Come tutti i film
delle registe vale anche in questa stagione la valutazione che ne
ha dato casualmente Serge Daney, così citato nel saggio di apertura
di Federica Giovannelli a Federica Giovannelli e Giulia Fanara (a
cura di), Eretiche ed erotiche.Le donne, le idee il cinema
(Liguori, 2004).
Il critico cinematografico dice: adesso che le donne cominciano sempre
più di frequente a fare cinema <<non si gioca più>> e
<<rappresentano un cinema irrimediabilmente adulto>> (Il
cinema e oltre. Diari 1988-1991, Milano Il castoro p.262-263)
.
Affermazione difficilmente smentibile e che non serve a rettificarla
citare Tutto può succedere di Nancy Meyers o E' più facile
per un cammello di Valeria Bruni Tedeschi. Non serve che il primo
sia un film brillante e neppure il secondo che sia l'autobiografia
di una ragazza ricca ricca che ironizza su se stessa.
Sono seri anche loro. Anzi. Secondo la curatrice di Eretiche e
erotiche, constatato l'assunto di partenza, il cinema delle registe
racconta anzitutto l'oppressione femminile poi ne mostra le strategie
di resistenze verso cui prevale l'elogio del margine. L'autrice riconosce
però ai film delle registe la messa in gioco, questa sì, delle
differenze, come dire la singolarità delle donne e le storie che ci
fanno diverse - nonostante che per entrare nel simbolico - citazione
di Ida Dominijanni - occorra pensarsi come genere.
Così arriva l'affermazione che più ho condiviso: <<E'
su questa soggettività riscoperta che deve costruirsi il cinema delle
donne; suoi sono i desideri che ne costituiscono le declinazioni,
sue sono le discordanti caratteristiche che per la prima volta vi
trovano visibilità>> (pag.33)
Sono invece in disaccordo sulla collocazione delle donne ancora e
sempre dentro la narrazione dell'oppressione. Se c'è storia del cinema
e riguarda anche le donne, è questo spostamento di sguardo che la
critica cinematografica ha il compito di indagare. Nel volume sopra
citato anche il fenomenale film lesbico Go fish di Rosa Troche
è inscritto nella narrazione dell'oppressione femminile!!
Mi piace invece pensare all'intarsio del cinema femminile con l'esistente
e vedo in questo congiungimento e coinvolgimento -a volte fatto di
apparenza e minimalità, se non anche superficialità
- una politica del gesto delle donne, non sempre descrivibile a parole,
oppure vedo una interpretazione del cio' che succede fra le donne,
non sempre determinata a diventare coscienza, che sono il grande valore
del cinema femminile. Un valore che è seriamente e sentimentalmente
molto stimolante. Fino a conquistarci con opere di grandissimo impegno
che rielaborano il senso del presente per le donne e sommano in sè
un messaggio attendibile e buono per tutti, donne e uomini.
Di questi film al primo posto vorrei mettere Rosenstrasse.
Margarethe Von Trotta, la regista, è sempre molto attenta alla
politica delle donne e non è certo l'oppressione femminile che questa
autrice di film già negli anni '70 vuole raccontare. Lascio a chi
la pensa irrinunciabile scovare i segni di denuncia dell'oppressione
in Rosenstrasse; suggerisco la scena dove la protagonista
per salvare il marito è obbligata a godersi Goebbels a letto.
Rosenstrasse è il film di una maestra di cinema che ha fatto
qualche film negli anni passati non riuscito; adesso ci dà
una pellicola straordinaria. La regista è attivissima nella televisione
tedesca, era diventata molto nota al pubblico internazionale fra gli
anni '70 e '80. Ha al suo attivo una filmografia vasta e una serissima
critica cinematografica accompagna il suo lavoro. Mi riferisco agli
scritti di Ester De Miro e di Maria Schaivo, per citarne solo alcun
Non smette mai di interessarmi in Margarethe Von Trotta la coerenza
e la sensibilità - allo stesso modo casuale e cercata - dell'impegno
femminista. I suoi film hanno sempre uno spazio evidente per il pensiero
politico delle donne e ne raccolgono non solo una generica ispirazione.
Film per film la regista ha rappresentato e testimoniato quanto il
movimento delle donne andava elaborando negli anni. Essendo vissuta
in Italia la regista ne ha accolto l'impegno politico e delle donne
sa valorizzare i contenuti e gli interessi.
