INTERVISTA
A GABRIELLA ROMANO, regista e storica di storia orale
di Donatella Massara
I film di Gabriella
Romano a cui facciamo riferimento sono:
A son of the desert, per la BBC 2, 1990.
Lesbian health matters, 1994.
Pazza d'azzurro, GB, 1996. (Storia della relazione quarantennale
di Nietta (Antonietta) Aprà con Linda (Flafi) Mazzuccato durante
gli anni del fascismo e successivi).
L'altro ieri, GB, 2002. (Cinque testimonianze di donne sull'omosessualità
femminile durante il fascismo).
Ricordare, 2003 (documentario sulla condizione degli omosessuali
durante il fascismo).
Il libro è I
sapori della seduzione. Il ricettario dell'amore tra donne nell'Italia
degli anni '50, Ombre Corte, 2006
D.: Mi chiedi qual è il mio progetto, Gabriella, su questa
intervista. Anzitutto lo colloco in un interesse preciso che ho per
donne più giovani di me, io sona nata nel '50 e tu nel '60,
che stanno facendo cose che -banalizzando- forse posso azzardare avrei
fatto anch'io, nata 10 anni dopo. Ho un rapporto più disinteressato
per donne giovani che fanno le cose che ho già fatto io o che
non ho voluto fare. Invece apprezzo molto chi sta facendo esperienze
come le tue, un lavoro sugli archivi delle donne e che non c'erano
quando ho cominciato a fare femminismo. Mi domando come si è
originato questo tuo rapporto con la storia delle donne ?
R.: Parto come
giornalista, la prima vita è da giornalista e non ha niente
a che fare con la storia. Perché io mi occupavo di musica e
di teatro, ho studiato musica al Conservatorio facevo qualcosa con
la viola. All'Università facevo storia della musica, poi la
musica mi ha portato al giornalismo. Il giornalismo era per me recensioni
di spettacoli. Già la mia tesi era su un inedito, però
questo non è molto originale. Comunque ho fatto una tesi su
un inedito di Wagner, sull'interpretazione, un trattato, all'epoca
inedito. Poi il giornalismo mi ha portato alla TV e ho cominciato
a lavorare in televisione quando mi sono trasferita a Londra e anche
lì ho lavorato per una serie di programmi con competenze che
variavano dall'organizzazione, al giornalismo più proprio.
Da quello mi sono molto appassionata all'audiovisivo e ho cominciato
perché ho cominciato a lavorare alla RAI di Londra che è
una struttura minuscola e ho avuto mano libera a fare qualunque cosa
io avessi voluto. E' un ufficio molto piccolo che se una ha voglia
ci sono tutte le strutture per fare. Ho cominciato con dei piccoli
servizi. Sono arrivata abbastanza casualmente, perché avevo
fatto delle piccole cose alla radio. Quando mi sono trasferita in
Inghilterra ho pensato di lavorare inizialmente per un'agenzia musicale
che voleva contatti con l'Italia, anche dal punto di vista della lingua
e poi tutti dicevano <<ma devi portare il curriculum alla Rai>>,
lo so che sembra un po' banale ma in Inghilterra funziona così.
Nel senso che una manda il curriculum e qualche volta succedono delle
cose. In Italia sembra ingenuo ma in Inghilterra funziona così.
E io ho spedito il curriculum e sono stata fortunata. Paternostro
era appena andato in pensione e c'era una gestione ad interim, between,
c'era un direttore di nuova nomina, ha preso il mio curriculum senza
darci molto peso però mi ha telefonato poco dopo perché
era venuto un giornalista con cui nessuno voleva lavorare, era un
tipo conosciuto per essere molto difficile. Allora io sono stata chiamata
perché mi hanno passato la patata bollente. E ho lavorato due
anni. Lavoravo per un programma del mattino che era rivolto alle donne.
Avevo cominciato a fare dei piccoli servizi, registrati, ho cominciato
come assistente alla produzione. Poi ho lavorato moltissimo, mi sono
molto appassionata. Intervistavo i possibili intervistati che i produttori
avrebbero poi intervistato in video, facevo le ricerche d'archivio,
facevo tutto quello che serviva per i programmi. I temi erano svariati
dalla famiglia reale, alle impronte del DNA. Ho lavorato con Mino
Damato che voleva fare dei servizi collegati con l'Inghilterra e io
parlavo con quelle persone che lui voleva contattare. Facevo ricerche.
