Donne e conoscenza storica

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Il sito di Water

il Blog di Susanna Iacona su Deepa e le altre ... con l'intervista alla regista pubblicata su La Repubblica delle Donne

 

 


Deepa Metha

Water regia di Deepa Mehta, Canada, 114', 2006

di Donatella Massara

Il film è la terza parte della trilogia dedicata agli elementi naturali: Fire, il primo, Earth, il secondo e questo si intitola Water.
Il 4.10 Deepa Metha era all'Apollo, il cinema milanese che ospitava l'anteprima del film organizzata dal Teatro Franco Parenti e dalla sua direttrice Andrè Ruth Shammah, primo appuntamento all'interno del percorso teatrale L'emozione della complessità. Capire il presente .

La regista, nata in India, nel 1950, emigrata in Canada, ci ha raccontato le reazioni del pubblico canadese e australiano dove il film è già stato presentato. Alcune spettatrici dopo la visione del film le avevano detto che se nei loro paesi non è in questione la libertà femminile lo è però quella delle persone anziane e di altri soggetti relegati ai margini della società. In altre presentazioni le era stato domandato che cosa potevano fare per il dramma che lei stava presentando: le vedove indiane, in generale e nel film quelle 'bianche', le spose che avevano perso il marito prima ancora che le sposasse; queste donne, nel film addirittura una bambina sono ancora condannate alla povertà, all'emarginazione in ashram che a malapena gli consente di sopravvivere, dove c'è di mezzo la prostituzione e l'incuria per la loro esistenza. La proposta politica di Deepa -detta chiaramente con la sua voce bassa e controllata- è che ogni paese è giusto vada a occuparsi dei suoi problemi perchè a ben guardare ognuno ha il proprio e questo vuole raccontare il film. Suggerisco un modo di guardare il film. Water racconta la storia di una bambina portata dai genitori all'ashram dove vivono le vedove bianche quelle che nell' India del 1938 non potevano risposarsi. Queste donne vivono di carità e in alcuni casi di prostituzione, come qui 'la bellissima' economicamente utile a tutto il gruppo delle vedove.

Vedrete molti rituali, molta musica, molte interruzioni, apparentemente non finalizzate a sviluppare la trama, distendono sul film l'atmosfera di un tempo religioso che non diviene, fermo alla ripetizione fa sparire la storia di ognuna prima della 'recinzione'. Le vedove sono di tutte le età, arrivate all'ashram bambine, lì ci sono invecchiate dandosi a una vita collettiva obbligata e ridotta al minimo della sopravvivenza. Io consiglio però di guardarlo subito puntando a ciò che c'è sotto alle apparenze e allo squallore che racconta e introducendosi invece nella grandiosità di ogni vita umana femminile, perchè di questa la regista vuole parlare. Non volendo allo stesso tempo ricorrere ai toni melodrammatici. E' sospinta da un dovere di denunciare.

Le vedove sono vittime di un assurdo ritardo storico che consegna la loro vita di donne senza marito all'emarginazione per non pesare sulla vita sociale nazionale che non è in grado di sostenerle e avendogli il destino già negata la vita famigliare. La religione è una ideologia che copre la verità - e come dice il giovane avvocato seguace di Gandhi che si innamorerà della bellissima -, ogni obbligo religioso è in realtà funzionale ai bisogni economici di un continente sovrapopolato e poverissimo. Negli anni '30 era così, e la regista ci porta fino al momento in cui una legge arriva per consentire alle vedove la possibilità di risposarsi e quindi anche ai due innamorati di pensare di formare una famiglia, se non che qualcos'altro va a mettersi in mezzo, è la prostituzione di lei che era stata comprata anche dal bramino, padre del giovane.

Siamo nel pieno della campagna di Gandhi che girava in treno per entrare in contatto con la sua gente. E una scena veramente emozionante chiuderà il film rimettendo il corso della storia in movimento lungo quel binario dove il leader indiano riparte portandosi via anche la povera bambina Chuyia con la benedizione dell'unica vedova che era stata in grado di farle da madre, Shakuntala. MA COSA SUCCEDE IN INDIA NEL TEMPO PRESENTE? Ce lo dice il film in chiusura: in India ci sono attualmente 34 milioni di vedove, e almeno 12 milioni vivono nelle "Case".

