Donne e conoscenza storica
     
 

INTERVISTA A GABRIELLA ROMANO, regista e storica di storia orale
di Donatella Massara

I film di Gabriella Romano a cui facciamo riferimento sono:
A son of the desert, per la BBC 2, 1990.
Lesbian health matters, 1994.
Pazza d'azzurro, GB, 1996. (Storia della relazione quarantennale di Nietta (Antonietta) Aprà con Linda (Flafi) Mazzuccato durante gli anni del fascismo e successivi).
L'altro ieri, GB, 2002. (Cinque testimonianze di donne sull'omosessualità femminile durante il fascismo).
Ricordare, 2003 (documentario sulla condizione degli omosessuali durante il fascismo).
Il libro è I sapori della seduzione. Il ricettario dell'amore tra donne nell'Italia degli anni '50, Ombre Corte, 2006


D.: Mi chiedi qual è il mio progetto, Gabriella, su questa intervista. Anzitutto lo colloco in un interesse preciso che ho per donne più giovani di me, io sona nata nel '50 e tu nel '60, che stanno facendo cose che -banalizzando- forse posso azzardare avrei fatto anch'io, nata 10 anni dopo. Ho un rapporto più disinteressato per donne giovani che fanno le cose che ho già fatto io o che non ho voluto fare. Invece apprezzo molto chi sta facendo esperienze come le tue, un lavoro sugli archivi delle donne e che non c'erano quando ho cominciato a fare femminismo. Mi domando come si è originato questo tuo rapporto con la storia delle donne ?

R.: Parto come giornalista, la prima vita è da giornalista e non ha niente a che fare con la storia. Perché io mi occupavo di musica e di teatro, ho studiato musica al Conservatorio facevo qualcosa con la viola. All'Università facevo storia della musica, poi la musica mi ha portato al giornalismo. Il giornalismo era per me recensioni di spettacoli. Già la mia tesi era su un inedito, però questo non è molto originale. Comunque ho fatto una tesi su un inedito di Wagner, sull'interpretazione, un trattato, all'epoca inedito. Poi il giornalismo mi ha portato alla TV e ho cominciato a lavorare in televisione quando mi sono trasferita a Londra e anche lì ho lavorato per una serie di programmi con competenze che variavano dall'organizzazione, al giornalismo più proprio. Da quello mi sono molto appassionata all'audiovisivo e ho cominciato perché ho cominciato a lavorare alla RAI di Londra che è una struttura minuscola e ho avuto mano libera a fare qualunque cosa io avessi voluto. E' un ufficio molto piccolo che se una ha voglia ci sono tutte le strutture per fare. Ho cominciato con dei piccoli servizi. Sono arrivata abbastanza casualmente, perché avevo fatto delle piccole cose alla radio. Quando mi sono trasferita in Inghilterra ho pensato di lavorare inizialmente per un'agenzia musicale che voleva contatti con l'Italia, anche dal punto di vista della lingua e poi tutti dicevano <<ma devi portare il curriculum alla Rai>>, lo so che sembra un po' banale ma in Inghilterra funziona così. Nel senso che una manda il curriculum e qualche volta succedono delle cose. In Italia sembra ingenuo ma in Inghilterra funziona così. E io ho spedito il curriculum e sono stata fortunata. Paternostro era appena andato in pensione e c'era una gestione ad interim, between, c'era un direttore di nuova nomina, ha preso il mio curriculum senza darci molto peso però mi ha telefonato poco dopo perché era venuto un giornalista con cui nessuno voleva lavorare, era un tipo conosciuto per essere molto difficile. Allora io sono stata chiamata perché mi hanno passato la patata bollente. E ho lavorato due anni. Lavoravo per un programma del mattino che era rivolto alle donne. Avevo cominciato a fare dei piccoli servizi, registrati, ho cominciato come assistente alla produzione. Poi ho lavorato moltissimo, mi sono molto appassionata. Intervistavo i possibili intervistati che i produttori avrebbero poi intervistato in video, facevo le ricerche d'archivio, facevo tutto quello che serviva per i programmi. I temi erano svariati dalla famiglia reale, alle impronte del DNA. Ho lavorato con Mino Damato che voleva fare dei servizi collegati con l'Inghilterra e io parlavo con quelle persone che lui voleva contattare. Facevo ricerche. Diciamo che l'esperienza Rai poi si è un po' sgonfiata, dopo l'entusiasmo iniziale. Sono andata fare un corso serale di regia televisiva, mentre lavoravo alla RAI, ma senza un particolare piano.

