Donne e conoscenza storica
         

Immagine-storia

 

 

 

 

Storia del movimento femminista in Italia
REGIA DI Lorella Reale
FOTOGRAFIA DI Gianpaolo Bucci e Gaetano Amalfitano
MONTAGGIO DI Valentina Massimi
PRODUZIONE Aleph Film di M. Buono, P. Riccardi per RAI EDUCATIONAL
AUTORI Michele Buono, Lorella Reale, Piero Riccardi
autrice del documentario con 110, I, 2006 parte II

 

di Donatella Massara

Se il documentario Bellissime di Giovanna Gagliardo suscita i nostri entusiasmi perchè manda avanti quasi solo donne ritagliate dai contesti, inserendole in una storia tutta femminile, questo documentario di una giovane autrice, affiancata da due autori, abbassa le pretese femminili e ricolloca le donne in una storia dove gli uomini vi sono. E' in questo senso tutt'altro che galvanizzante. Alcuni inserti smorzano gli entusiasmi di chi guarda anche quando il testo storico ha ragione di accenderli. Ci sono stati periodi della nostra storia in cui avevamo l'impressione di non dormire mai e il documentario li annuncia come esplosione dei movimenti. L'entusiasmo dura poco, nella scena successiva quando Federica Giardini pone il suo punto fermo: <<Essere donna fra donne non ha valore negli anni '70, una donna si definisce solo come moglie di, sorella di, figlia di>>. Veramente pensavo in quegli anni di contare per quello che sono, ma non solo io, già mia madre era molto orgogliosa della sua vita da ragazza nei collegi femminili. E se io e mia madre insieme non contiamo nulla, ci sono stati pur sempre i romanzi delle donne, da Sibilla Aleramo a Alba De Cespedes alle storie americane della Luisa Alcott, che non dicevano esattamente questo. E' il diritto di famiglia, sì è vero, che cambia in Italia solo nel 1974. Ma il movimento femminista non andava dietro alle leggi.

Dunque è questa storia del movimento femminista, non peggiore di altre, quelle poche che ci sono state, considerazione che incoraggia comunque a sostenere il film, la sua autrice, i suoi autori, nonostante le discordanze di scelta di regia e nel giudizio.

Le donne che l'hanno visto non tutte concordano con la valutazione della filiazione del femminismo dal '68. Nè io penso sia nata la voglia di stare fra le donne per un disagio di mancata modernizzazione, di promesse scadute sull'arco di più generazioni, come dice il commento. Sentiamo affermare che una donna nuova alla fine degli anni '70 presenta se stessa nella politica. Una politica profondamente ridiscussa dal movimento delle donne, non a caso chiamata :"un nuovo modo di fare politica". Le donne vivevano infatti nel presente una rivoluzione, agivano nella rivolta femminile il collettivo delle donne, il non è detto iniziava a trovare parole, la pratica del sottosopra dava qualcosa di grande e incommensurabile; in quegli anni sono state accumulate aperture, sapere, piacere in ogni parte della società che ancora adesso sono la rendita simbolica per le nuove generazioni.

E' la presenza di Lea Melandri che determina con maggiore decisione la tensione del movimento femminista verso la politica. Con molta efficacia spiega che le donne andavano nella direzione antitetica alla storia pubblica, sceglievano le case per parlarsi, l'autocoscienza come pratica e il separatismo per definire se stesse come soggetti politici che volevano trasformare attraverso di sè i rapporti della vita privata e la loro presenza in quella pubblica. E' una rivoluzione destinata a scuotere le colonne portanti della società ma usando la radicalità
dell 'appartenenza a se stesse, al proprio sesso, alla creatività della soggettività coltivata appositamente per realizzare una nuova società femminile. E gli uomini ? Erano già stati interpellati per gestire con noi una crisi politica che ci coinvolgeva e finirono per accettare la spinta a ridistribuire le certezze maschili su più soggetti, non solo la compagna al loro fianco.