Diciamo che l'esperienza Rai poi si è un po' sgonfiata, dopo
l'entusiasmo iniziale. Sono andata fare un corso serale di regia televisiva,
mentre lavoravo alla RAI, ma senza un particolare piano.
D.: Ma tu avevi
già amore per il cinema, eri una cinefila?
R.: Io avevo molto
amore per il cinema però non avevo mai pensato a una carriera
nel cinema, proprio perché ero partita dalla musica e non avevo
mai studiato cinema. Andavo moltissimo al cinema, a Torino, però
non avevo mai pensato a una mia attività nel settore. Dopo
questo corso serale sono stata incoraggiata a fare un anno di master
di regia del documentario, regia di audiovisivo, si poteva scegliere
c'era la regia radiofonica, la regia di fiction, tante possibilità
e io scelsi quella del documentario perché era la più
attinente a quello che io facevo, servizi televisivi che vagamente
assomigliavano al documentario. E lì è stata la svolta
perché c'è l'esperienza del college. Io ho fatto l'università
sempre lavorando e dunque non ho mai avuto veramente la possibilità
di approfondire degli interessi come ho fatto in quell'anno. Perché
quell'anno mi sono presa proprio presa l'anno sabbatico e ho fatto
solo quello. I colleges inglesi sono una base di produzione a tutti
gli effetti, sono dotati di attrezzatura, di appoggio tecnico, di
tecnici, di persone che seguono i lavori etc etc, comunque ho fatto
tutta una serie di lavori non soltanto nel documentario video, ma
spostandomi molto poi sulla pellicola e mi appassionai moltissimo
a quello. E' stata un'esperienza. Sono stata contentissima di averla
fatta a trentanni perché avevo la coscienza del valore di quello
che mi offrivano e ho fatto veramente tutto. Chiudevano alle 10 di
sera e ero l'ultima a uscire. Ho usato la camera oscura, ho imparato
a usare le luci, lì tutte le attrezzature sono a tua disposizione.
C'è uno studio televisivo che è uno studio professionale,
con i tecnici, le videocamere, e tu puoi fare quello che vuoi.
D.: Quali sono
stati dopo il College i tuoi film ?
Dopo questo anno ho fatto un documentario su un collezionista di
films. Mi sono iscritta nel corso dell'audiovisivo e poi ho fatto
questo percorso concentrato in un anno, ho lavorato sempre più
con la pellicola e ho fatto un film molto nostalgico, in realt,perché
è un film su questo personaggio molto particolare, molto eccentrico
che adesso è morto. Viveva nel luogo di nascita di Stan Laurel.
In Inghilterra, nei posti di provincia, i cinema sono chiusi, non
esistono e lui ha dedicato tutta la sua vita a tenere in vita la memoria
di Stan Laurel, un po' pateticamente perché Stan Laurel ha
vissuto in America dall'età di sei anni in poi e non ha mai
avuto un debito di nessun tipo con l'Inghilterra. Ma lui in questo
paese di quattro case ha dedicato un museo a Stan Laurel collezionando
tutti gli oggetti che poteva trovare dappertutto. Ha trasformato un
autobus a due piani in un cinema itinerante e fa vedere i film muti
ai bambini del Lake district che sarebbe sotto la Scozia. E così
è stato un percorso che ha segnato un inizio. Il documentario
è stato poi prodotto dalla BBC perché ogni anno produce
dieci documentari, anche fiction adesso. Il soggetto è mio,
la regia è mia, poi hanno fornito loro un montatore, il tecnico
con cui abbiamo lavorato gomito a gomito. La BBC ha fornito attrezzature
il college ha fornito altre cose. E' una coproduzione che la BBC fa
con i colleges. Insomma poi da lì mi sono orientata a fare
audiovisivi miei indipendenti. E allora è intervenuto un mio
interesse personale alla storia delle donne e ho pensato di fare delle
cose in quel settore.
L' ossessione personale per la memoria, per registrare, quella c'è
sempre stata. Il lavoro successivo che ho fatto, dopo proprio dei
lavoretti che non contano, è stato fare quel video sulla salute
delle lesbiche. Un paio di anni dopo mi sono trovata con questo
gruppo di lesbiche che lavorano nel settore sanitario e loro mi hanno
trovato una serie di fondi di varie fondazioni. Volevano fare un video
sulle esigenze delle lesbiche sia come lavoratrici nel settore, sia
come soprattutto pazienti. Doveva essere un video didattico, rivolto
principalmente agli studenti di medicina e anche operatori in genere.