Von Trotta ha esordito
in Germania con film molto forti e ancora capaci di destare suggestioni
e creare il dibattito. Penso a Sorelle e a Anni di piombo,
che merita il Leone d'Oro a Venezia e a a Rosa L.. I film
successivi si sono rivelati in alcuni casi troppo desiderosi forse
di raccogliere una storia del presente che era sfuggente e che aveva
molti segni dell'individualità se non dell'individualismo.
E' su questo versante che Von Trotta ha fra le mani la magia di chi
sa sfuggire al banale pur senza essere eccentrica; a lei il merito
di sapere tentare il rilancio nel mondo politico anche di materie
prime apparentemente prive di finalità politica. Il pensiero
delle donne le è allora attinente. Con la storia delle donne
la sua comunicazione si avvia a indicare nella politca delle donne
una parentela naturale e acquisita coscientemente.
Dopo la prima
fase della sua carriera che ha offerto film veramente completi e importanti
fino a toccare gli anni '80 con Lucida Follia; nel secondo
periodo della sua produzione si ritrovano i motivi dell'impegno politico
inquadrato nel quotidiano e nella capacità di riprodurre il presente
delle donne. Mi riferisco a L'Africana, e a Paura e amore.
Un vero tocco magistrale è la capacità di Von Trotta di lavorare con
la presenza di attrici perfette per il suo cinema richiamate più volte
a girare i suoi film come Barbara Sukowa, Eva Mattes, Jutta Lampe,
donne che ne simulano lo stile, classico e essenziale..
Con Rosenstrasse
la regista riapre il dialogo con le donne e la storia. L'opera rompe
la serie di film di questa stagione 2003-2004.
In questi film l'immaginario
femminile spazia nella vita di tutti i giorni sensibilizzata, però,
verso la capacità femminile di disegnarne i contrasti e di appuntare
su di essa i segni della differenza femminile. In Rosenstrasse
in sintonia con la ricerca che le donne hanno dedicato alla storia
delle donne la regista apre uno spazio fondamentale. Fa parlare donne
comuni ma allo stesso tempo taglia la storia con il segno di una diversità
ribaltante e trasformativa.
Rosenstrasse è la via per accedere a una storia affatto squadernata,
la storia delle donne che abita il presente come il passato lasciandosi
scrivere solo dove le donne desiderano. Rosenstrasse è la via
dove per intere giornate protestarono le mogli e altre persone imparentate
con ebrei catturati a Berlino. Questi erano cittadini tedeschi e ancora
di più potevano definirsi tali le mogli ariane che avendo sposato
un ebreo ne rivendicavano il diritto alla vita e in nome del loro
matrimonio e della loro cittadinanza. Come è noto i casi di opposizione
al nazismo sono stati pochissimi. In un opuscolo che si trovava in
vendita alcuni anni fa a Berlino questi casi sono stati elencati,
alcuni sono più noti, come le giovani donne e i giovani uomini della
Rosa Bianca, o come gli alti ufficiali che prepararono l'attentato
a Hitler poco prima che finisse la guerra.
Stranamente le donne di Rosenstrasse non sono state ricordate. Non
so perché. Adesso c'è un monumento eretto in Rosenstrasse per ricordarle
e celebrarle. Non è ancora del tutto chiaro perché i nazisti dopo
la protesta delle donne liberarono questi uomini. Nina Schroder che
ha dedicato un libro a questo caso intitolato Le donne che sconfissero
Hitler (Pratiche, 2003) dice che una interpretazione sostiene
che di questi uomini non era era stata programmata la deportazione,
nonostante che fossero stati prelevati sui loro luoghi di lavoro in
ottemperanza al disegno di Goebbels di ripulire la città di ogni traccia
ebraica <<per farne dono al Fuhrer>>.
Comunque sia stato quello che importa adesso è come la regista è riuscita
a realizzare un progetto dedicato a queste donne. E' un'idea che aveva
in mente già dieci anni fa e che solo l'anno scorso ha realizzato.
Le protagoniste sono quelle donne che protestarono per giorni in Rosenstrasse
sotto le finestre della prigione ma allo stesso tempo non lo sono
perché l'autrice ha lavorato su un testo immaginario spingendo la
storia su un binario fittizio; questo percorre la sua strada non alterando
per niente il significato di quell'episodio realmente accaduto e gli
interrogativi che porta ancora con sé.