E' sul risultato del separatismo che il documentario dunque difetta. Gli inserti in cui fa capolino l'immaginario sono quasi tutti organizzati sulla coppia. Deserto rosso (1964), Noi donne siamo fatte così (1971), anche Ecce Bombo (1978) ma addirittura in Thelma e Louise (1991) - dove due donne sole e insieme - Susan Sarandon e Geena Davis, compiono l'eroica e comune scelta finale c'è un maschio -Harvey Keitel, poliziotto- che le insegue. Nè manca un Carosello con un'allegra famigliola aiutata da un robot. Eppure ci sono stati in quegli anni decine di film, immagini, testi scritti dalle donne per mettere davanti anzitutto a sè e alle altre le relazioni fra donne. Queste scelte di grande radicalità nascono da convivenze, pratiche di autocoscienza, legami che sorgono fra le donne e che raccontano un'avvenuta rivoluzione, una pratica che metteva subito in essere i desideri riconosciuti. E' una politica che va oltre la protesta, il rifiuto, la condanna. E questa tensione a essere subito nel presente, che è la creatività delle donne, oggi le giovani generazioni, ho già constatato, non la accolgono, non la capiscono, magari la intuiscono.

Un uomo per la voice over (v.o. voce fuori campo) è una scelta inspiegata che lascia l'impressione voglia collocarsi in una presunta oggettività. Impossibile a cogliersi se non elaborata. Lontana dal contesto di cui si sta parlando accentua la traccia statica della storia indagata, nonostante l'intelligenza della stesura. Gli interventi di uomini (il sociologo, il ginecologo, l'epidemiologo, lo storico) assumono un peso notevole e sommati al commento spostano il tempo maschile che parla al femminile a 16' e 33". E' una sfida al tempo degli interventi femminili 'autorevoli' che è di 15' e 46". In realtà gli esperti parlano per neanche 2' e mezzo e tuttavia vanno a spostare il peso della loro presenza a sfavore delle donne se calcolati insieme ai 14' di commento della v.o.

Ci sono le immagini scelte, volute e dirette dalle donne e durano complessivamente per 11' e 15". Questo tempo supera quello degli altri inserti , già citati, che è di 8' e 49", comprensivo di 1' e 20" dei Comizi d'amore (1965) di Pier Paolo Pasolini. Riguardando più volte il filmato ho scoperto che le testimonianze dirette delle donne sono la parte più interessante del film, quella che resiste all'usura dell'ascolto. Occupano 12' e 37". Troppo poche a mio parere, poco anche lo spazio di citazione, risolto con la lettura di 40" in v.o. dai testi di Rivolta Femminile. Sono queste donne che parlando di sè raccontano di un mondo non ancora del tutto conosciuto dall'analisi storica. Su di esso si intrecciano fantasie, le interpretazioni imprecise, a priori progressiste, confortanti per un presente che correrebbe verso la trasformazione dei suoi residui senza pensare che potrebbe invece stare liquidando le sue efficaci resistenze.

Dove il documentario racconta gli esordi del nuovo femminismo, prima del '68 - sia con Secondo sesso di Simone de Beauvoir e sopratutto con gli scritti del Demau degli anii '60, le immagini-storia sono per lo meno incomprensibili. Un montaggio parallelo su schermo diviso in due fa entrare in scena, semplicisticamente, la pensatrice a fianco di una scena non memorabile di repertorio mentre nella sequenza successiva combina un gruppo di giovani donne (figlie dei fiori) con un inspiegabile grigio ufficio dell'anagrafe dove un impiegato davanti a un'utente tira fuori da sotto un registro un probabile libretto di istruzioni. Che sia l'interpretazione di una nascita ? dell'aggregazione medesima? del femminismo italiano? nuove regole per l'iscrizione civile? Direi che ci voleva qualcosa di più incisivo per renderci degna di memorizzare un'immagine storica. Inoltre perchè non nominarne le autrici ? Daniela Pellegrini, Lia Cigarini, Elisabetta Rasy note a tutte ? Bella la scena d'epoca delle donne che scrivono in cucina mentre il commento parla del femminismo americano e degli scritti di Betty Friedan.

Le testimonianze delle donne, anonime o che non si qualificano per qualche titolo professionale nè per essere portavoci del femminismo le troviamo negli spezzoni di Si dice donna, la trasmissione di Tilde Capomazza (programmata dal 1977 al 1981), in un minuto di letture di testimonianze in v.o., l'unico, femminile, nelle riprese di Processo per stupro . E' a questo film del 1979, un documento veramente eccezionale voluto dal collettivo delle giornaliste della Rai e prodotto nel 1978 che il documentario dedica più tempo, 8' e 9" di riprese che ne fanno vedere l'importanza. E' forse ovvio che i cineasti guardino al passato professionale che gli è vicino e trovino modo di capire di più attraverso di esso. Perchè sì il femminismo c'è stato e loro lo vogliono capire, ma chi lo condivideva - forse si sono domandati ? Un film arrivato nelle case di milioni di persone permette di ragionare più distesamente.