D.: Ma tu avevi già amore per il cinema, eri una cinefila?

R.: Io avevo molto amore per il cinema però non avevo mai pensato a una carriera nel cinema, proprio perché ero partita dalla musica e non avevo mai studiato cinema. Andavo moltissimo al cinema, a Torino, però non avevo mai pensato a una mia attività nel settore. Dopo questo corso serale sono stata incoraggiata a fare un anno di master di regia del documentario, regia di audiovisivo, si poteva scegliere c'era la regia radiofonica, la regia di fiction, tante possibilità e io scelsi quella del documentario perché era la più attinente a quello che io facevo, servizi televisivi che vagamente assomigliavano al documentario. E lì è stata la svolta perché c'è l'esperienza del college. Io ho fatto l'università sempre lavorando e dunque non ho mai avuto veramente la possibilità di approfondire degli interessi come ho fatto in quell'anno. Perché quell'anno mi sono presa proprio presa l'anno sabbatico e ho fatto solo quello. I colleges inglesi sono una base di produzione a tutti gli effetti, sono dotati di attrezzatura, di appoggio tecnico, di tecnici, di persone che seguono i lavori etc etc, comunque ho fatto tutta una serie di lavori non soltanto nel documentario video, ma spostandomi molto poi sulla pellicola e mi appassionai moltissimo a quello. E' stata un'esperienza. Sono stata contentissima di averla fatta a trentanni perché avevo la coscienza del valore di quello che mi offrivano e ho fatto veramente tutto. Chiudevano alle 10 di sera e ero l'ultima a uscire. Ho usato la camera oscura, ho imparato a usare le luci, lì tutte le attrezzature sono a tua disposizione. C'è uno studio televisivo che è uno studio professionale, con i tecnici, le videocamere, e tu puoi fare quello che vuoi.

D.: Quali sono stati dopo il College i tuoi film ?

Dopo questo anno ho fatto un documentario su un collezionista di films. Mi sono iscritta nel corso dell'audiovisivo e poi ho fatto questo percorso concentrato in un anno, ho lavorato sempre più con la pellicola e ho fatto un film molto nostalgico, in realt,perché è un film su questo personaggio molto particolare, molto eccentrico che adesso è morto. Viveva nel luogo di nascita di Stan Laurel. In Inghilterra, nei posti di provincia, i cinema sono chiusi, non esistono e lui ha dedicato tutta la sua vita a tenere in vita la memoria di Stan Laurel, un po' pateticamente perché Stan Laurel ha vissuto in America dall'età di sei anni in poi e non ha mai avuto un debito di nessun tipo con l'Inghilterra. Ma lui in questo paese di quattro case ha dedicato un museo a Stan Laurel collezionando tutti gli oggetti che poteva trovare dappertutto. Ha trasformato un autobus a due piani in un cinema itinerante e fa vedere i film muti ai bambini del Lake district che sarebbe sotto la Scozia. E così è stato un percorso che ha segnato un inizio. Il documentario è stato poi prodotto dalla BBC perché ogni anno produce dieci documentari, anche fiction adesso. Il soggetto è mio, la regia è mia, poi hanno fornito loro un montatore, il tecnico con cui abbiamo lavorato gomito a gomito. La BBC ha fornito attrezzature il college ha fornito altre cose. E' una coproduzione che la BBC fa con i colleges. Insomma poi da lì mi sono orientata a fare audiovisivi miei indipendenti. E allora è intervenuto un mio interesse personale alla storia delle donne e ho pensato di fare delle cose in quel settore.

