Donne e conoscenza storica

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Perchè parliamo solo di film a regia femminile

di Donatella Massara

Quando avevo un po' più di trentanni i diari sui quali scrivevo osservazioni, appunti, contengono annotati tutti i film che vedevo sia in televisione che al cinema. In quegli anni guardavo tutti i giorni almeno un film e se andavo al cinema a volte stavo in sala anche a una seconda visione. Andavo agli spettacoli del pomeriggio quasi sempre sola. Volevo cercare quello spazio che fa contiguità fra cinema e fotografia.

La dimensione dell'estetica non è separata dall'etica, anche se fa di questa un oggetto contemporaneamente impensabile. Forse è quanto Kant tenta di spiegare in La Critica del Giudizio affermando che la bellezza è cosa sola con il senso del bene e quindi fra estetica e etica intercorrono legami stretti pur se non razionalizzabili.
Il mondo dell'estetica lo percepiamo attraverso i sensi. La percezione richiede la virtù che Simone Weil metteva al primo posto: l'attenzione.
L'attenzione è una dedizione che mette le persone in tensione verso l'esterno, avendo una coscienza di sè medesime al centro di questo movimento. Per essere attente bisogna sorvegliare, pur se al minimo, che ci sia attenzione.

Si puo' fare un'azione eticamente spregevole con attenzione? Sono convinta ci possa essere meticolosità e metodo nel perseguire qualcosa di male, non però attenzione. La facoltà di tenere desta la mente mette noi stesse e noi stessi al servizio di qualcosa, con l'attenzione diventiamo soggetti in qualcosa di esterno. L'assassino che sta per sferrare il colpo omicida non è invece attento a qualcosa o qualcuno; è all'ascolto di un ordine, un'idea ossessiva e controlla i gesti della sua vittima senza significato per lui; a essi non presta attenzione bensì la meticolosa tensione di chi si difende.

L'estetica contiene l'etica; essa è quell'essere attente, in tensione verso un oggetto, del quale parla Simone Weil.
C'è una dedizione all'essere fuori di me che so essere un'impresa benefica, non volontaristica e tanto meno limitante.

Questa attenzione all'essere fuori di me costruisce giudizi. I giudizi hanno due grandi direzioni: affermano e negano. C'è poi una terza direzione che è quella performativa che afferma o nega quello che sta avvenendo. Le espressioni performative non descrivono ma fanno avvenire qualcosa con le parole. Il cinema ha una forte ascendenza sul carattere performativo dei giudizi.
Il messaggio di un film nelle nostre società sofisticate non è quello di condannare o esaltare qualcosa. Un film trasmette un'immagine della realtà. Possiamo giudicarla negativamente o positivamente. Ma per arrivare a questo giudizio di merito ascoltiamo un linguaggio che fa esistere una finzione e non ci è differito perché ne completiamo la descrizione. Il film ha già detto tutto facendo agire il proprio linguaggio: il prodotto finale è lì sotto il nostro sguardo. Quello che dice è già avvenuto.
La passività della recezione è quindi lo spazio vuoto necessario per la mia attenzione; ed essa, per fortuna potendo scegliere, va verso un contesto femminile e un'autrice, perché è importante fare esperienza conoscitiva di cosa riesce a dire una donna, con chi e come lo dice. Il desiderio è di ricavare non solo il piacere del vedere ma un di più per la mia esistenza: un'altra fetta di immaginario che, aggiunta al resto, rafforzi il senso della storia femminile.

E' in considerazione di tali interazioni strategiche fra i giudizi e l'esperienza che io scelgo i film firmati dalle registe, sceneggiati e interpretati dalle donne e, a volte, ispirati alla scrittura femminile.
Alcune sostengono che il film è un prodotto collettivo. Questo è anche vero ma è il carattere performativo del film che mi spinge a prestare attenzione alle mie simili. Un film si presenta, benchè fatto in centinaia di persone, firmato da una donna e questo è un agire che lo precede e avvia la mia scelta di vederlo. E' questa una scelta: politica. La politica è sempre meno ideologia nei nostri tempi e sempre più una scelta concreta di gusto, affinità, emozioni anche spicciole. Non sempre le donne offrono il quadro grandioso degli ideali universali, della grande storia del genere umano, invece mettono in gioco proprio questi spiccioli, moneta simbolica che si scambia nel grande circuito dell'esperienza femminile e se si vuole, anche maschile. Un film di una donna, preferito a quello di un uomo, magari autore famoso, risponde a questa logica dei nostri tempi, a mio parere.

La scelta estetica accompagna quello che avviene nella nostra vita reale. E' una vita condivisa con le donne. Per fortuna, ci sono delle registe che riescono a rappresentare questa realtà.
Quando siamo davanti a un'immagine, a un film sublime, del quale godiamo la bellezza, scopriamo che un lavoro simbolico è stato compiuto. Attraverso il linguaggio delle immagini la nostra attenzione può acquisire qualcosa; e noi non siamo esterne a questo fatto l'attenzione capta e modifica se stessa. E' l'azione del simbolico; questo o esiste o non esiste. Ne è la prova l'effetto muto di simbolico che esercita il potere politico istituzionale. I film a regia femminile, a mio parere, pur debolissimi sul piano della distribuzione, della pubblica fama, hanno un fortissimo valore simbolico, perchè esercitano questa capacità di prenderci insieme ai significati che trasmettono.

E' così che l a nostra autorità simbolica è rafforzata; perchè, attraverso i film, sostenuti dal punto di vista di una donna, riformuliamo il senso delle cose. Attraverso questi film siamo, a maggior ragione, parti integranti del movimento della conoscenza che produce il farsi e disfarsi dei significati e degli avvenimenti. E' un movimento che mescola insieme lingua e storia; e cinema e fotografia sono due modi eccezionali per testimoniare e trasmettere l'una e l'altra.