La storia delle donne in Rosenstrasse la rintracciamo sullo
scenario della Germania durante la seconda guerra mondiale, dove però
la regista spostando la meta del film nel presente mette in mostra
la sua interpretazione. La storia delle donne si fa vedere allo snodo
delle relazioni femminili che percorrono le generazioni e non c'è
narrazione possibile del protagonismo femminile senza quel filo reale
e indissolubile che collega le generazioni. Allora dove questo tessuto
e questa testimonianza non ha fondamento reale, per costruire la storia
delle donne vale l'invenzione e l'immaginazione di chi narra, offrendo
uno splendido esempio di cinematografia.
In Tutto può succedere di Nancy Meyers e in Monster
di Patty Jenkins pur
con motivi diversi vale l'interpretazione delle attrici a sostenere
il film. Nel primo film provi chiunque a pensarsi al posto di Diane
Keaton e di Jack Nicholson e per quanto mi riguarda ne vedo subito
l'inconsistenza che si porta via il senso del film. Diane è una grandissima
attrice. Grandissima anche perché se diamo retta alle sue dichiarazioni
si è trovata a recitare una situazione lontanissima dalla sua esistenza.
Brava anche perché il film racconta proprio solamente l'incontro decisivo
fra una drammaturga overcinquanta tutto lavoro e niente amore e uno
scapolone coetaneo tutto sesso con ragazze giovani e niente amore.
Perché abbia effetto l'incontro e crei interesse ci voleva proprio
Diane Keaton; il film è un ritorno alla sophisticated comedy americana,
con il gioco della coppia uomo donna dove lui e lei si disprezzano
per poi ritrovarsi, lascia l'impressione che valeva la pena passare
due ore al cinema perché c'è questa attrice che è tutta un'invenzione
e una lezione di sguardi, di sorrisi, di stile.
Monster di Patty Jenkins è
invece molto più interessante come regia e la straordinaria interpretazione
della bellissima Charlize Theron ne è decisamente rafforzata. La regia
femminile riesce a rendere sopportabile l'atrocità delle scene violente
sostituendole e alternandole con l'incontro vitale e imprevisto fra
le due ragazze. C'è stata quindi una interpretazione della
storia di questa prostituta violentata quasi ammazzata e che inizia
a uccidere i suoi clienti, in primis il non riuscito aguzzino assassinato.
L'interpretazione
di Aileen come recitazione e come indagine dentro alla persona che
lei è stata vince sulla bruttezza della vita di una prostituta
di strada perché trascrive una voglia di vivere maledetta, tradotta
sul movimento di un'attrice con il corpo pesante e ingrossato. La
vediamo guardare sempre fuori di sé, rispecchiare, con la espressione
del viso immutabile, un muso duro distorto dove è piazzato
tutto il male raccolto. E anche l'insopprimibile vendetta, che ovviamente
la umanizza la rende amica, emozionalmente ci coinvolge perchè
dice come ogni donna sia capace anche al fondo di sé di crearsi un
'altro' mondo praticabile, però, non ideale e quindi molto
vulnerabile.
I sentimenti di Noemi Lvosky è un film
che a me è piaciuto e non ho sofferto particolarmente per la semitragica
sconfitta con riabilitazione di Nathalye Baye, che ha nella realtà
e nel film cinquantasei anni e si trova un marito innamorato della
moglie di un collega; i giovani sposi neanche trentenni vanno a vivere
nella villetta a fianco alla loro. La giovane Isabelle Carrè nata
nel 1971 è bellissima e non poteva essere scelta meglio per stare
di fianco al più che cinquantenne Bacrì. Il film invece ha sconvolto
Mariuccia Ciotta che su Il Manifesto ne ha parlato malissimo proprio
per l'insensatezza della moglie tradita che si presenta nel testo
della Lvosky - a suo parere - con reazioni <<prefemministe>>.
In realtà trattandosi di tradimento, la gelosia fa i suoi percorsi
non sempre razionalizzabili e in sintonia con la politica delle donne.
La regista sceglie i suoi personaggi e colloca nei giusti incroci
i corpi con le idee che vogliono raccogliere: non manipola sotto forme
neutrali il suo immaginario e lo fa parlare, lo mette in scena rappresentando
non i cambiamenti di morale ma quello che può fare sentire drammatica
la storia d'amore.