L'ultimo spettacolo turco:
"Grande
uomo, piccolo amore",
seconda pellicola della giovane cineasta (regista, sceneggiatrice,
produttrice) Handan Ipekci.
di R.S.
Il ministro
turco della cultura ha proibito ieri - scrive su The Guardian,
da Istanbul, Jonny Dymond - un film che lo stesso ministero
aveva in parte finanziato nel 2000 e poi spedito nel 2001
a Los Angeles per vincere l'Oscar come miglior opera straniera
dell'anno (ma nella cinquina per le statuette del 24 marzo,
non c'è). Si tratta di Buyuk Adam, Kucuk Asy, "Grande
uomo, piccolo amore", seconda pellicola della giovane
cineasta (regista, sceneggiatrice, produttrice) Handan Ipekci.
La colpa? Si parla in curdo e si getta cattiva luce sulla
polizia. Il prestigioso studioso turco Atilla Dorsay, capo
del sindacato nazionale dei critici cinematografici, ha
commentato: "Tutto il mondo saprà che la Turchia,
che cerca di essere un paese democratico, è stata
smascherata da questo piccolo film". Lo stesso Dorsay
aveva definito Grande uomo piccolo amore "la più
importante produzione del cinema turco contemporaneo. Non
ricordo di aver mai visto un film turco come questo".
E sì che di capolavori e appassionanti cineasti questa
cinematografia è piena, da Yilmaz Guney (che era
curdo e che era proibitissimo), passando per Atif Yilmaz
e arrivando alla Usteaglu...
Al centro del film c'è il difficile rapporto, che
poi diventerà emozionante amicizia, tra l'anziano
Rifat (l'attore Sukran Gungor), un magistrato in pensione
vecchio stampo, nazionalista e autoritario, ma molto solo,
e Hejar (Dilan Ercetin), una bambina di 5 anni, un'orfana
che vive a Istanbul da un parente, un vicino del giudice,
e che si rifugia da lui dopo un raid della polizia che assassina
due ribelli nascosti proprio in casa dal suo "tutore".
Attraverso questa relazione - all'inizio impossibile perché
il giudice di 75 anni non conosce una sola parola curdo
e pretende dalla bimba di parlare turco, lingua che lei
ignora - l'opera esplora con finezza e perfino umorismo,
la tragedia dei curdi. 12 dei 57 milioni di abitanti del
paese, fino 1991 perseguitati se osavano proferire anche
un solo morfema curdo, lingua adesso vietata "solamente"
nei luoghi pubblici e nelle scuole dell'intero paese, perfino
nel sud-est della Turchia. Dove vive (oltre che in Iran,
Iraq, Siria) la maggior parte di questa popolazione, imparentata
linguisticamente con il Farsi, che da circa venti anni si
confronta militarmente con le truppe di Ankara (37 mila
morti), anche se dal `99 il Pkk rispetta una tregua unilaterale.
Il film cerca di sbriciolare, attraverso un difficile percorso
di amicizia e amore, questo muro etnico tra turchi e curdi
costruito sui pregiudizi e di evidenziare tutte le contraddizioni
legate all'interpretazione stravagante data da Ankara dell'articolo
10 della sua costuituzione il quale vieta "qualunque
discriminazione in base alla razza, lingua, sesso, religione,
opinione politica". Sono invece 776 i casi di tortura
contro oppositori politici, per lo più curdi, documentati
da Amnesty International nei primi 9 mesi del 2001 (certo
che Scaloja, quella notte, quasi strappava il record europeo...),
e questo proprio mentre il paese cerca in ogni modo di sfoggiare
un doppiopetto democratico pur di entrare nella Ue, e di
avere prestigio mondiale sufficiente per assumere il comando
delle operazioni militari occidentali in Afghanistan.
Il bello è che il magistrato, nel film, è
sconvolto proprio al racconto dall'esecuzione sommaria dei
tre uomini per mano della polizia. E da lì che nasce
il "contatto" tra Rifat e Hejar, il percorso della
loro reciproca conoscenza e accettazione. E proprio la scena
che ha causato l'ira del ministro e dei militari perché,
a parte "l'approccio sciovinista nei confronti dell'identità
curda, il film potrebbe dare l'impressione che la polizia
compia esecuzioni somarie".
Il film, uscito in Turchia il 19 ottobre scorso, ha già
commosso e convinto il pubblico e fatto man bassa di premi
al festival nazionale di "Antalya 38": 5 le "Arance
d'oro" vinte: miglior film, sceneggiatura, i 2 attori
non protagonisti e la bambina, attrice emergente. E da lì
è stato invitato in numerosi festival internazionali,
da Goteborg a Berlino. Finanziato parzialmente, con 30 mila
dollari Usa, dal governo di Ankara, e per il resto (in tutto
2 miliardi di lire), sostenuto da Grecia, Ungheria e EuriImages,
Grande uomo piccolo amore, fa piangere tutti quando alla
fine al burbero magistrato scappa un "Negri!"
("non piangere") in perfetto curdo.
"C'è stato un momento tremendo nel mio paese,
quando ci si uccideva l'un l'altra. Ho pensato che dovevo
fare qualcosa - ha dichiarato Handan Ipekci in un'intervista
- Nonostante le differenze e quasi l'odio tra noi, abbiamo
messo in scena il sogno di vivere insieme in pace, da fratelli".
Ipekci, giovane mamma, già autrice anni fa di Babam
Askerde, sul colpo di stato del 12 settembre visto attraverso
gli occhi di un bimbo, aggiunge: "Era triste festeggiare
i 75 anni della repubblica turca tra lo scandalo Susurluk
da una parte e gli eccidi nel sud est dell'Anatolia. E con
una lingua, che, come la nostra, ha superato tanti secoli
e nemici senza morire, ancora perseguitata. Se, dopo aver
visto il film, la gente inizierà a pensare che si
può vivere in pace, non avrò fallito il mio
obiettivo".