Donne e conoscenza storica
         
Rassegna stampa

sta in L'Unità 31 ,08,2003

 


Rosenstrasse», le donne che piegarono Hitler
di Gabriella Gallozzi

C'è tanta Storia in questa edizione numero sessanta della Mostra. E almeno fino a qui - mancano ancora cinque giorni di concorso - è proprio dai film che attingono alla memoria che sono arrivati gli scossoni più forti, anche in termini di polemiche. Segreti di stato di Paolo Benvenuti, rilettura della strage di Portella della Ginestra, ha ottenuto una delle accoglienze più calorose, oltre ad aver suscitato le ire violente della destra. Persona non grata di Oliver Stone ha toccato le «radici dell'odio» nel drammatico conflitto israelo-palestinese. E ancora Fango di Dervish Zaim ha raccontato la guerra dimenticata di Cipro, L'aquilone di Randa Chahal Sabbag l'occupazione israeliana del Libano nel '67 e persino il decano del cinema portoghese Manuoel De Oliveira (Film parlato) ha reso omaggio alla memoria mettendo al centro del suo film proprio un'insegnate di storia, pronta a ricostruire le nostre radici culturali, attraverso un lungo viaggio.

Adesso i più attesi restano I sognatori sessantottini di Bernardo Bertolucci - ne parleremo domani - e il caso Moro di Marco Bellocchio (Buongiorno notte), ma nel frattempo ad avere ottenuto lunghi e commossi applausi è arrivato ieri nel concorso ufficiale ancora un film che scava nella memoria. Stavolta quella tragica dell'Olocausto. E' Rosenstrasse di Margarethe von Trotta che, dopo Anni di piombo e Rosa L., torna alla storia per rivelarne una pagina inedita a molti. Si tratta, infatti, di un piccolo grande episodio di resistenza al femminile nella Berlino del '43, quando ormai, dopo Stalingrado, il regime nazista incomincia a scricchiolare. Continuano, però, le deportazioni degli ebrei nei campi di sterminio. E Rosenstrasse - una strada vicino ad Alexanderplatz - è il luogo dove vengono imprigionati prima di essere messi suoi treni della morte. Nel febbraio del '43 finiscono a Rosenstrasse centinaia e centinaia di ebrei, salvi fino allora, perché sposati con donne di «razza ariana» che avevano rifiutato di divorziare, come spingeva a fare il regime, per stare fino all'ultimo accanto ai loro mariti. Via via che procedono gli arresti le «mogli ariane» si concentrano nella strada. Giorno e notte, notte e giorno davanti alle finestre di quella prigione improvvisata, ad implorare un contatto, una notizia, un semplice saluto dei loro uomini. Diventano sempre più numerose, più «forti». Gridano in strada che rivogliono i loro mariti. La protesta va avanti per sette giorni ed ecco che, il 6 marzo '43, il portone della prigione di Rosenstrasse si apre ed avviene il «miracolo»: i prigionieri vengono messi in libertà.

«È stato un piccolo raggio di sole nel buio del nazismo - spiega Margarethe von Trotta - Goebbles, infatti, decise di liberarli per paura di uno scandalo che in quel momento non si potevano permettere. L'assedio di Stalingrado aveva fatto capire a molti che le sorti della guerra si mettevano male. Per cui il ministro della propaganda prese questa decisione convinto che in un secondo momento li avrebbe arrestati di nuovo tutti».

Questo è quello che racconta Rosenstrasse. E lo fa attraverso il continuo incrociarsi dei piani narrativi tra presente e passato. Al centro del racconto è una ragazza ebrea tedesca di oggi - abita negli Usa - che va alla ricerca della «memoria» di sua madre che ha voluto, invece, cancellare. A poco a poco riaffiorano i tasselli del passato e Rosenstrasse, dove la madre, bambina ebrea di otto anni, incontrerà la donna «ariana» che la porterà in salvo.

«Era da dieci anni che volevo fare questo film - spiega la regista tedesca - ma in Germania non si fa altro che produrre commedie». A suggerirle il soggetto, prosegue ancora, è stato il marito Volker Schlondorff: «Anni fa mi raccontò questa storia e mi disse che era il film che dovevo fare. Poi uscì un documentario e se ne incominciò a parlare. Ma fino a un po' di tempo fa certi temi non erano accettati facilmente. Far conoscere episodi di resistenza come questi o come quello raccontato da Schindler's List cambia la prospettiva. Fa capire che in realtà si sarebbe potuto fare qualcosa contro il nazismo se solo si fosse stati disposti a comportamenti più coraggiosi».

Come quello delle donne di Rosenstrasse, appunto. Quasi delle madri di Plaza de Majo ante litteram, anche se la regista sottolinea che il loro non fu un movimento politico come quello delle donne argentine. «A portarle lì - prosegue - era la disperazione, l'amore per i loro uomini. La protesta fu quasi tutta al femminile perché i "mariti ariani" che si videro portare via le loro mogli ebree spesso divorziarono subito. Non perché fossero cattivi, diciamo così, ma perché sugli uomini le limitazioni dettate dalle leggi razziali erano più pesanti. Si trattava di perdere il proprio lavoro o di finire nelle fabbriche di armi. Le donne, invece, stavano comunque a casa e non avevano problemi di carriera».

Comunque sia Rosenstrasse è un film che sicuramente farà discutere molto. E riporta alle atmosfere de Il pianista, Palma D'oro a Cannes 2002. Un film che Margarethe von Trotta dice di aver amato moltissimo e col quale ha in comune persino una parte di set: la strada, infatti, è la stessa in cui Polanski ha ricostruito il suo ghetto di Varsavia occupato dai nazisti. Nazisti spietati e senza umanità così come li ritrae anche la regista tedesca. E a chi le chiede come mai, dopo la guerra, degli uomini così spietati si siano potuti rifare una «verginità» e tornare ad una vita normale, lei risponde: «Mi sembra che una domanda del genere si possa rivolgere anche agli italiani, no?».