L' ossessione personale per la memoria, per registrare, quella c'è sempre stata. Il lavoro successivo che ho fatto, dopo proprio dei lavoretti che non contano, è stato fare quel video sulla salute delle lesbiche. Un paio di anni dopo mi sono trovata con questo gruppo di lesbiche che lavorano nel settore sanitario e loro mi hanno trovato una serie di fondi di varie fondazioni. Volevano fare un video sulle esigenze delle lesbiche sia come lavoratrici nel settore, sia come soprattutto pazienti. Doveva essere un video didattico, rivolto principalmente agli studenti di medicina e anche operatori in genere. Fu un lavoro lunghissimo. Raccolsi un sacco di testimonianze di donne con delle esperienze più varie, nel campo della struttura della sanità. Cosa vuole dire lunghissimo? Vuole dire anni. Nel senso che questa cosa è finita nel 1994 e l'abbiamo iniziata nel '92. Ci sono voluti due anni. Le casse di materiale erano talmente tante che avendo fatto io due traslochi le ho dovute cedere. Abbiamo girato tutto con la telecamera io e la mia compagna di allora che aveva studiato al Goldsmiths College fotografia e abbiamo raccolto tutta una serie di testimonianze di donne, tutti ricordi di esperienze legate al campo sanitario, in senso lato, AIDS, andare dal medico, malattie veneree, un qualsiasi rapporto con un counselor. E dunque lì sarebbero venuti fuori più di un film, invece ne è uscito uno solo di 45', era proprio un collage di tutte queste esperienze che doveva fare riflettere gli operatori futuri su quali sono le aspettative, chi sono le pazienti e via discorrendo. Questo video ha avuto una vita particolare perché come video didattico è usato nel circuito universitario, lo usano per training ai futuri infermieri e dottori, però poi ha anche avuto una vita a livello di films festival, di conferenze mediche e ha avuto anche una distribuzione vera e propria. Lo hanno distribuito Cinenova e un'altra distributrice specializzata nei video didattici. Cinenova era la distributrice di films di donne in Inghilterra.

Dopo questa esperienza venendo più a contatto con la comunità lesbica inglese, riflettendo anche sulla comunità lesbica italiana, riflettendo su questo mio interesse, mi è sempre più interessato registrare le storie delle donne e parlarne. Poi c'è stata questa altra cosa cruciale che mi ha molto spinta in questo senso che è stata la morte di Nietta (n.d.r. una delle due protagoniste di Pazza d'azzurro) . Perché Nietta Aprà la conoscevo come amica e sapevo che dedicava tutti i suoi anni, tutte le sue giornate a riordinare i suoi diari che però io mai più immaginavo che parlassero al 90% della sua relazione sentimentale con Flafy. Pensavo fossero diari che parlassero di tutto. Nietta era una donna molto colta che parlava pochissimo della sua vita sentimentale o comunque lasciava le cose in una certa ambiguità e quando lei è morta nel 1995, lei questi diari non è riuscita a riordinarli e io li ho recuperati. Sono andata dove viveva lei in questo paesino del Piemonte e li ho recuperati, quasi tutti; erano 400 cartelle. Lei li ordinava, li trascriveva perché li voleva assolutamente pubblicare. E allora questo fatto di questi diari che erano un testamento di una persona che non si è mai dichiarata per 80 anni di vita e poi ha deciso di dire al mondo esattamente com'era la sua vita che era intensissima anche dal punto di vista affettivo, mi ha molto colpito. E allora ho deciso di fare questo film su di lei che in italiano si chiama Pazza d'azzurro in inglese Nietta's diary. Mi ha ulteriormente spinta a parlare delle lesbiche in Italia perché lì ho capito quanto poco c'era, perché io vivevo in Inghilterra e seguivo assai poco la vita lesbica italiana. Ho tentato disperatamente di frequentare persone che le frequentavano negli anni '30, poi negli anni '60 e mi sono resa conto di quanto poco ci sia di scritto, di raccontato e di quanto mi interessasse approfondire l'argomento. Nietta la conoscevo, sapevo del suo diario e pensavo come tutti che fosse un diario professionale che parlasse degli storici dell'arte che lei aveva conosciuto, delle mostre, deli artisti, aveva conosciuto Morandi, Berenson, Longhi. Era una per cui noi pensavamo <<il suo diario sarà una cosa che parlerà di storia dell'arte>>, invece il diario è un resoconto molto accorato, molto toccante di questo amore vissuto molto intensamente e in modo molto appartato, dal 1938 al 1974.

D.: Questa storia d'amore però per te aveva già evidenza, quindi hai fatto un lavoro più per le altre che per te ?

