Donne e conoscenza storica
         
Rassegna stampa

sta in L'Unità 29,08,2003
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=CINEMA&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=28410

 


Quando la rabbia dei giovani diventa arte
di Wanda Marra

Comincia in una Chiesa e finisce con le manifestazioni no-global di Annecy. In mezzo la Roma dei centri sociali, delle strade, delle piazze e i Cancelli di Ostia. Wilma Labate ha scelto di raccontare la vita e le scelte di cinque giovani estremisti, anarchici e no global, facendoli parlare davanti a una macchina da presa, filmandone volti e movimenti. Maledetta mia, proiettato ieri sera a Venezia nella sezione Nuovi Territori, è un documentario che ha per protagonisti questi cinque giovani che la regista ha incontrato, vincendone la diffidenza, parte intrinseca del loro mondo: «Mi hanno posto paletti e limiti, hanno scelto il linguaggio narrativo del film: semplice, forse per controllare meglio. Ci sono state molte crisi, le abbiamo superate e si è ricominciato».

Le domande, gli ideali, le ragioni di un dissenso totale rispetto alla società. Ma anche le forme di espressione artistica: la scrittura, la musica, la danza, la poesia: questo mette in scena la Labate (da sempre autrice di film a sfondo politico e sociale), tentando di dipingere un ritratto fedele di questo universo.

«Come si fa a essere felici in questo mondo qui? - si chiede Mia, e spiega la sua personalissima forma d'anarchia, fatta di scrittura e rabbia - scrivere è il mio modo di non perdermi. Non vi scandalizzate se vi dico che il lavoro non è un diritto, ma una castrazione. E non voglio dare un nome a quello che sono e che sento. Ho un vaffanculo sempre sulle labbra e l'impossibilità di adattamento. Anarchia significa vedere le cose da un altro punto di vista». Poi c'è Nicolas Denis, un hacker che racconta un mondo trasformato e anche deformato dal computer («In molti oggi rimpiazzano la donna con un computer»). E sulle strade di Roma incontriamo anche Adi Gianuario che ci racconta la sua anarchia in forma di rap.
«La danza è una forma d'espressione, piuttosto che una performance» afferma Nina De Manincor, e poi scorrono le immagini di lei che balle ai cancelli di Ostia, da sempre punto di raccolta del proletariato romano. E infine c'è, Dora Francese, poetessa calabrese che da dieci anni vive a Forte Prenestino e racconta la sua anarchia in versi.

E' dunque la ricerca di espressione artistica la chiave privilegiata con cui la Labate ci introduce nel mondo dei centri sociali. Infatti, ad un certo punto scorrono le immagini della manifestazione no-global di Toronto, le immagini di una parte specifica del movimento: quei black block, passati alla storia come alcuni dei protagonisti negativi dei giorni di Genova. Ma il giudizio che se ne dà nel documentario è diverso. Artistico, appunto: «Sono degli artisti, sono degli esteti», dicono i protagonisti.

Il bisogno di capire, di raccontare i no-global emerge prepotentemente come uno degli obiettivi di fondo di Maledetta mia . Anche se forse l'aspetto meno riuscito del lavoro è proprio questo passaggio dalle esperienze dei centri sociali al movimento: «Il progetto nasce a Genova, dove ho conosciuto un immenso movimento, che mi ha colpito moltissimo - racconta la regista - Non ne sapevo quasi nulla e mi è sembrato inammissibile. E allora questo documentario nasce da un'esigenza di conoscenza».