagnata: "la malattia è grave ma ci sono delle speranze". E' questo già il tempo storico della post-modernità, forse antistorico, certamente un tempo che non ha più la grandezza della storia monumentaria. Il tempo postmoderno sarebbe antistorico. Ma agli esordi del pensiero della postmodernità c'è una donna che fa un film su di una donna. Il film parla della vita e della sua durata; in due ore cronometrate materializza al nostro sguardo un corpo femminile affatto eterno. Come dice la stessa Vardà: <<sempre mi ricordo di Cleò>>. E' successo che è stata interrotta la stagione del cinema classico narrativo. C'è una donna che entra nel tempo, attraversa una città abitata da donne che guidano i taxi e parlano del loro lavoro. Cleò incorporata nella pellicola irrompe nella storia quotidiana, oltre che nella storia del cinema. Non è un caso che Agnes Vardà continui la sua carriera di regista indipendente con molti documentari originali come Daguerréotypes, Agnes B. e Les glaneurs et la glaneuse.

La storia del sempre maggiore interesse femminile per la documentazione visiva della storia delle donne inizia negli anni '70 quando si diffonde l'uso della video registrazione e diventano film militanti visti fra le donne dei collettivi femministi i documentari prodotti dalla televisione come Processo per stupro girato da un collettivo di sei registe italiane, fra le quali c'era Annabella Miscuglio. E fra le altre anche Loredana Rotondo che ha continuato il suo impegno in RAI dove ha prodotto dopo il 2000 importanti documentari per la storia delle donne dedicati a Carla Lonzi, Amelia Rosselli, Goliarda Sapienza, Paola Levi Montalcini e Anna Maria Ortese con la regia di Gianna Mazzini, Emanuela Vigorita e S. Danese.
Il video femminista è una delle prime esperienze di video militante. Durante gli anni '70 escono film importanti per la storia delle donne, la filmografia di Margarethe Von Trotta è ricca di titoli di contatto con la storia femminile, Sorelle, Anni di piombo, Lucida Follia e altri. Così è per la ricerca di altre registe di questi anni tedesche, francesi, americane, italiane. Sono preziose per la ricerca in questi anni le riviste Effe, Noi donne, Quotidiano Donna e Il Paese delle donne perché riportano articoli, recensioni, rubriche che commentano i film con un 'attenzione alla figura femminile e quando c'è alla regista-autrice. L'attenzione delle registe alla storia femminile collegata alla Resistenza continua la sua tradizione iniziata nel 1965 dal documentario di Liliana Cavani La donna nella Resistenza.
In questa sede intendo però presentare, attraverso i titoli di base la mia ricerca sullo spoglio di 20 anni della rivista Leggere Donna che ha sempre dedicato una attenzione precisa ai film delle registe.
E' individuabile un momento di svolta e di rafforzamento di questo interesse che la rivista segnala, dopo di che il lavoro va affrontato e questa è una prima traccia che spero possa essere utilizzata.
Agli incontri di Laboratorio Immagine Donna di Firenze del 1989 al convegno tenuto per Pandora, una rete europea che intendeva sostenere il cinema delle donne, la sociologa Annie Goldmann lamentava: <<che ovunque le documentariste sono relegate nel settore "bambini" e per di più con possibilità ridotte>> (Leggere Donna gennaio-febbraio 1990). C'è un segno di cambiamento perché sempre a Firenze viene proiettata in anteprima il film di Chantal Ackerman Histoire d'Amerique una ricerca sulle sue radici ebraiche, <<un collage di microstorie che gli attori raccontano>> a volte descrivendo la propria storia di emigrazione dalla Polonia. E' però nel 1996 che alla terza edizione di Torino del Festival Internazionale di cinema delle donne Leggere Donna si accorge che <<L'importanza della memoria del rintracciare una propria storia sembra essere ben presente nelle registe; un fenomeno da osservare è il fiorire di documenti (filmici ma anche letterari) sulle guerre, sui campi di sterminio, sulle atrocità del nostro secolo e su come le donne le hanno affrontate>>.(Leggere Donna, luglio-agosto n.63 1996)
Ed è proprio da questo momento dopo le guerre nella ex Jugoslavia, la fine del mondo bipolare, l'interesse sempre maggiore per le e i testimoni sopravvissuti alla Shoah e il diffondersi dei film a tematica lesbica - fra i quali viene premiato a Torino il documentario Paris was a woman - che inizia un maggior interesse delle registe per la storia. Esce sempre in quell'anno I shot Andy Wharol di Mary Harron, dedicato a Valerie Solanas, autrice di S.C.U.M. . Nel 1997 esce un grande film sulla storia di una donna, La settima stanza dedicato alla filosofa Edith Stein di Marta Meszaros. Artemisia passione estrema di Agnes Merlet è dedicato a Artemisia Gentileschi.

