Donne e conoscenza storica

 

 

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24 edizione di Incontri internazionali di cinema e donne di Firenze Corpo a cuore

in IL Manifesto 18-10-2002

Quando la guerra è un set che seduce
Gli Incontri internazionali di cinema e donne a Firenze presentano «Green Bird» della palestinese Liana Badr e «Reno» di Nancy Savoca, film tratto da una acida commedia teatrale sull'11 settembre. Dice la regista: «In Usa la tv non fa vedere le manifestazioni sulla pace, Internet è la sola fonte di notizie alternative»
SILVANA SILVESTRI
FIRENZE

Mentre a Firenze, città fragile come la definiscono il prefetto e il presidente del consiglio, si bloccano i lavori del Global Forum, gli incontri di internazionali di cinema e donne 26° edizione (15-20 ottobre) diretti dal Laboratorio immagine donna presentano due cineaste in prima linea. Sono la palestinese Liana Badr e Nancy Savoca newyorkese, provenienti dai due punti più caldi della terra. Liana Badr è al suo secondo appuntamento fiorentino e ogni volta il suo viaggio verso l'Italia è stato fortunoso. La situazione è oggi peggiorata, ci dice, anche se il fronte sembra essersi spostato per via della guerra annunciata all'Iraq. Le scuole sono chiuse, a settembre non sono state riaperte, c'è il coprifuoco da tre mesi, il che significa che per tutta l'estate i bambini sono rimasti tappati in casa. Si sa che in certi appartamenti ci sono delle maestre e in queste scuole segrete si portano i bambini. Green Bird è il nuovo film che Liana Badr ha portato a Firenze, «L'uccello verde» di una antica e crudele favola in cui l'uccellino è ucciso dai suoi ma la sorellina ne raccoglie le piume e l'uccello torna sull'albero dove sono state seppellite le sue ossa e canta come si sono svolti i fatti. Sul ricordo di questo racconto, il film è un reportage tra i bambini palestinesi che cercano di sopravvivere nonostante la guerra con la speranza della pace. C'è chi vende il caffè ai check point, c'è un bel gruppetto di promesse del calcio, quelli che fanno andare in cielo gli aquiloni perché è stato vietato dagli israeliani e la risposta è stata farne di più grandi e con i colori della bandiera. Con grande semplicità dicono: «Sono stati loro a cominciare». È un messaggio da una terra che vive in una situazione insostenibile rivolto ad altri paesi che non possono comprendere, per quanti viaggi possano fare laggiù, com'è veramente la cancellazione della vita.

La presentazione dei suoi film e la mostra dei quadri della pittrice Samia Halaby del Forum creativo delle donne di Ramallah che hanno l'impegno di raccontare come si svolge la vita nel loro paese, ha avuto luogo in villa Montalvo nel comune di Campi Bisenzio che ha già preso concrete iniziative per la Palestina (l'invio di un'ambulanza ad esempio, la costruzione di una scuola).

Dall'altra parte della terra, arriva Nancy Savoca origini siciliane e argentine, ma molto newyorkese nell'humour e nello stile di ripresa. Presenta Reno, il nuovo film che non è stato ancora distribuito, mostrato solo a Toronto e al Lincoln Centre. «È il video dello spettacolo off Brodway dell'attrice Reno. Quando lo vidi, non avevo idea di cosa si trattasse, era uno dei primi lavori sull'11 settembre, in un teatrino con poche persone. Ho deciso di filmare lo spettacolo in un momento in cui tutti ci sentivamo inutili...». Monologo dalla carica esplosiva di una «comedian» (come si definisce lei stessa) dal carattere adatto a una ragazzona di una grande città, come fosse l'erede democratica di Mae West, con un'elaborazione dell'eleven september che non lascia scampo ai politici e al senso democratico e al concetto di libertà che si stanno affossando, inizia con il ricordo di quel mattino poco prima delle nove, quando qualcuno chiama alla sua segreteria per avvertirla che c'è qualcosa che non si deve perdere. È uno spettacolo che fa ridere e piangere gli americani, che travolge il pubblico europeo abituato alla satira politica ma non così poco edulcorata. Secco, diretto Reno è meglio di un manifesto politico.

A Palazzo Vecchio, blindato dopo l'11 settembre, è stata consegnata a Nancy Savoca l'antica onorificenza fiorentina del «Sigillo della Pace» di fronte agli studenti delle scuole superiori, così lontani dai venti di guerra che non siano quelli dei videogames, ma abbastanza impegnati per porre questioni ed ascoltare la testimonianza della regista. «Noi siamo privilegiati - dice Nancy Savoca - perché siamo liberi e abbiamo la responsabilità di combattere affinché questa libertà venga mantenuta. Quando avevo 16 anni sono stata in Argentina, all'epoca della dittatura, a trovare i miei parenti, e tornando una sera da una festa ho visto dei carri armati che attraversavano la strada e un soldato della mia età che mi puntava contro un fucile chiedendomi i documenti. Pensai 'sono cittadina americana, vengo da un paese libero'. Mi sono dovuta ricredere. È stata la mia scuola, mi sono accorta in quell'occasione come fosse fragile la libertà. Quando vedo i militari in giro per N.Y., mi ricordo quella scena e immagino come debba sentirsi la gente. È importante che ci informino di quello che succede».

Ci viene in mente la dichiarazione di Spielberg in Italia (Bush ha più informazioni, lui sa cosa fare), le chiediamo di decodificare questa affermazione: «Probabilmente questo rientra nella sua immagine di rappresentante di Hollywood. Lui è interessato più alla figura dell'eroe, come in Ryan, che alla guerra. Certo ognuno oggi si schiera individualmente, non ci sono raggruppamenti. Si sa della posizione presa da Susan Sarandon e Tim Robbins, ma non mi risulta di altri. Ci sono manifestazioni per la pace ma la tv non le fa vedere. Noi abbiamo cominciato a vedere la Bbc perché la nostra tv non dà notizie. Io faccio parte di un gruppo che va contro i nostri media e Internet in questo momento è il modo migliore per avere informazioni alternative». Cosa pensa dell'ondata dei film di guerra? «Purtroppo molti non possono esprimere il loro punto di vista sulla guerra. I reduci del Vietnam, certo non offrirebbero una bella visione della loro esperienza, mentre le produzioni contemporanee mostrano come chi fa la guerra debba essere considerato un eroe della patria, accompagnato da belle musiche, star famose, belle riprese. Tutti i film cercano di rendere la guerra in modo epico, giustificarla. Certe volte la gente pensa che la guerra sia come nei film, con la musica d'accompagnamento. Non guarda i telegiornali, non si informa. Del resto dopo l'11 settembre anche nei notiziari la guerra era mostrata come nei film, con titoli a caratteri cubitali e bellissime immagini. Quando le immagini sono imposte così non si accetta più la posizione di chi dissente. Reno è un modo di spiegare come la gente non accetti un solo modo di pensare».