R.: C'erano due aspetti, per un aspetto mi sembrava di finire il lavoro incompiuto suo e di fare quello che lei voleva veramente. Lei voleva veramente chiudere la vita con quel gesto lì. Mi sono presa carico di questa cosa. Il diario mi è molto piaciuto, l'ho letto e mi sono molto commossa, penso che sia un diario interessante che purtroppo non si potrà pubblicare per i diritti d'autore che lei non ha separato dal resto dell'eredità. Se ne sono perse le tracce dopo che aveva lasciato erede la sorella. Poi ovviamente il mio interesse era anche scoprire la persona dall'altro lato. Perché io giovane con lei che aveva una cinquantina di anni più di me è dopo che mi ha rivelato tutto una parte della sua vita che io non conoscevo, cioè io intuivo, lei parlava però era anche una molto all'antica, poi era una che aveva dovuto stare molto zitta per poter lavorare, farsi accettare. Anche se tutti sapevano di Nietta e Flafy, anche in paese lo sapevano però tutti facevano finta di niente. Sempre il solito discorso se tu non me lo dici e non mi metti in difficoltà io in cambio faccio finta di non saperlo. E siamo tutti contenti. Cercando di ricostruire la vita di Nietta, le persone che la conoscevano mi sono resa conto di questo enorme silenzio che circondava il lesbismo negli anni in cui io facevo questo documentario.
Io sono molto infervorata a raccontare la vita nascosta delle donne, questo è il mio interesse principale adesso, diciamo: a partire da quel lavoro in poi.

D.: E l'hai trovata questa vita nascosta ?

Ho cercato disperatamente di trovare delle lesbiche che mi raccontassero il periodo fascista e non le ho trovate, delle lesbiche che raccontassero gli anni '50 a Milano e non ho trovato nessuna. Ovviamente c'era la difficoltà perché io venivo da Londra avanti indietro però io credo ci fosse proprio la difficoltà a raccontare. Il lavoro sull'omosessualità durante il fascismo inizialmente doveva riguardare un gruppo di confinati alle Tremiti. E' uscito qualche settimana fa il libro su questa ricerca e non l'ho fatto io. Per il film ho avuto un garante europeo per andare in Sicilia a fare riprese. Ecco che si vede che i finanziamenti sono sempre per gli uomini. Lì di rif e di raf ho infilato il caso di una donna - l'unico che conosciamo - che era stata condannata al confino per omosessualità, poi al confino non c'è andata. E' un caso degli anni '20. Ho infilato anche lei nel film e poi ho anche investigato la parte delle donne. Però inizialmente questo progetto qua riguardava gli uomini. Era un progetto finanziato sugli omosessuali confinati alle Tremiti. E' stato un percorso difficile e molto travagliato. Inizialmente c'era l'interesse dell'Europa, c'era una compagnia di produzione, c'erano tv straniere poi si sono ritirati tutti bene o male. I progetti vanno avanti secoli poi la gente cambia negli uffici televisivi, ha altre idee e altri progetti e dunque sono rimasta abbastanza sola. Anche per il progetto sulle lesbiche sotto il fascismo c'era un interesse televisivo, cosa sensazionale in Italia, di Telepiù e poi tiramolla un procedimento lunghissimo di riunioni, cambi di idee, riscritture alla fine avevo fortunatamente girato delle cose come primo girato -poi se fossero arrivati i soldi televisivi ci sarebbero state altre interviste; con tutte queste cose che poi tutti hanno abbandonato e anche con il girato ho poi realizzato due documentari (n.d.r. Ricordare e L'altro ieri). Su quello dei confinati alle Tremiti non si è riusciti a trovare l'interesse internazionale e non ho più ottenuto i diritti per poterlo realizzare, quello sull'omosessualità durante il fascismo l'ho realizzato sulla coda di quello, a mie spese e per conto mio, quello sulle donne c'è stato questo interesse di Tele più e una compagnia romana, visto questo interesse, si è agganciata a questo progetto. Poi Telepiù ha fatto marcia indietro perché ha fatto sempre meno documentari e la produzione anche e io ho preso quello che avevo girato e ho continuato a girare per conto mio.

D.: Hai trovato le lesbiche sotto il fascismo?

