Donne e conoscenza storica
         
Rassegna stampa

sta in L'Unità 30,08,2003

L'aquilone di Randa Chabbal Sabbag ha vinto il Leone d'Argento

 

Il filo spinato, il confine con Israele. E un aquilone per superarlo
di Wanda Marra

Bambini che giocano con degli aquiloni, un filo spinato sullo sfondo e il cartello che indica il confine tra Israele e Libano, in un paesaggio solare. E' l'immagine iniziale del film in concorso Le cerf volant (L'aquilone) della regista libanese Randa Chabbal Sabbag, che viene proiettato a Venezia oggi per il pubblico.

Lamia (Flavia Bechara), la ragazzina libanese protagonista, si vede sfuggire dalle mani il suo aquilone, che passa oltre il filo spinato. Lo rincorre, incurante dei divieti che indicano il pericolo di mine. Ad un tratto, l'atmosfera intorno a lei si trasforma: i compagni di gioco cominciano a urlare: Torna indietro. Là c'è Israele? Ma Lamia non si ferma. Il panico serpeggia anche tra i soldati di guardia al confine. Ma lei continua a correre. Fino a quando arriva lo sparo per spaventarla. La tragedia sembra imminente, e invece non succede niente e la protagonista rimane sana e salva.

In questa sequenza c'è già tutto il film, che racconta la vita di un villaggio del Golan, al confine tra Libano e Israele, dopo la guerra del 1967: un desiderio di felicità e spensieratezza che resiste, nonostante il filo spinato che separa le famiglie. E la denuncia di una situazione di guerra, pericolo e divisione, che sembra incomprensibile, aliena rispetto alle ragioni della vita.
Il comandante del posto di guardia del confine ad un certo punto dice al suo nuovo soldato: «Nessuno ci capisce niente della situazione. Ma io devo obbedire agli ordini».

La regista, un passato da documentarista sulla situazione libanese, sceglie per Le cerf volant una chiave ironica, leggera. Ma non per questo l'impatto è meno forte. Dopo i film di Woody Allen e di Oliver Stone, sembra proprio che la situazione del Medio Oriente sia uno dei temi di fondo di questa mostra. «Da sempre ho voluto girare delle commedie - racconta la regista - ma sono nata in regione tragica. Penso che l'umorismo sia indispensabile per poter affrontare certe situazioni».

Il film racconta come Lamia venga data in sposa a un cugino, che vive dall'altra parte del filo, in Israele. Le trattative tra le madri vengono fatte urlando, dall'una e dall'altra parte del filo. («Fammi vedere una foto del cazzo di tuo figlio», urla la madre di Lamia. E la madre del futuro sposo, risponde: «Non ti preoccupare. Era talmente arzillo che si sarebbe fatto anche una capra. E poi assomiglia a me». Risponde l'altra: «E' questo che mi preoccupa. Mandami le immagini richieste, oppure può sposare la capra»).

Il matrimonio si consuma e Lamia attraversa il confine. Ma non ama suo marito (che le dice: «Ti ho sposato per farti uscire da Israele?sta in un posto che non conosce, e si avvicina al filo spinato per parlare con amici e parenti. Sua madre viene a sapere della sua infelicit?e urla dall'altra parte del confine: «Voglio notizie di mia figlia. Se no, me ne frego di Israele, dell'occupazione e della Croce Rossa e vengo di là».

«Il mio non è un film realistico, ma vuole parlare della libertà in un luogo ben connotato geograficamente? ha dichiarato la regista. E questa libertà?incarnata perfettamente dalla figura vitale e ribelle della protagonista, che non si rassegna al suo destino, ma ritorna dalla sua parte del confine, e nel finale riattraversa il filo spinato, sfidando ancora le mine, per raggiungere uno dei soldati di guardia al confine di cui si ?innamorata.

Proprio quel filo spinato, presente in quasi tutte le scene del film, denuncia le continue annessioni di territori da parte di Israele. C'è una scena in cui i soldati israeliani mettono di notte e di nascosto del filo spinato per circondare nuovi territori. Israele ha l'abitudine di annettere di tanto in tanto piccoli territori - spiega la regista- E' la sua politica di rosicchiamento, incurante del diritto internazionale?