Donne e conoscenza storica |
Rassegna stampa |
sta in Il manifesto
2 settembre 2003 |
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Rosenstrasse,
quella vertigine della storia Un'altra regista ci porta a Manhattan ma quella di Tokyo, nel quartiere Shibuya. Sofia Coppola, 32enne, figlia di Francis, ricordata per il poema macabro Il giardino delle vergini suicide, torna alla regia con Lost in translation (L'amore tradotto) Controrrente. In scena il più stralunato dei soggetti comici, Bill Murray, specchio di tutte le follie contemporanee. La capitale giapponese accoglie il divo Bob Harris per uno spot su una marca di whisky, business di stelle hollywoodiane in trasferta (e di cui si vergognano in patria) in una pioggia di luci, sotto palazzi dalle facciate semoventi proprio come a Time Square. Pubblicità ormai «mondo» in movimento, doppio del reale che narra scivolando sui grattacieli un'altra storia. Tokyo si è ricostruita così, «copiando» New York, Parigi, Roma. Ma il sapore di sushi e sashimi si apprezza soltanto dopo qualche immersione tra stradine dove all'improvviso sbuca un tempio e una processione, e vedi un albero fitto di bigliettini bianchi, omaggio ai morti, o vai nei locali un po' mostra di designer, performance d'arte, discoteca... E quel che accade a Bob, stranito alien frastornato dagli inchini della delegazione giapponese e dalle urla logorroiche dal pubblicitario nippo-punk tradotto comicamente con monosillabi. Ma i jokes anti-giapponesi sono una trappola per il pubblico perché Sofia Coppola, grande frequentatrice di Tokyo, ama l'isola e la fa amare anche all'insofferente divo hollywoodiano che incontra un'altra piccola alien americana all'Hyatt Hotel. Charlotte (Scarlett Johansson) è sperduta e guarda dai piani alti dell'albero il profilo discontinuo della città. Insieme ne faranno di incursioni notturni, raid, fughe e incontri e poi se ne staranno a meditare sul senso della vita. Lui con moglie petulante che gli spedisce i campioni della moquette, lei con neo-marito fotografo avvolto nelle spire di starlette squittenti. La relazione uomo-bambina, ricorrente in molti film, diventa qui non a caso (il sogno del maschio si dilegua) il prototipo di un rapporto d'amore e di amicizia. Charlotte ha vent'anni ma è in sintonia perfetta con il sessantenne Bob. L'erotismo sprigiona nelle menti che si toccano, ma anche nell'abbraccio finale, quando lui ormai rassegnato al ritorno ferma il taxi diretto all'aeroporto tra la folla per inseguire Charlotte. Non sappiamo cosa le sussurra all'orecchio ma lei smette di piangere e saluta l'amico nel fluire della gente di Tokyo, avvolgente e calda come il saké. Non si può dire lo stesso per il film francese in concorso, Les sentiments di Noémie Lvovsky (concorso) a proposito di relazione eccentriche. Anche qui uomo-di-una-certa-età (Jean-Pierre Bacri) e piccolina pannosa, tutta gridolini e spensieratezza che «ruba» per gioco il marito a Nathalie Baye, più affascinante di lei ma incapace di far rifiorire l'organo sessuale del marito, al centro di oscene storielle snocciolate nella pochade insipida con temibile coretto surreale alla Resnais (lasciamo stare La signora della porta accanto di Truffaut). Sarà una critica alla borghesia ma il conformismo svaporato della commedia è insostenibile, a parte la scelta degli abiti così entusiasti nelle loro righe, palline, fiori da sollevare un po' il morale delle mogli abbandonate e supplicanti come non se ne vedavano più dagli anni Cinquanta.
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