Alla XX edizione degli Incontri di Cinema e Donne di Firenze Gabriella Imperatori scrive che <<l'unica rivoluzione non fallita è stata quella femminile. Che sia una rivoluzione riuscita lo prova, tra l'altro, il fatto che sono sempre meno le opere filmiche di lamentazione o denuncia, sempre più numerose quelle ispirate alla ricerca storica o alla rappresentazione sociale, in cui i problemi - ovviamente non tutti risolvibili - sono visti con maggior distacco critico e spesso con il filtro dell'ironia>>. Anche le registe italiane sono <<ormai lontane dai modi storici della denuncia che ha caratterizzato gli anni '70 (nel collettivo Io sono mia, per esempio) e propense invece a costruire storie in cui l'eventuale giudizio scaturisca spontaneo dal plot. Più mature e professioniste insomma, più capaci di fornire risposte sia sul mondo delle donne che sul mondo tout court, pronte a confrontarsi o a proseguire da sole, a sperimentare e a recuperare, inseguendo anche le nuove tecnologie in una ricerca appassionata e appassionante. Non tutti i risultati sono eccellenti, ma spesso lo sono assai meno quelli di numerosi prodotti che non sono affatto opere eppure passano e soggiornano a lungo nelle pubbliche sale>>. (Leggere Donna gennaio-febbraio 1999).

Escono film di finzione che registrano attentamente la realtà sociale delle donne, in rapporto alla guerra, Civilisées di Randa Chahal Sabbag, alla situazione di crisi economica, La Voleuse di Saint Lubin di Claire Devers, le documentariste come Pratibha Parmar, indiana vengono definite di una specie nuova per lo stretto e nuovo contatto con la fiction (Leggere Donna, novembre -dicembre 1999). Nel 2000 esce Boys don't cry dedicato alla storia di Teena Brendon opera prima di Kimberley Peirce, una documentarista e ricercatrice universitaria che aveva fatto per cinque anni raccolta di documenti sul caso della ragazza lesbica travestita da uomo ammazzata a Falls City nel Nebraska. A Torino vince il primo premio But I was a girl di Toni Baumans sulla vita di Frida Belinfante, prima donna direttrice d'orchestra in Olanda. Esce nello stesso anno La chambre oscure di Marie Christine Questabert, tratto da una novella di Boccaccio su una medica un film interessante per l'idea di tempo, per il contenuto e per la ricostruzione storica. Anche alla Mostra del cinema di Venezia dove esce fra gli altri film di registe, Sud Side Story di Roberta Torre, Gabriella Imperatori segnala che <<Cronaca e documentarismo sembrano un'altra delle cifre dominanti in questa edizione della Mostra>> (Leggere Donna settembre ottobre 2000).

Nella edizione del 2001 della Mostra del cinema diverse donne sono coinvolte nel progetto "Diari della Sacher", sono documentari di mezz'ora su storie di gente comune ricavate dai diari dell'Archivio Diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. Esce nel 2001 presentato alla rassegna femminile fiorentina (XXIII edizione) Le streghe della notte di Emanuela Audisio che con l'uso di materiale fotografico trovato casualmente a Mosca documenta la storia fino ai nostri giorni delle aviatrici mandate nella notte a bombardare la Germania. Il film è segnalato <<per l'interesse storico e il rigore stilistico>> (Leggere Donna novembre -dicembre 2001). La TV svizzera produce Sottosopra. La Rivoluzione più bella del XX secolo regia di Gabriele Scharer, dedicato alle teologhe e alle femministe del pensiero della differenza.
Anteprima a Bologna di Ma il furore dei nostri sguardi di Loredana Alberti film-documentario sui casi di ospedalizzazione fra il 1867 e il 1894 nel manicomio di Bologna.
Anche Immaginaria del febbraio 2002 presenta documentari interessanti: L'altro ieri di Gabriella Romano in cui 5 donne descrivono la vita delle lesbica nel periodo fascista. Barbara Hammer presenta My Babushka: Searching Ukrainian Identities. La regista è andata in Ucraina a cercare notizie e informazioni sui suoi nonni materni. Il taglio autobiografico prende una svolta più ampia interessando tutte al metodo che vorrebbe spiegare il mondo come è oggi. Nel 2003 agli Incontri di cinema delle donne di Torino vince il premio della giuria il documentario Der Glanz von Berlin. Le regine della polvere di Judth Keil e Antje Kruska. In primo piano ci sono tre donne delle pulizie. Le registe <<dicono di essere state mosse dal desiderio di filmare delle donne che non fossero esaltate dalla pubblicità e dai media>> <<Nient'altro che tre storie comuni, che rivelano quanto di straordinario ci possa essere nelle persone comuni, non toccate dal glamour e dal successo>>.(Leggere Donna maggio-giugno 2003)

Esce L'Isola di Costanza Quatriglio, la docu-fiction di una fra le migliori giovani documentariste italiane. Esce Monster di Pat Jenkins. Esce nel 2004 Mobbing. Mi piace lavorare di Francesca Comencini, un film sul lavoro femminile che indica come una rivoluzione è avvenuta e non necessita di dichiararsi, agisce. (Leggere Donna gennaio-febbraio 2004). Esce anche Rosenstrasse di Margarethe Von Trotta dedicato alle donne che si opposero a Hitler quando gli portarono via i mariti perché di razza ebraica.

Esce nel 2005 Il resto di niente dedicato a Eleonora di Fonseca Pimentel.
Nota Gabriella Imperatori al 26° incontro di Cinema e Donne di Firenze che: <<Sono sempre più abili le documentariste, le cineaste sanno fondere il reportage con la fiction, il racconto-verità>>. In questa edizione vediamo: :<<Documentari che sembrano film dunque accanto a film ispirati spesso alla realtà e ai suoi mutamenti>> (Leggere Donna gennaio febbraio 2005).

Nel 2006 è la volta di North Country di Niki Caro dedicato alla prima americana che denuncia una impresa per gli abusi sessuali che lei e le compagne subivano da parte dei compagni di lavoro.