R.: Le ho trovate però non tantissime. Sono cinque interviste (n.d.r. L'altro ieri) di cui una è una lesbica dichiarata che si fa vedere in volto che è Silvia Mazzoleni, una che è di spalle che è piemontese, c'è una donna che ha risposto solo per iscritto a delle domande e ho fatto recitare le sue risposte, mettendo solo delle immagini, poi c'è una donna che parla che non è una lesbica e riporta questo scandalo sugli anni '30, un episodio che non si conosceva e poi c'è Lidia Menapace che non è lesbica però commenta sulla sessualità delle donne. Alla fine le lesbiche che hanno parlato sono due più una che ha risposto a un questionario. Piera l'avevo contatta però non aveva voluto parlarmi. Questa è un'esperienza molto comune. Lei quel periodo lì non lo ricorda molto volentieri. All'inizio facevo le cose di getto e mi aveva piuttosto colpito, poi continuando a riflettere sulla storia orale, andando ai seminari di Luisa Passerini ho scoperto che è una cosa assolutamente generalizzata non volere parlare di quel periodo. Lei Piera ha bruciato tutte le fotografie.

D.: Che lavoro fai tu con la scrittura? C'è un lavoro di revisione e abbellimento ? Questo è l'aspetto più importante nella storia orale. Anche una mia amica che ha lavorato su alcune testimonianze di anziane signore novantenni ha un vasto materiale trascritto letteralmente su cui esita a intervenire.

R.: Nella storia orale il problema è quello lì. Quando intervisto non spingo, non tartasso mai
Di solito la memoria viene raccontata così: c'è una prima versione che è già stata raccontata e va lasciata dire tutta, dall'inizio alla fine ed è quello che io faccio, penso che chiunque nella storia orale lo sa. Una persona anziana ricorda i ventanni, non come li ricorda ma come ricorda di averli raccontati. E' un racconto. C'è già un libro scritto. Poi c'è un secondo affondo. Li' emergono i ricordi anche forse scomodi, perché aveva glissato, perché c'è un particolare che non voleva tanto dire, però io non insisto mai moltissimo perché comunque la storia orale non è un'intervista. La storia orale è anche un autoritratto e la sua vita non è stata sicuramente come me la racconta lei perché ci sono dei passaggi che non mi racconterà mai perché c'è tutta un'autocensura che interviene perché la storia che tu vuoi che gli altri sappiano di te non è proprio come è andata. Dunque la storia orale ha quel limite e anche quella forza. Tu ti rappresenti e decidi consciamente di raccontare la storia come vuoi che tu sia. E' già un passo di chi è intervistato. Io non spingo mai molto nel libro (n.d.r. I sapori della seduzione) certo qualcosa ho aggiustato però non ho cambiato molto mi sono attenuta abbastanza al linguaggio usato, alle parole usate. Certo ho tolto gli errori se no l'editore non me l'avrebbe passato. Poi sono convintissima il libro rende al 70% quello che invece mi è stato raccontato perché il racconto è anche la mimica, il tono di voce di come mi è stata detta una cosa, io nel libro non lo posso fare, o scrivo la didascalia oppure non può avere la stessa forza dell'immagine perché le cose sono raccontate con molti ammiccamenti perché il sospiro in un certo momento invece che in un altro ha una fortissima valenza. Allora o faccio la nota <<qui sospira>> o la parola scritta nella storia orale fa perdere moltissimo perché la memoria è anche quello. E' una situazione differente quando faccio una domanda e questa persona ci pensa e poi risponde oppure risponde subito, cioè se è una cosa a cui non aveva pensato prima. Ci sono delle sfumature che nella storia orale su video emergono, puoi dire pochissimo e farmi arrivare molto di più. La memoria, la storia orale ha comunque una patina rosa, come dici tu. Nel capitolo del libro di Luisa Passerini che uscirà a breve (sono vari saggi a cura di L.P. su omosessualità femminile e fascismo), faccio un lavoro di riflessione su questo documentario, quello sul lesbismo sotto il fascismo (n.d.r.L'altro ieri), racconto con chi ho condotto la ricerca, le persone che non hanno accettato di parlarmi, come queste persone che ho intervistato hanno accettato di parlarmi.

D.: Quanto c'è di personale nei tuoi documentari ?