Vedendo il film ho avuto l'impressione che molte scene non avessero spessore, ma ho sbagliato perchè non ho inteso subito che potevo vedere la grandiosità della vita di queste donne. Donne vittime dei codici religiosi ma anche interpreti di scelte che solo una bambina può sognare di trasgredire e che una donna adulta subisce ordinandosi a sottostare a principi 'superiori' parte fondamentale della coesione sociale. Di fronte a questo compito di denunciare e di raccontare non facendo sparire le vittime dentro al riscatto che il puro fatto di dirle può offrire, Deepa Metha ha una regia affatto ingenua. Non c'è sparizione delle soggettività, anche se la documentazione che ci dà è poca, i dati concreti sono in secondo piano, la realtà che ha le sue contraddizioni è solo uno schizzo. Però se percepiamo la grandezza femminile che invece sta a cuore alla regista, vale la pena di riflettere sul gruppo femminile in se stesso e di fare parlare la voce che ognuna di noi conserva dentro di sè vedendo il film: ma non c'è il momento in cui queste povere donne sole si divertono fra loro ? La scena finale ci fa vedere la festa scompaginando la tragedia e riinserendo le vedove dentro allo scambio di piacere e dolore che c'è per ognuna/o.

Anche la bellissima Kalyani come Chuyia la bambina, la sua salvatrice e le altre protagoniste, ha la sua grandezza, perchè è il dio Krishna a cui ha dedicato un altarino nella sua stanza che vuole questa vita per lei e come dice il libro sacro <<lei può vivere come uno splendido fiore di loto intoccata dall'acqua sporca che ha intorno>>. Il suo karma di vedova emarginata, attraversando le acque che la portano nella notte di là del fiume a incontrare chi l'ha chiamata, finisce nel suicidio, in quell' acqua dove lei si immergerà per scomparire.

Il tempo dell'acqua, dello scorrimento, del passaggio può dunque essere misurato, contato, reso monetizzabile. L'acqua segnala sia la ripetizione di un andare e tornare verso due sponde fissate sia il senso eracliteo dell'acqua - il mutamento costante - per chi consegnata a una scelta di immutabilità sociale non è tale per la sua vita biologica.

Le vedove -come l'acqua - incarnano il movimento della vita ma sono anche obbligate -innaturalmente- a norme religiose che cancellano la parte di loro legata al divenire; vivono una vita fissata fra il matrimonio mancato e la morte, che le rimette nel cerchio della vita naturale. Un'altra figura rappresenta la malinconia della fine, in una donna anziana, è la vedova sdentata che sogna in continuazione i dolcetti del suo matrimonio infantile, cibo a lei vietato per la sua condizione sociale. Sarà Chuyia a rubarlo per lei e a portarglielo poco prima della morte. L'innaturalezza del tempo femminile delle vedove ne fa delle figure grandiose proprio perchè costrette alla collocazione innaturale che stringe il loro tempo di vita dentro a soglie non scelte, la morte di un altro come partenza e la propria come finale.

Il film è nato fra le difficoltà. Deepa Metha con la troupe è stata costretta a spostarsi in Sri Lanka rinunciando a girare a Benares, per i motivi che racconta nell'articolo di Irene Bignardi e che dopo riassumo.

Il film ha preso circa 45 giorni di riprese. Raccontano gli appunti della produzione leggibili sul sito del film: <<La prima sfida in Sri Lanka, un paese a larga maggioranza buddista, è stato creare un tempio hindù complicato dall'avere i suoi ghats (i gradini che portano sulla riva del fiume così che i devoti hindù possano facilmente fare le loro quotidiane preghiere) Tutto ciò non esisteva in Sri Lanka. Il production designer Dilip Mehta aveva ben chiaro in mente che non voleva in nessun modo tentare di ricostruire Benares "Benares stessa non era essenziale alla storia di Water e sarebbe stato assurdo fare qualsiasi tentativo di replicare una città millenaria con il budget di un film indipendente". Deepa confermò e fu creato un set lungo quasi mezzo miglio su una riva deserta della città di Colombo. Individuato il focus sull'autenticità dei dettagli, il set era diventato così convincente che durante le riprese un albergo locale offriva un tour in battello verso <<le antiche rovine Hindu >>

Deepa Metha nell'articolo di Irene Bignardi su La Repubblica racconta che undici anni fa a Varanasi (Benares) mentre stava girando un film vicino alle gradinate sul Gange dove bruciano tutto il giorno le pire dei morti e la gente va a fare le abluzioni rituali, <<erano le quattro del mattino, il sole stava sorgendo, i colori erano incredibili. Improvvisamente vedo una donna molto anziana, con i capelli tagliati cortissimi, e un saree bianco che cerca qualcosa sui gradini, quasi strisciando per terra. Posso aiutarla? le ho chiesto. Mi ha spiegato che non riusciva a trovare gli occhiali. E dalla sua disperazione ho capito che era come se avese perso tutto quello che aveva. Non li abbiamo ritrovati.>> Deepa aiuta la donna a tornare a casa e si ritrova davanti a quello che vediamo quando si apre la porta dell'ashram in Water <<Un tuffo in un passato che credevo non esistesse più. Un gruppo di donne di tutte le età, vestite di bianco, rapate, abbandonate a se stesse e alla loro miserabile condizione di vedove povere>>. Da quella volta Deepa Metha ha deciso che era suo compito fare un film dice Irene Bignardi <<su quest'anomalia della condizione della donna indiana: che in certe classi sociali, le più povere e le più tradizionaliste, per tradizione, alla morte del marito, rifiutata dalla famiglia, ha la scelta tra sposare il fratello minore del morto e, più facilmente [...] scegliere la via dell'ashram di sole donne, di sole vedove>>

