vai a indice Film
|
Cristina Piccino in Il Manifesto 3, 9, 2002
Navigando sull'onda
del disastro nucleare
Storie vere «La vicenda riguarda da vicino la nostra epoca. In questo
senso il mio è un film politico e non solo di azione spettacolare»
Una sfida. È così che a Kathryn Bigelow piace definire
K-19, pure se potrebbe sembrare il più «normale»
dei suoi film, quello più facilmente riconducibile a una lettura
di genere. Film militare, «bellico» tutto al maschile, e lei
sorride di gusto se glielo dici: «sì, anche se nella crew
c'erano molte donne, poi sul set ero talmente presa dal lavoro che non
me ne sono neanche accorta. Me lo fanno notare ora» e gli occhi
scintillano appena ironici, molto divertiti. Decisa ma cool mentre parla
di cinema senza mai dimenticare l'altra sua grande passione che è
la pittura e che si mescola al lavoro sul grande schermo. Anche stavolta,
in K-19, nelle scene di ghiacci e di fuoco, in quegli ambienti soffocanti
di un sottomarino. «L'arte è il mio background, ritorna nel
mio lavoro di regia naturalmente, specie quando mi confronto con le scene
più spettacolari...». È bella Kathryn e con discrezione.
La stessa discrezione della camicia maschile sul fisico alto e sottile,
la pelle bianchissima e quella catenina con una piccola croce di minuscole
pietre, le mani nervose che accompagnano le parole. Si dice che questo
doveva essere il film del «compromesso», una sorta di risarcimento
all'industria e al box office dopo il disastro (economico) del magnifico
Strange days - in mezzo c'è un'altra immersione «acquatica»,
materia plasmabile per Bigelow che è Il mistero dell'acqua con
Sean Penn. E appunto. Cosa di meglio di un film con una star quale Harrison
Ford, con il giusto equilibrio tra azione e suspense, senza guerra pure
se la minaccia è sempre presente, chiuso in un sottomarino a testata
nucleare che sta per esplodere. Ma la ragazza Kathryn - che è anche
produttrice - è un'estremista «point break» e con lei
mai dare le cose per ovvie. Intanto il tema. Siamo in piena guerra fredda,
anno 1961, e lei cosa fa? La racconta ma dal punto di vista dei russi.
Ford e con lui Liam Neeson sono i comandanti di un sottomarino sperimentale,
il K-19, maledetto ancor prima di nascere tanto da conquistarsi il nome
di widowmaker, fabbricante di vedove. La storia è vera, ed è
stata censurata dal governo sovietico fino all'89 - Bigelow per scrivere
K-19 ha fatto ricerche, incontrato i sopravvissuti e le loro famiglie
-, il riferimento al Kursk è inevitabile ma Bigelow spiega che
ha iniziato a lavorare alla sceneggiatura prima che accadesse, dal 95,
la coincidenza è più simbolica . «Mosca non lo considerava
un momento glorioso nella sua storia. Non era accaduto durante la guerra,
quindi non si poteva raccontare come un atto di eroismo, era solo un incidente,
anche un po' vergognoso per le glorie della marina sovietica», spiega.
Eppure se non fosse stato per quei ragazzi chiusi in un sottomarino scalcinato
e con attrezzature per difendersi dalle radiazioni inesistenti, magari
le sorti del mondo sarebbero cambiate, un'esplosione nucleare vicina a
una base Nato in quel momento poteva essere terribile.
In quello spazio claustrofobico,
si insinuano però altre scorie, altre inquietudini che rovesciano
ancora una volta per chi sa guardare, la superficie «liscia»
del film. Se infatti il punto di vista dei sovietici si può accettare
nella distanza, quelle ossessioni politiche di reciproco attacco, di un
nemico in agguato senza volto e con una sola identità globale,
diventano di assoluta contemporanietà, o quantomeno stridono con
un'idea di «genere» pensando agli Usa del dopo-11 settembre
e a Bush II che minaccia, nel nome della salvezza dal terrorismo, l'attacco
all'Iraq.
Insieme a Bigelow
sono arrivati al Lido Harrison Ford e Liam Neeson. Ford su 11 settembre
e Bush preferisce glissare. Dice: «Sono qui per presentare un film
che si svolge negli anni `60 e non per discutere di Bush e della sua politica.
Posso solo dire che sono costernato e preoccupato per quanto accade».
Liam Neeson - che sullo schermo è l'alter ego di Ford/Vostrikov,
il capitano «umano» Polenin è molto più diretto:
«K-19 è un film contro la guerra, non può piacere
a Bush e al suo staff, uomini agitati dal prurito di premere un bottone.
Spero che resistano un paio di settimane, e che intanto Bush stia a sentire
gli inviti alla ragione dei leader europei. Il problema principale è
il petrolio, se nella zona si coltivassero patate sarebbe diverso».
Incalza Bigelow: «La
storia del K-19 riguarda la nostra epoca molto di più di quanto
si pensi. In questo senso si può definire un film «politico»
e non solo di azione, anche se ci sono tutti gli elementi drammatici,
a cominciare dal dead line, il reattore di questo sottomarino atomico
che può fondere da un momento all'altro causando una catastrofe
mondiale. Poi c'è un capitano carismatico e dedito al proprio dovere
che prende decisioni coraggiose, e soprattutto ci sono i marinai pronti
a sacrificarsi. In questo direi che K-19 ha un legame con gli altri miei
film, persino con Point Break. Mi interessavano le dinamiche umane, le
relazioni tra i diversi personaggi, la lotta con se stessi e con l'esterno,
in questo caso una tecnologia difettosa e un governo, quello sovietico,
che li ha abbandonati». Cioè? «Mi piace mostrare non
la guerra ma la solidarietà internazionale... Nel caso della Guerra
fredda mi sono spesso chiesta «e se fin da allora i due paesi avessero
collaborato?». Ci sono cose che i militari nel sottomarino dicono
degli americani, sono propaganda ma raccontano anche alcune verità.
Credo che l'attualità della Guerra fredda nel rapporto con il nostro
tempo possa cogliersi nella distanza, sono passati molti anni ma è
come se qualcosa di quella mentalità non sia mai stato superato.
È come se la paura del nemico invisibile ma sempre presente sia
rimasta prendendo altre direzioni: oggi è il terrorismo, e lo si
vede nelle reazioni».
|