Donne e conoscenza storica
         
Rassegna stampa

sta in Il Manifesto 19,9,2003

Lo strip-tease come una delle belle arti
«Non dirlo a mia madre», della belga Sarah Moon Howe. Una spogliarellista si analizza

ROBERTO SILVESTRI

 

Che piacere, dentro e fuori, provoca spogliarsi davanti al pubblico pagante? È una forma espressiva di op-art drammatica? E che tipo di grafica, di statuaria del corpo, e di controllo del sesso, lo spogliarello (a parte i vari e cangianti tabù etici e la ghettizzazione degli show) può disegnare tra luci, ombre, lingerie e epidermide? L'autogestione dal/della performer è tollerata o gli impresari (alla Alain Bernardindel Crazy Horse) proibiscono i liberi giochi degli sguardi, da vigili urbani del piacere? Ma, ancora più interessante: è un meccanismo fertile e controllabile «l'osservare di essere osservati», l'istigare alle mille carezze invisibili? Escono fuori da simili show i propri poteri (anche sconosciuti) e i propri limiti? Certo, scriveva Wilde «il mistero del mondo è nel visibile, non nell'invisibile». Però la diva del nudo anni 60, Rita Renoir, alla solita domanda del giornalista tv: «pensavi di realizzare te stessa scegliendo lo strip-tease?» rispondeva, quasi ascetica: «ci si pensa sempre dopo, magari a fine della carriera. C'è qualcosa di molto più complesso, all'inizio, che ti spinge, da dentro, verso il «full frontal».A proposito. Full monty ha raccontato qualcosa che ha a che fare sia con il ricatto antioperaio di Thatcher («non hai niente altro che le tue catene da spezzare...» non è anche un'ottimo set da strip-tease sadomaso?) sia con la «mascolinità» che si forma attraverso lo sguardo fisso degli altri e delle altre sui corpi nudi maschili, o ben modificati (Capucine, Coccinelle...). Ma la storia dello spogliarello femminile ha più bibliografia, filmografia e telegenia alle spalle, dalle Mille e una notte a Meyer da Fellini alle tv locali, dopo l'una di notte.

Ora un home-video, dedicato a Rita Renoir, un piccolo film che mixa super 8, spezzoni tv, inserts celebri, riprese in digitale, visto nei giorni scorsi alla Mostra di Venezia, racconta tutto questo, cerca di far vedere quel dentro magmatico che spinge a mercificarsi sì, «ma in un quel certo modo». «Volendosi bruciare le ali - scrive la regista - rischiando la paura ogni notte», e la persecuzione maniacale di chi è ferito dallo strano rito spettrale del «penetrare i nostri underground». Certo, Gipsy Lee Rose si laureò alla N.Y.U. e Rosa Fumetto fu sdoganata dal papa. Ma le molestie alle «totally nude», e non solo nei racconti di Kitten Natividad, diva di Russ Meyer, sono patrimonio comportamentale del maschio medio planetario. Esibizionismo, feticismo di se stesse e voyeurismo incorporato e rovesciato dunque, raccontate in prima persona singolare femminile in questo film (in gara al III «Docupolis» di Barcellona, dal 23 ottobre), tra le poche le opere teoriche sull'argomento (a parte l'inchiesta video post-Moana Pozzi di Pietro Balla e Monica Repetto).

L'opera, un po' home movie, un po' saggio filosofico estremo, è belga francofona, dura 26' e il titolo è Non dirlo a mia madre. L'autrice è Sarah Moon Howe. Strano nome per una ragazza della Vallonia. È nome d'arte. Infatti Sarah, a 22 anni, dopo la laurea in sociologia, ha trovato lavoro come spogliarellista (a Venezia era vestita di taftà dai mille toni azzurri, tra Barbie anni 50 e Veronese, con gonna a ruota fenomenale). Non è profuga dall'est, né orfana dei genitori, né sfuggita alla tratta delle bianche. Ha deciso di fare questo mestiere, e di accompagnare le sue performance e i suoi camerini sempre con una videocamera spia tutto. Il suo è un corpo che vorrebbe farsi statua esmistarsi qualche decennio indietro, negli anni 50, immobilizzando il tempo. Infatti la seconda parte del film è dedicata all'altro suo mito, la spogliarellista anni 50 (quando i capezzoli venivano coperti, obbligatoriamente, da coppette e pompons) Tempest Storm. Va a trovarla in Usa dove organizza, nel deserto del middle, un concorso annuale «a parte», di pomeriggio, in piena luce solare. Giudici e giudicate, le migliori spogliarelliste.