DEEPA METHA AVEVA PENSATO in un primo tempo DI FARE UN DOCUMENTARIO perchè nella zona di Varanasi (Benares) aveva scoperto altre quattordici case <<quarantasette in tutta la città, una fatta soltanto di una veranda, aperta a tutte le intemperie, alcune mantenute dai templi, altre autogestite con le elemosine, altre mantenute dal governo, che è costretto a intervenire almeno in forma assistenziale per venire incontro a questo disastro sociale e umano. Negli ashram pubblici, però, non vengono accolte le giovani, perchè non passa molto tempo che sono costrette a prostituirsi. Alcune portano anche i loro bambini>>. La regista ha cominciato a girare a Varanasi (Benares) <<Il primo giorno di lavorazione non ho fatto in tempo a dire "azione"- ricorda- che una folla inferocita, di gente organizzata probailmente dalle RSS, una fazione di fondamentalisti indù legata alla destra del BIP, si è precipitata giù dai ghat verso il fiume urlando "Morte a Deepa Metha, morte agli attori", buttando in acqua tutto quello che poteva e dando fuoco al resto. Sono tornata a Delhi, al ministero, chiedendo come fosse potuto succedere. Mi hanno risposto che il film era antindù, e quindi ... Mi hanno proposto di mandare l'esercito a proteggermi. E ci sono venuti coi fucili. Era una situazione terribile e ciononostante quei gruppi continuavano a fare azioni di disturbo. Ho dovuto rinunciare. Il governo del Bengala, che ha un primo ministro di sinistra e appassionato cinefilo, mi ha proposto di girare lì. Ma ho sentito che ero troppo amareggiata per fare il film in quel momento, ho pensato che non avrei fatto il film giusto>>.La città dove sarebbe ambientato Water è l'indiana Rawalpur. Deepa Metha ha poi girato in Sri Lanka quattro anni dopo.
Come spiega la regista, nel sito del film, alle note di regia, Chuyia infatti è una bambina, Sarala è il suo vero nome, che viene da un piccolo villaggio vicino a Galle, in Sri Lanka, non parla nè l'hindi nè l'inglese. La bambina è stata una bravissima attrice 'naturale', ha imparato il movimento delle labbra e per dirigerla la regista ha usato un'interprete e il linguaggio gestuale, lei è stata una piacevole sorpresa.

Il film è stato montato a Toronto da Colin Monie. La regista dice - sempre nelle note di regia - che aveva visto The Magdalene Sisters, edito da lui, e sentito che possedeva l'equilibrio giusto di sensibilità e passione. Deepa Metha (educatamente) non fa paragoni con il film di P. Mullan, nel 2002 vincitore del Leone d'Oro alla Mostra del cinema di Venezia però mi spinge a pensarci su. Il film anglo-irlandese ambientato nel 1964 racconta cosa accadeva nei conventi Magdalene delle suore della Misericordia, <<dove - come spiega una sinossi - venivano punite e umiliate le donne "cadute dalla grazia di Dio", ossia orfane, violentate, incinte o semplicemente troppo belle. Si tratta di un film di denuncia di una realtà tenuta nascosta per troppo tempo.>>. Ci sono due ordini, quello del fondamentalismo induista e quello cattolico, entrambi repressivi verso le donne. La rappresentazione che ne dà la regista Deepa Metha e quella del regista P. Mullan è molto diversa.

Nella società indiana di Deepa vive una comunità di donne più nascoste che protette perdute nella povertà di un paese dove ancora oggi la maggioranza vive con un dollaro al giorno. All'interno ci sono soprusi, tristezza e complicità con il potere maschile. Ci sono però anche momenti di libertà. Nella società europea di P. Mullan c'è solo una sopraffazione manesca che non concede nessuna prospettiva di incontro fra le donne, non c'è società femminile ma una odiosa e univoca carcerazione in nome di principi di cui è anche incomprensibile la ragione economica, visto che siamo nella ricca terra europea.

Vale quindi la pena di considerare quanto ci piace che le registe propongano immagini della storia delle donne e, anche se un film non ha vinto prestigiosi premi nè forse tocca le più raffinate corde emotive delle cultrici di costumi e cultura indoeuropee, apprezzare la capacità di autrici come Deepa Metha che, dice Irene Bignardi, <<non dimentica come si raccontano le grandi storie per il grande pubblico>>