Fu un lavoro lunghissimo. Raccolsi un sacco di testimonianze di donne
con delle esperienze più varie, nel campo della struttura della
sanità. Cosa vuole dire lunghissimo? Vuole dire anni. Nel senso
che questa cosa è finita nel 1994 e l'abbiamo iniziata nel
'92. Ci sono voluti due anni. Le casse di materiale erano talmente
tante che avendo fatto io due traslochi le ho dovute cedere. Abbiamo
girato tutto con la telecamera io e la mia compagna di allora che
aveva studiato al Goldsmiths College fotografia e abbiamo raccolto
tutta una serie di testimonianze di donne, tutti ricordi di esperienze
legate al campo sanitario, in senso lato, AIDS, andare dal medico,
malattie veneree, un qualsiasi rapporto con un counselor. E dunque
lì sarebbero venuti fuori più di un film, invece ne
è uscito uno solo di 45', era proprio un collage di tutte queste
esperienze che doveva fare riflettere gli operatori futuri su quali
sono le aspettative, chi sono le pazienti e via discorrendo. Questo
video ha avuto una vita particolare perché come video didattico
è usato nel circuito universitario, lo usano per training ai
futuri infermieri e dottori, però poi ha anche avuto una vita
a livello di films festival, di conferenze mediche e ha avuto anche
una distribuzione vera e propria. Lo hanno distribuito Cinenova e
un'altra distributrice specializzata nei video didattici. Cinenova
era la distributrice di films di donne in Inghilterra.
Dopo questa esperienza
venendo più a contatto con la comunità lesbica inglese,
riflettendo anche sulla comunità lesbica italiana, riflettendo
su questo mio interesse, mi è sempre più interessato
registrare le storie delle donne e parlarne. Poi c'è
stata questa altra cosa cruciale che mi ha molto spinta in questo
senso che è stata la morte di Nietta (n.d.r. una delle
due protagoniste di Pazza d'azzurro) . Perché
Nietta Aprà la conoscevo come amica e sapevo che dedicava tutti
i suoi anni, tutte le sue giornate a riordinare i suoi diari che però
io mai più immaginavo che parlassero al 90% della sua relazione
sentimentale con Flafy. Pensavo fossero diari che parlassero di tutto.
Nietta era una donna molto colta che parlava pochissimo della sua
vita sentimentale o comunque lasciava le cose in una certa ambiguità
e quando lei è morta nel 1995, lei questi diari non è
riuscita a riordinarli e io li ho recuperati. Sono andata dove viveva
lei in questo paesino del Piemonte e li ho recuperati, quasi tutti;
erano 400 cartelle. Lei li ordinava, li trascriveva perché
li voleva assolutamente pubblicare. E allora questo fatto di questi
diari che erano un testamento di una persona che non si è mai
dichiarata per 80 anni di vita e poi ha deciso di dire al mondo esattamente
com'era la sua vita che era intensissima anche dal punto di vista
affettivo, mi ha molto colpito. E allora ho deciso di fare questo
film su di lei che in italiano si chiama Pazza d'azzurro in
inglese Nietta's diary. Mi ha ulteriormente spinta a parlare
delle lesbiche in Italia perché lì ho capito quanto
poco c'era, perché io vivevo in Inghilterra e seguivo assai
poco la vita lesbica italiana. Ho tentato disperatamente di frequentare
persone che le frequentavano negli anni '30, poi negli anni '60 e
mi sono resa conto di quanto poco ci sia di scritto, di raccontato
e di quanto mi interessasse approfondire l'argomento. Nietta la conoscevo,
sapevo del suo diario e pensavo come tutti che fosse un diario professionale
che parlasse degli storici dell'arte che lei aveva conosciuto, delle
mostre, deli artisti, aveva conosciuto Morandi, Berenson, Longhi.
Era una per cui noi pensavamo <<il suo diario sarà una
cosa che parlerà di storia dell'arte>>, invece il diario
è un resoconto molto accorato, molto toccante di questo amore
vissuto molto intensamente e in modo molto appartato, dal 1938 al
1974.
D.: Questa storia
d'amore però per te aveva già evidenza, quindi hai fatto
un lavoro più per le altre che per te ?