Io invece ho fatto una considerazione. Chissà perchè non annotare che non è forse stato del tutto casuale che cosa del femminismo è rimasto in pellicola, forse è stato sensibilmente prescelto dalle donne anche se non è stato coscientemente voluto.
Non sono state riprese le riunioni del movimento femminista dove molte donne si sarebbero sottratte, nascoste, avrebbero rifiutato di essere oggettivate - se così posso dire - parlando di sè fuori da una relazione diretta. E' invece il primo processo pubblico con il movimento femminista costituitosi parte civile che passa negli annali della TV. Protagoniste donne che sono entrate in sintonia con le femministe attraverso una triste, brutta, angosciosa vicenda, e che ne evocava un'altra ancora peggio, avvenuta anni prima nel 1975 quando i delinquenti del Circeo assassinarono Rosaria Lopez e lasciarono in fin di vita Donatella Colasanti. Un tacito passa parola ha mandato avanti una sola storia e poche altre, non è una storia di elites intellettuali. Quella storia incideva sulla comune coscienza popolare, o meglio sulle parole che non mutavano, una lingua di affetti, emozioni, espressione di una sessualità che la TV grande esportatrice di lingua non era ancora stata capace di rigenerare. Ecco che manca anche la rivoluzione simbolica che è stata la vera svolta praticata nella politica delle donne e che qui non ha nessuna analisi.
Nonostante le centinaia di incontri, piccoli gruppi, convegni, le esperienze nuove e coinvolgenti che andavano facendo le donne in ogni parte d'Italia, nella storia delle immagini ciò che ha avuto memoria è una ripresa televisiva di un'aula di tribunale dove una ragazza intelligente, sua madre, le donne organizzate, e la loro avvocata di parte civile Tina Lagostena Bassi disputano sul senso della vita femminile, del valore che ha, aggredendo quello che è senso comune per questi uomini di legge e non che si ribaltano, sono senza parole, hanno l'aria più vecchia di quello che erano scontrati con la forza delle donne. Il documentario fatto dalla Tv ritorna alla TV che attraverso le donne che ci lavoravano rispecchia veramente i cambiamenti della società e li diffonde.

Il nuovo documentario è a suo modo un lavoro che si sforza di accettare la caratteristica non a senso unico di un movimento quale è quello femminista, forse non ha del tutto presente che non solo c'è oggi una femminilizzazione della società ma anche una rivoluzione femminista avvenuta e adesso - a loro troppo giovani per averla vissuta - suona come qualcosa da indagare nel passato.

Il risultato è che le parole di Maria Luisa Boccia quando spiega come l'emancipazione le fosse stata regalata dalla nascita mentre quello che non sapeva era che valore avesse l'essere donna, al commentatore suonano strane. Perchè Pasolini dal 1963 al 1964, intuito per primo qualcosa, va in giro a fare domande alla gente sulle cose intime, e nell'Italia del miracolo economico avverte che la modernità non è arrivata dappertutto. C'è questa idea latente al documentario che il femminismo sia un fenomeno elitario e se non era sempre stato elitario era perchè derivava dal '68 e se anche così non è esatto dire c'è stato sicuramente quel malessere diffuso negli anni '70 che riguardava tutti ma proprio tutti. Ma Le italiane si confessano la raccolta di lettere di donne che Gabriella Parca pubblica con la prefazione di Pasolini esce già nel 1959.

C'è sicuramente una buona intenzione in questo documentario. Analizzandolo risulta aperto verso le femministe, disponibile a accoglierne le parole, a intrecciare le differenti posizioni della storia delle donne negli anni '70; è infatti arricchito di molti punti di vista, da quello di Pina Nuzzo dell'Udi, Luciana Barca sempre dell'UDI, così Anita Pasquali e poi Liliana Madeo, e oltre a tutte le altre già menzionate c'è Gabriella Bonacchi, Ines Valanzuolo, Serena Donati, poi donne nominate e non, conosciute oppure senza nome ma che accettano di fare vedere i loro volti, raccontare le loro preziose esperienze e condividere con noi le loro considerazioni.