Agnès
Varda: L'Ile et Elle alla Fondation Cartier pour l'art contemporaine
di Donatella Massara
<<Sono passata
allo statuto di artista plastica; se prima ero una "vecchia cineasta"
adesso sono una "giovane videoasta" >> (1). Parola di Agnès Varda, la grande regista che (si) espone
fino all'8 di ottobre alla Fondation Cartier pour l'art contemporaine
a Parigi, in boulevard Raspail a Montparnasse, non distante c'è
la casa dove abita e la sede della Cine-Tamaris, la sua casa di produzione
fondata nel 1954. E' in rue Daguerre dove ha girato nel 1975 Daguerrotypes,
un documentario dolce, incisivo e poetico in mezzo alla gente dei
negozi, ai passanti, agli amati commercianti uomini e donne che avevano
i negozi in questa via. E' sempre lei che dopo tanti anni di arte continua a guardare alla vita
restando in mezzo alla quotidianità; con semplicità,
amore, attenzione di nuovo guarda al mondo come a qualcosa
di cui tacere l'idea di proprietà per mettere in evidenza quella
di appartenenza. Le cose appartengono a Agnes Varda che ne fa
un uso così personale che immediatamente richiamano
padronanza, conoscenza, fantasia, un approccio alla realtà dove
il guardare ha la centralità inafferrabile dell'esperienza,
della passione artistica e dell'esercizio artigiano fatto per il solo
piacere di esprimersi per sè e per le altre/gli altri. Come
e più di un dovere verso il mondo la sua arte fa vedere un piacere femminile
di creare che non svapora in egocentrismo pur restando dentro all'unico
principio, il più semplice: fare ciò che una si sente
e stare a vedere che cosa ne salta fuori. E molto importanti sono
le donne in tutti i film di questa regista che alle sue simili dà
uno sguardo sincero, affettivo e allo stesso tempo concreto e comprensivo.
Il tema di
L'Ile et Elle è l'isola di Noirmoutier in Vandea, sulla
costa atlantica occidentale della Francia. L'isola è descritta, suggerita, fermata
in video, fotografie, segni, videoistallazioni. Perchè è arrivata in questi
anni la svolta di A. V. verso la videoinstallazione. Nel 2003 alla
Biennale di Venezia era presente con Patautopia (2). Adesso
in questa esposizione spiega il suo amore "fra buonumore e malinconia"
verso l'isola di Noirmoutier. L'aveva portata la prima volta Jacques Demy,
suo marito, morto nel 1990, che era nato a Nantes. Nel 1962 avevano
preso un vecchio mulino riadattato e sull'isola hanno continuato a passare
tutte le loro vacanze, con la figlia Rosalie, il figlio Matthew, i
nipoti, i bambini ormai di tre generazioni.
Il legame con
l'isola lo si percepisce subito; all'esposizione ci accoglie una
grande fotografia del mare costruita su un pannello centrale e due
laterali sovrapposti a quello. Continuando il percorso ci sono i piccoli
video di pochi secondi visibili attraverso finestrelle collocate nella
Grande cartolina postale
di Noirmoutier.
Le aperture nascoste
nella grande foto sono aperte dal bottone che comanda chi guarda.
Alla parete delle vedove di Noirmoutier 14 schermi, uno per ogni donna,
sono collocati a cornice intorno a uno schermo più grande;
è possibile ascoltare il racconto di una donna per volta
sedendosi su sedie collocate davanti alla parete e collegate
a una proiezione, per ascoltare le altre, come in una conversazione
privata, occorre cambiare sedia. Senza l'auricolare vediamo le
immagini di 14 donne che parlano, si muovono, fanno i loro lavori,
le accompagna la colonna sonora di Amy Flamer. C'è il gioco,
invece, nell'altra parete piena dei colori delle plastiche vacanziere: sacchetti, infradito,
seggioline per i bambini, salvagenti e palette e un video scorre sulle
bombature di un materassino. La musica di Ping Pong, questo
è il nome dell'installazione, è di Bernard Lubat un
jazzman.