R.: C'erano due
aspetti, per un aspetto mi sembrava di finire il lavoro incompiuto
suo e di fare quello che lei voleva veramente. Lei voleva veramente
chiudere la vita con quel gesto lì. Mi sono presa carico di
questa cosa. Il diario mi è molto piaciuto, l'ho letto e mi
sono molto commossa, penso che sia un diario interessante che purtroppo
non si potrà pubblicare per i diritti d'autore che lei non
ha separato dal resto dell'eredità. Se ne sono perse le tracce
dopo che aveva lasciato erede la sorella. Poi ovviamente il mio interesse
era anche scoprire la persona dall'altro lato. Perché io giovane
con lei che aveva una cinquantina di anni più di me è
dopo che mi ha rivelato tutto una parte della sua vita che io non
conoscevo, cioè io intuivo, lei parlava però era anche
una molto all'antica, poi era una che aveva dovuto stare molto zitta
per poter lavorare, farsi accettare. Anche se tutti sapevano di Nietta
e Flafy, anche in paese lo sapevano però tutti facevano finta
di niente. Sempre il solito discorso se tu non me lo dici e non mi
metti in difficoltà io in cambio faccio finta di non saperlo.
E siamo tutti contenti. Cercando di ricostruire la vita di Nietta,
le persone che la conoscevano mi sono resa conto di questo enorme
silenzio che circondava il lesbismo negli anni in cui io facevo questo
documentario.
Io sono molto infervorata a raccontare la vita nascosta delle donne,
questo è il mio interesse principale adesso, diciamo: a partire
da quel lavoro in poi.
D.: E l'hai trovata
questa vita nascosta ?
Ho cercato disperatamente
di trovare delle lesbiche che mi raccontassero il periodo fascista
e non le ho trovate, delle lesbiche che raccontassero gli anni '50
a Milano e non ho trovato nessuna. Ovviamente c'era la difficoltà
perché io venivo da Londra avanti indietro però io credo
ci fosse proprio la difficoltà a raccontare. Il lavoro
sull'omosessualità durante il fascismo inizialmente doveva
riguardare un gruppo di confinati alle Tremiti. E' uscito qualche
settimana fa il libro su questa ricerca e non l'ho fatto io. Per il
film ho avuto un garante europeo per andare in Sicilia a fare riprese.
Ecco che si vede che i finanziamenti sono sempre per gli uomini. Lì
di rif e di raf ho infilato il caso di una donna - l'unico che conosciamo
- che era stata condannata al confino per omosessualità, poi
al confino non c'è andata. E' un caso degli anni '20. Ho infilato
anche lei nel film e poi ho anche investigato la parte delle donne.
Però inizialmente questo progetto qua riguardava gli uomini.
Era un progetto finanziato sugli omosessuali confinati alle Tremiti.
E' stato un percorso difficile e molto travagliato. Inizialmente c'era
l'interesse dell'Europa, c'era una compagnia di produzione, c'erano
tv straniere poi si sono ritirati tutti bene o male. I progetti vanno
avanti secoli poi la gente cambia negli uffici televisivi, ha altre
idee e altri progetti e dunque sono rimasta abbastanza sola. Anche
per il progetto sulle lesbiche sotto il fascismo c'era un interesse
televisivo, cosa sensazionale in Italia, di Telepiù e poi tiramolla
un procedimento lunghissimo di riunioni, cambi di idee, riscritture
alla fine avevo fortunatamente girato delle cose come primo girato
-poi se fossero arrivati i soldi televisivi ci sarebbero state altre
interviste; con tutte queste cose che poi tutti hanno abbandonato
e anche con il girato ho poi realizzato due documentari (n.d.r.
Ricordare e L'altro ieri). Su quello dei confinati alle Tremiti
non si è riusciti a trovare l'interesse internazionale e non
ho più ottenuto i diritti per poterlo realizzare, quello sull'omosessualità
durante il fascismo l'ho realizzato sulla coda di quello, a mie spese
e per conto mio, quello sulle donne c'è stato questo interesse
di Tele più e una compagnia romana, visto questo interesse,
si è agganciata a questo progetto. Poi Telepiù ha fatto
marcia indietro perché ha fatto sempre meno documentari e la
produzione anche e io ho preso quello che avevo girato e ho continuato
a girare per conto mio.
D.: Hai trovato
le lesbiche sotto il fascismo?
R.: Le ho trovate
però non tantissime. Sono cinque interviste (n.d.r.
