Donne e conoscenza storica  

 

sta in Il Manifesto 6,3,2002

L'ultimo spettacolo turco:
"Grande uomo, piccolo amore", seconda pellicola della giovane cineasta (regista, sceneggiatrice, produttrice) Handan Ipekci.

di R.S.

Il ministro turco della cultura ha proibito ieri - scrive su The Guardian, da Istanbul, Jonny Dymond - un film che lo stesso ministero aveva in parte finanziato nel 2000 e poi spedito nel 2001 a Los Angeles per vincere l'Oscar come miglior opera straniera dell'anno (ma nella cinquina per le statuette del 24 marzo, non c'è). Si tratta di Buyuk Adam, Kucuk Asy, "Grande uomo, piccolo amore", seconda pellicola della giovane cineasta (regista, sceneggiatrice, produttrice) Handan Ipekci. La colpa? Si parla in curdo e si getta cattiva luce sulla polizia. Il prestigioso studioso turco Atilla Dorsay, capo del sindacato nazionale dei critici cinematografici, ha commentato: "Tutto il mondo saprà che la Turchia, che cerca di essere un paese democratico, è stata smascherata da questo piccolo film". Lo stesso Dorsay aveva definito Grande uomo piccolo amore "la più importante produzione del cinema turco contemporaneo. Non ricordo di aver mai visto un film turco come questo". E sì che di capolavori e appassionanti cineasti questa cinematografia è piena, da Yilmaz Guney (che era curdo e che era proibitissimo), passando per Atif Yilmaz e arrivando alla Usteaglu...
Al centro del film c'è il difficile rapporto, che poi diventerà emozionante amicizia, tra l'anziano Rifat (l'attore Sukran Gungor), un magistrato in pensione vecchio stampo, nazionalista e autoritario, ma molto solo, e Hejar (Dilan Ercetin), una bambina di 5 anni, un'orfana che vive a Istanbul da un parente, un vicino del giudice, e che si rifugia da lui dopo un raid della polizia che assassina due ribelli nascosti proprio in casa dal suo "tutore". Attraverso questa relazione - all'inizio impossibile perché il giudice di 75 anni non conosce una sola parola curdo e pretende dalla bimba di parlare turco, lingua che lei ignora - l'opera esplora con finezza e perfino umorismo, la tragedia dei curdi. 12 dei 57 milioni di abitanti del paese, fino 1991 perseguitati se osavano proferire anche un solo morfema curdo, lingua adesso vietata "solamente" nei luoghi pubblici e nelle scuole dell'intero paese, perfino nel sud-est della Turchia. Dove vive (oltre che in Iran, Iraq, Siria) la maggior parte di questa popolazione, imparentata linguisticamente con il Farsi, che da circa venti anni si confronta militarmente con le truppe di Ankara (37 mila morti), anche se dal `99 il Pkk rispetta una tregua unilaterale.
Il film cerca di sbriciolare, attraverso un difficile percorso di amicizia e amore, questo muro etnico tra turchi e curdi costruito sui pregiudizi e di evidenziare tutte le contraddizioni legate all'interpretazione stravagante data da Ankara dell'articolo 10 della sua costuituzione il quale vieta "qualunque discriminazione in base alla razza, lingua, sesso, religione, opinione politica". Sono invece 776 i casi di tortura contro oppositori politici, per lo più curdi, documentati da Amnesty International nei primi 9 mesi del 2001 (certo che Scaloja, quella notte, quasi strappava il record europeo...), e questo proprio mentre il paese cerca in ogni modo di sfoggiare un doppiopetto democratico pur di entrare nella Ue, e di avere prestigio mondiale sufficiente per assumere il comando delle operazioni militari occidentali in Afghanistan.
Il bello è che il magistrato, nel film, è sconvolto proprio al racconto dall'esecuzione sommaria dei tre uomini per mano della polizia. E da lì che nasce il "contatto" tra Rifat e Hejar, il percorso della loro reciproca conoscenza e accettazione. E proprio la scena che ha causato l'ira del ministro e dei militari perché, a parte "l'approccio sciovinista nei confronti dell'identità curda, il film potrebbe dare l'impressione che la polizia compia esecuzioni somarie".
Il film, uscito in Turchia il 19 ottobre scorso, ha già commosso e convinto il pubblico e fatto man bassa di premi al festival nazionale di "Antalya 38": 5 le "Arance d'oro" vinte: miglior film, sceneggiatura, i 2 attori non protagonisti e la bambina, attrice emergente. E da lì è stato invitato in numerosi festival internazionali, da Goteborg a Berlino. Finanziato parzialmente, con 30 mila dollari Usa, dal governo di Ankara, e per il resto (in tutto 2 miliardi di lire), sostenuto da Grecia, Ungheria e EuriImages, Grande uomo piccolo amore, fa piangere tutti quando alla fine al burbero magistrato scappa un "Negri!" ("non piangere") in perfetto curdo.
"C'è stato un momento tremendo nel mio paese, quando ci si uccideva l'un l'altra. Ho pensato che dovevo fare qualcosa - ha dichiarato Handan Ipekci in un'intervista - Nonostante le differenze e quasi l'odio tra noi, abbiamo messo in scena il sogno di vivere insieme in pace, da fratelli". Ipekci, giovane mamma, già autrice anni fa di Babam Askerde, sul colpo di stato del 12 settembre visto attraverso gli occhi di un bimbo, aggiunge: "Era triste festeggiare i 75 anni della repubblica turca tra lo scandalo Susurluk da una parte e gli eccidi nel sud est dell'Anatolia. E con una lingua, che, come la nostra, ha superato tanti secoli e nemici senza morire, ancora perseguitata. Se, dopo aver visto il film, la gente inizierà a pensare che si può vivere in pace, non avrò fallito il mio obiettivo".