In Pazza d'azzurro c'era il mio coinvolgimento personale, e poi c'era proprio il mio coinvolgimento con la storia di lei che si dichiara, c'è stata proprio una sovrapposizione, poi nel set quasi tutte le cose che vedi sono mobili di casa mia, non so se poi a un certo punto c'è stata un specie di fusione a blocco. Le fotografie anche le ho usate con scelte soppesate e ci ho lavorato tanto, fotografie recuperate dai vicini nella stalla di qualche contadino. Era tutto disperso. L'altro ieri è più storico e anche meno personale, quello sugli omosessuali durante il fascismo (n.d.r. Ricordare) è molto più personale. L'altro ieri è più televisivo è più giornalistico, poi c'è stato molto coinvolgimento mio e con le due intervistate lesbiche c'è un'amicizia che dura tutt'ora, però l'impianto è stato pensato per la Tv perché è la TV che ha dato il là. Io l'avrei fatto comunque però se l'avessi fatto io avrei dato un taglio più personale invece io sono stata molto dietro le quinte. E' molto tradizionale l'archivio, lo sono anche le foto, è più rigido come schema. Invece nel film sugli omosessuali - poiché io ho capito che quel progetto sui confinati alla Tremiti non si sarebbe realizzato più - è stato poi un mio progetto completamente e allora lì sono molto presente con il mio smacco, la mia delusione, la mia ricerca, il dietro le quinte, quello che c'è stato fra me e gli intervistati etc. che scappavano che non mi parlavano. E' un documentario più sullo scontro -incontro di due generazioni di omosessuali e come ognuna di queste generazioni pensa alla propria storia, alla memoria, alla necessità della memoria. Io dunque sono molto più presente.

D.: Quali sono i tuoi progetti futuri?

E' difficile parlarne perché una non sa mai se ci saranno i fondi, però parlandone idealmente. Intanto ho scritto un soggetto di sceneggiatura ispirato all'unico caso che si sa di una donna condannata al confino sotto il fascismo per omosessualità. E questo soggetto ha vinto un premio che è stato realizzato con i fondi europei. Ha vinto la menzione speciale al Premio Solinas, è stata un'enorme soddisfazione. Però poi è andato tutto a rotoli perché non c'è il tempo.
Di più facile attuazione sarebbe un corto ispirato a mia nonna e quindi totalmente autobiografico. Ci siamo io e mia nonna a Torino negli anni '70. E' una disquisizione sull'amore forse. Ha a che fare con l'amore visto attraverso due punti di vista che forse non differiscono così tanto. E quello si baserebbe anche molto su materiale di homemovies non miei ma di altri, per ricostruire gli anni '70 a Torino. Poi fra le altre cose c'è questo capitolo nel libro di Luisa Passerini che è quasi scritto, un documentario animato su cui non dico molto, vorrei avere delle interviste, con la loro voce e i disegni che non sarei io a realizzare

D.: Quali sono le autrici e gli autori che ti piacciono molto?

Chi mi piace molto molto? Diciamo quelli che hanno significato per me, intanto per me è stato molto molto importante vedere quei pochissimi film di Barbara Hammer che ho visto, lei mi piace tantissimo, mi piacque molto all'epoca, fu veramente una visione. E quello è stato un punto fondamentale. L'altra filmmaker che mi piace moltissimo è Su Friederick che lavora molto sulla memoria, fa cose sperimentali di fiction molto interessanti, ricostruendo cose della sua infanzia, dico fiction ma non è il nome giusto però il suo lavoro non è neanche il documentario inteso tradizionalmente. Fa delle cose veramente interessanti. Per me è stato di enorme ispirazione Derek Jarman poi io ero lì quando lavorava e D.J. è stato un simbolo per tutti quanti, così i suoi lavori mi piacciono in generale quasi tutti moltissimo, poi lui è un personaggio così poliedrico, così libero dalla televisione, dalle sovvenzioni, lui è un vero artista mi ha sempre molto affascinato. Un film invece che mi è sempre molto tornato in mente nella vita è stato Otto e mezzo per il modo in cui lui si ricollega al passato e rivive il passato nel presente, il passato lo insegue, lo riinterpreta, è un film che per me ha sempre significato moltissimo, l'ho visto molti anni fa. Quando ero ragazzina andavo spessissimo al cinema e vedevo veramente robaccia, spaghetti western, i film con Alain Delon e quando ho visto questo mi si è aperto un mondo di come poteva essere il cinema, anche proprio la bellezza di certe immagini, mi ricordo, e poi c'è il tono sognante e questa ossessione della memoria che poi è un'ossessione che ho ereditato in pieno; perciò quello è stato un film significativo, poi te ne potrei dire altre migliaia ma quello è stato un film di riferimento.