L'altro ieri) di cui una è una lesbica dichiarata che
si fa vedere in volto che è Silvia Mazzoleni, una che è
di spalle che è piemontese, c'è una donna che ha risposto
solo per iscritto a delle domande e ho fatto recitare le sue risposte,
mettendo solo delle immagini, poi c'è una donna che parla che
non è una lesbica e riporta questo scandalo sugli anni '30,
un episodio che non si conosceva e poi c'è Lidia Menapace che
non è lesbica però commenta sulla sessualità
delle donne. Alla fine le lesbiche che hanno parlato sono due più
una che ha risposto a un questionario. Piera l'avevo contatta però
non aveva voluto parlarmi. Questa è un'esperienza molto comune.
Lei quel periodo lì non lo ricorda molto volentieri. All'inizio
facevo le cose di getto e mi aveva piuttosto colpito, poi continuando
a riflettere sulla storia orale, andando ai seminari di Luisa Passerini
ho scoperto che è una cosa assolutamente generalizzata non
volere parlare di quel periodo. Lei Piera ha bruciato tutte le fotografie.
D.: Che lavoro
fai tu con la scrittura? C'è un lavoro di revisione e abbellimento
? Questo è l'aspetto più importante nella storia orale.
Anche una mia amica che ha lavorato su alcune testimonianze di anziane
signore novantenni ha un vasto materiale trascritto letteralmente
su cui esita a intervenire.
R.: Nella storia
orale il problema è quello lì. Quando intervisto non
spingo, non tartasso mai
Di solito la memoria viene raccontata così: c'è una
prima versione che è già stata raccontata e va lasciata
dire tutta, dall'inizio alla fine ed è quello che io faccio,
penso che chiunque nella storia orale lo sa. Una persona anziana ricorda
i ventanni, non come li ricorda ma come ricorda di averli raccontati.
E' un racconto. C'è già un libro scritto. Poi c'è
un secondo affondo. Li' emergono i ricordi anche forse scomodi, perché
aveva glissato, perché c'è un particolare che non voleva
tanto dire, però io non insisto mai moltissimo perché
comunque la storia orale non è un'intervista. La storia orale
è anche un autoritratto e la sua vita non è stata sicuramente
come me la racconta lei perché ci sono dei passaggi che non
mi racconterà mai perché c'è tutta un'autocensura
che interviene perché la storia che tu vuoi che gli altri sappiano
di te non è proprio come è andata. Dunque la storia
orale ha quel limite e anche quella forza. Tu ti rappresenti e decidi
consciamente di raccontare la storia come vuoi che tu sia. E' già
un passo di chi è intervistato. Io non spingo mai molto nel
libro (n.d.r. I sapori della seduzione) certo qualcosa ho aggiustato
però non ho cambiato molto mi sono attenuta abbastanza al linguaggio
usato, alle parole usate. Certo ho tolto gli errori se no l'editore
non me l'avrebbe passato. Poi sono convintissima il libro rende al
70% quello che invece mi è stato raccontato perché il
racconto è anche la mimica, il tono di voce di come mi è
stata detta una cosa, io nel libro non lo posso fare, o scrivo la
didascalia oppure non può avere la stessa forza dell'immagine
perché le cose sono raccontate con molti ammiccamenti perché
il sospiro in un certo momento invece che in un altro ha una fortissima
valenza. Allora o faccio la nota <<qui sospira>> o la
parola scritta nella storia orale fa perdere moltissimo perché
la memoria è anche quello. E' una situazione differente quando
faccio una domanda e questa persona ci pensa e poi risponde oppure
risponde subito, cioè se è una cosa a cui non aveva
pensato prima. Ci sono delle sfumature che nella storia orale su video
emergono, puoi dire pochissimo e farmi arrivare molto di più.
La memoria, la storia orale ha comunque una patina rosa, come dici
tu. Nel capitolo del libro di Luisa Passerini che uscirà a
breve (sono vari saggi a cura di L.P. su omosessualità femminile
e fascismo), faccio un lavoro di riflessione su questo documentario,
quello sul lesbismo sotto il fascismo (n.d.r.L'altro ieri),
racconto con chi ho condotto la ricerca, le persone che non hanno
accettato di parlarmi, come queste persone che ho intervistato hanno
accettato di parlarmi.
D.: Quanto c'è
di personale nei tuoi documentari ?
In Pazza d'azzurro
c'era il mio coinvolgimento personale, e poi c'era proprio il mio
coinvolgimento con la storia di lei che si dichiara, c'è stata
proprio una sovrapposizione, poi nel set quasi tutte le cose che vedi
sono mobili di casa mia, non so se poi a un certo punto c'è
stata un specie di fusione a blocco. Le fotografie anche le ho usate
con scelte soppesate e ci ho lavorato tanto, fotografie recuperate
dai vicini nella stalla di qualche contadino. Era tutto disperso.
