Donne e conoscenza storica |
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ARCHIVIO RASSEGNA STAMPA - 2004 | ||||
La rivoluzione delle
sognatrici Yourcenar non ci dice da dove provenga e prenda corpo la separatezza del femminile, il suo tempo separato cui fa riferimento la «teoria degli stadi» («Valentine è il primo stadio della donna perfetta...»). Ma in soccorso giungono altre letture. Ad esempio, un testo in cui María Zambrano corregge la celebre proposizione del Tractatus di Wittgenstein, scrivendo: «La verità di ciò che accade nel seno nascosto del tempo, è il silenzio delle vite, e che non si può dire. Ma è ciò che non si può dire, che bisogna scrivere» (M. Zambrano, Ortega Y Gasset, filosofo spagnolo, in Spagna: pensiero, poesia e una città, Vallecchi, 1964). La soluzione consiste per Zambrano in una scrittura che trattenga per così dire la parola, liberandola dal linguaggio che non può dire proprio ciò che più conta. E' in questa scrittura, in grado di trattenere la parola e di impedirle di distaccarsi da noi, di perdere l'intimità di noi a noi stessi, che può darsi il luogo dove conoscenza e vita cessino di distinguersi senza tuttavia annullarsi reciprocamente. Ma per «sentire originario» Zambrano non intende ciò che abbiamo imparato a confinare nell'inconscio, bensì quelle zone oscure e intricate dove il senso, un senso in cerca della sua forma, appare unito al sentire: tutte quelle zone della vita rincantucciate perché sottomesse da sempre o perché nascenti. «La vita vera si fa sorprendere soltanto in qualche `claros' - (i «chiari del bosco», metafora decisiva per Zambrano), nei quali non sempre è possibile entrare». In maniera del tutto analoga, per la storia delle donne inventata e praticata dalle femministe, «pensare differentemente» la presenza femminile non significa far emergere una parte sommersa della storia - sia esso l'inconscio come «strato roccioso», la femminilità insondabile rispetto alla quale si è arrestato anche Freud - ed esporla finalmente all'esplorazione come un terreno vergine già bello e formato. Significa invece l'iscrizione della «singolarità» e della «vita» nel registro delle «relazioni», piuttosto che nell'orizzonte puntiforme cui li assegnano le interpretazioni dominanti. Significa l'«esperienza di un pensare» che rimanda alle «circostanze» in cui esso transita, e in cui «corpo» e «sentire» non sono oggetti o temi della speculazione, ma ciò che imprime il movimento al pensiero «animandolo», la membratura che struttura il visibile, il senso carnale, libidico che gli dà forma: quella trama di idee/non idee, che per l'occhio attento traspare dalle idee chiare e distinte dell'intelligenza. Per la storiografia femminista questa esperienza del pensare differentemente la presenza femminile nella storia - ed è questa la sua vera rivoluzione - si è data in alcuni casi, oggetto di opportuni - preziosi - studi. Il romanzo di Cutrufelli ci rimanda, ad esempio, al lavoro fatto da Joan Scott, sulle «sognatrici», le donne della Francia repubblicana (La citoyenne paradoxale: les feministes françaises et le droits de l'homme, Paris, A. Michel 1998) . Prima di pensare i sogni, dicono alcuni interpreti di Freud, egli sognava i pensieri che sarebbero poi confluiti nella Traumdeutung. Per altri, forse più fini lettori, le due operazioni - sognare i pensieri e pensare i sogni - non si sono mai divaricate: coesistono spazialmente in quella asincronica contemporaneità che caratterizza l'esistenza (Lorena Preta). Ci sono tuttavia differenti tipi di esistenza: per alcuni prevalgono i sogni e per altri i pensieri. Oppure ci sono fasi differenti nella vita di ognuno in cui prende il sopravvento l'una o l'altra modalità di costruire il mondo. Ciò potrebbe valere, ad esempio, anche per i soggetti politici, che attraversano anch'essi, a loro modo, infanzia, maturità e vecchiaia. Nel mondo che Cutrufelli ci restituisce - le ragazze del 1789, che avevano «bevuto troppo alla coppa della rivoluzione» - accade che vi siano femmine capaci di immaginare le più innovative strategie politiche. E' così che Olympe de Gouges può «sognare» una cittadinanza al femminile, pagando con la testa la sua improntitudine, pensata ed elaborata nel celebre scritto dedicato alla regina di Francia. Paga Olympe. Ma paga anche la «patriota», la quattordicenne Françoise-Modeste, divisa tra le affermazioni egualitarie della Mére Duchesne, e le asimmetriche pene d'amore per uno sposo mancato. Ciò avviene perché - suggerisce il romanzo e io assento vigorosamente - le donne abitano come straniere i linguaggi maschili che edificano la casa politica; e nel tentativo di renderla abitabile, a volte perdono per strada la capacità di sognare i pensieri, senza riuscire a imparare l'arte di pensare i sogni.
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