Le fotografie
che occupano due pareti dentro alla La Capanna dei ritratti,
una tutta di donne e una tutta di uomini, sono state costruite manualmente
con due sfondi. Ogni donna e
ogni uomo è stato ritratto con dietro uno sfondo uguale e diversificato
per sesso
incollato su un pezzo di legno, per le donne ha scelto il mare, per gli uomini cabine di legno e barche. La fotografia presenta questo primo
sfondo più quello reale che appare dietro al soggetto e al
legno di sfondo. L'altra capanna che accoglie i visitatori al piano
dell'ingresso è La Capanna dello scacco. Incredibile
ma vero. E' fatta con la pellicola delle copie mandate al macero
del film di Agnes che era stato un fiasco commerciale , Les Creatures,
girato proprio a Noirmoutier nel 1966.
Perchè
Agnes Varda ha temporaneamente smesso di fare cinema per i video ? E' un modo diverso
di descrivere quello del video, lei dice:<<Non è narrazione,
ci sono delle suggestioni. E' in questo modo che mi sono liberata
del cinema.>> (3)
Le prime
avvisaglie erano visibili in Les glaneurs et la glaneuse (2000),
quando fra i suoi interventi ci comunicava di essersi innamorata della
sua piccola videocamera. Adesso così si presenta nell'intervista
- rispondendo alla domanda che le chiede se c'è una differenza
fra l'essere artista o cineasta - : <<Io faccio quello che mi
sembra devo fare. O meglio di ciò che sento. Quando ero una
cineasta rivendicavo il nome di artista, poichè il modo con
cui ho lavorato - ben o male - <<nel cinema>>, veniva
fuori attraverso un desiderio di d'artista. Non ho mai fatto un film
senza l'ispirazione. A parte qualche cortometraggio che mi è
stato ordinato (comando eseguito con piacere), non ho mai cercato
di combinare degli affari ... Ci sono tre buoni o grandi cineasti
che lo fanno, e va bene, ma io lavoro quando un progetto comincia
per qualche cosa nella mia vita che mi intriga, o mi ossessiona, o
mi tormenta o mi diverte. Prima si installa nella mia testa, poi prende
consistenza con una tale forza che mi fa realizzare il progetto ...
>> (4)
<<Ciò che mi interessa nelle installazioni è che
sono in posti come i musei o le gallerie. La differenza è il
luogo e il rapporto con il pubblico. Al cinema il pubblico entra e
vede ciò che gli è viene proposto. Se all'interno di
un film presento un piano fisso di 30'' il pubblico lo guarderà
per 30" . Fuori dal cinema, nel riquadro di una installazione
a tre dimensioni e di uno schermo, un piano di 30" farebbe arrabbiare
uno spettatore, lo farebbe allontanare. E' il dispositivo dell'installazione
che fa l'opera. E' completamente differente. Lo spettatore non è
preso in trappola, può andarsene, gettare un occhio e ripartire.
Non posso imporgli di guardare bene, è più libero, dunque
più difficile a farsi catturare. Io mi sto presentando, mi
espongo davanti a un pubblico abbastanza misconosciuto per me, e tutto
ciò è molto eccitante !>> (5)
Lo spazio del
Cartier è prestigioso a Parigi. E' uno spazio di circa 1600 mqu occupato
dai suoi lavori.
Nel
Catalogo -fatto molto bene-
entriamo accolte/i con l'immagine di Le Gois la strada sommersa che
congiunge l'isola alla terraferma libera con la marea
bassa e sommersa con l'alta marea. Per secoli la gente faceva gli
spostamenti conoscendo il movimento delle maree. Adesso come racconta
A.V.c'è il ponte e l'isola è diventata <<un poco
più ordinaria di prima. Ritornando ai tempi di Gois una volta
chiamata Goa, Jacques e io ci fermavamo nel mezzo della strada, lasciavamo
la macchina per sentire il vento inebriante e l'odore delle ostriche.
Lo spazio era vasto e misterioso di giorno e di notte. Con la luna
piena era magico. E se uno arrivava tardi, passava con le ruote nell'acqua,
e aveva la piccola eccitazione di un possibile rischio.>> (6)
NOTE
1) Agnès
Varda expose <<entre bonne humeur et mélancolie>>,
intervista pubblicata su Zeuxis un magazine de cinema, N.24,
juin, juillet, aout, 2006
2) immagini di
Patautopia (vai al sito di Superchannel)
3) Agnès
Varda expose <<entre bonne humeur et mélancolie>>,
id.
4) id.
5) id.
(6) Agnés
Varda, L'Ile et Elle, Fondation Cartier pour l'art contemporain,
2006