L'altro ieri è più storico e anche meno personale,
quello sugli omosessuali durante il fascismo (n.d.r. Ricordare)
è molto più personale. L'altro ieri è
più televisivo è più giornalistico, poi c'è
stato molto coinvolgimento mio e con le due intervistate lesbiche
c'è un'amicizia che dura tutt'ora, però l'impianto è
stato pensato per la Tv perché è la TV che ha dato il
là. Io l'avrei fatto comunque però se l'avessi fatto
io avrei dato un taglio più personale invece io sono stata
molto dietro le quinte. E' molto tradizionale l'archivio, lo sono
anche le foto, è più rigido come schema. Invece nel
film sugli omosessuali - poiché io ho capito che quel progetto
sui confinati alla Tremiti non si sarebbe realizzato più -
è stato poi un mio progetto completamente e allora lì
sono molto presente con il mio smacco, la mia delusione, la mia ricerca,
il dietro le quinte, quello che c'è stato fra me e gli intervistati
etc. che scappavano che non mi parlavano. E' un documentario più
sullo scontro -incontro di due generazioni di omosessuali e come ognuna
di queste generazioni pensa alla propria storia, alla memoria, alla
necessità della memoria. Io dunque sono molto più presente.
D.: Quali sono
i tuoi progetti futuri?
E' difficile parlarne
perché una non sa mai se ci saranno i fondi, però parlandone
idealmente. Intanto ho scritto un soggetto di sceneggiatura ispirato
all'unico caso che si sa di una donna condannata al confino sotto
il fascismo per omosessualità. E questo soggetto ha vinto un
premio che è stato realizzato con i fondi europei. Ha vinto
la menzione speciale al Premio Solinas, è stata un'enorme soddisfazione.
Però poi è andato tutto a rotoli perché non c'è
il tempo.
Di più facile attuazione sarebbe un corto ispirato a mia nonna
e quindi totalmente autobiografico. Ci siamo io e mia nonna a Torino
negli anni '70. E' una disquisizione sull'amore forse. Ha a che fare
con l'amore visto attraverso due punti di vista che forse non differiscono
così tanto. E quello si baserebbe anche molto su materiale
di homemovies non miei ma di altri, per ricostruire gli anni
'70 a Torino. Poi fra le altre cose c'è questo capitolo nel
libro di Luisa Passerini che è quasi scritto, un documentario
animato su cui non dico molto, vorrei avere delle interviste, con
la loro voce e i disegni che non sarei io a realizzare
D.: Quali sono
le autrici e gli autori che ti piacciono molto?
Chi mi piace molto
molto? Diciamo quelli che hanno significato per me, intanto per me
è stato molto molto importante vedere quei pochissimi film
di Barbara Hammer che ho visto, lei mi piace tantissimo, mi
piacque molto all'epoca, fu veramente una visione. E quello è
stato un punto fondamentale. L'altra filmmaker che mi piace moltissimo
è Su Friederick che lavora molto sulla memoria, fa cose
sperimentali di fiction molto interessanti, ricostruendo cose della
sua infanzia, dico fiction ma non è il nome giusto però
il suo lavoro non è neanche il documentario inteso tradizionalmente.
Fa delle cose veramente interessanti. Per me è stato di enorme
ispirazione Derek Jarman poi io ero lì quando lavorava e D.J.
è stato un simbolo per tutti quanti, così i suoi lavori
mi piacciono in generale quasi tutti moltissimo, poi lui è
un personaggio così poliedrico, così libero dalla televisione,
dalle sovvenzioni, lui è un vero artista mi ha sempre molto
affascinato. Un film invece che mi è sempre molto tornato in
mente nella vita è stato Otto e mezzo per il modo in
cui lui si ricollega al passato e rivive il passato nel presente,
il passato lo insegue, lo riinterpreta, è un film che per me
ha sempre significato moltissimo, l'ho visto molti anni fa. Quando
ero ragazzina andavo spessissimo al cinema e vedevo veramente robaccia,
spaghetti western, i film con Alain Delon e quando ho visto questo
mi si è aperto un mondo di come poteva essere il cinema, anche
proprio la bellezza di certe immagini, mi ricordo, e poi c'è
il tono sognante e questa ossessione della memoria che poi è
un'ossessione che ho ereditato in pieno; perciò quello è
stato un film significativo, poi te ne potrei dire altre migliaia
ma quello è stato un film di riferimento.