Donne e conoscenza storica
         

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ARCHIVIO RASSEGNA STAMPA - 2004
 

La rivoluzione delle sognatrici
Olympe de Gouges. «La donna che visse per un sogno», il nuovo romanzo di Maria Rosa Cutrufelli che ricostruisce la vita dell'autrice di quella «Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina» che le costò la testa e il mondo delle donne della Francia repubblicana, le ragazze del 1789 che avevano «bevuto troppo alla coppa della rivoluzione»
GABRIELLA BONACCHI
EDio creò la donna. Così «annunciava» Roger Vadim, nel celebre film che lanciò il culto di Brigitte Bardot. A sua immagine e somiglianza, verrebbe oggi da aggiungere, nella chiave rovesciata proposta dall'epopea tarantiniana di Beatrix, la sposa che uccide - alla lettera (in Kill Bill II) - il padre per recuperare la figlia rubata. Perché oggi si darebbero - può pensare qualcuno, ma non c'è accordo in proposito - le condizioni per ripristinare un ordine iniziale falsificato dalla mano maschile: l'ordine della madre. Né mancano le suggestive tracce che la storia (a ben guardare) ci rivela in proposito. E' forte, ad esempio la tentazione di leggere in tale direzione il romanzo assai bello in cui Maria Rosa Cutrufelli ha ricreato, con maturità di scrittrice e di intellettuale femminista, la vicenda di Olympe De Gouges (La donna che visse per un sogno, Frassinelli, pp. 340, € 14,50). Anche in questo caso siamo in presenza di un «ordine della madre» mancato, e sulla falsariga di questo sgarbo - violento e irrimediabile come solo le decapitazioni sanno essere - la storia ha continuano a tessere la sua stolta tela. Fino ai nostri giorni: dove domina la brama sempre più celibe e masturbatoria di chi detiene il comando: uomini o donne (più o meno gioiose supporter di un ordine fallimentare) che siano. Così sarebbe se non fosse - anche - altrimenti. Vale a dire se, nella sua piena maturità, ogni narratore non rimandasse sempre e soltanto - così afferma uno che se ne intendeva: Nabokov - a se stesso, cioè ai suoi propri discorsi, piuttosto che a quanto vanno di volta in volta dicendo i suoi personaggi. E se, tale piena maturità non riguardasse - talora - anche chi legge, secondo la nota progressione così ben delineata dal solito Nabokov: prima si leggono gli eventi narrati, poi ci si concentra sugli stili umani (i personaggi), per approdare - infine - alla vera sostanza del romanzo: la pura «inintenzionalità» dell'autore. Così, magari inintenzionalmente, il romanzo femminista di Cutrufelli introduce temi per lei, e per noi, molto importanti. Innanzitutto la questione del gran tempo che ci è voluto per imporre una sola, semplicissima cosa: che le donne non sono «rappresentazioni», non designano significati, non raffigurano cose, bensì sono un mondo, un modo di essere mondo. Proprio così, infatti, è stato demolito l'universalismo: mostrando che esisteva un altro «modo di essere mondo», un mondo invisibile che struttura il mondo visibile e - per questa via - rende evidente l'inanità della sua pretesa di saturare tutto il reale... Le donne hanno stretto un patto con un visibile diverso. Per questo la parola femminile, quando è intimamente aderente alla realtà dell'essere donna, è una rivelazione: essa rivela un visibile pregno di invisibile. E' questo che rende così difficile rappresentare le donne nella scena storica, e di qui anche lo scacco dei libri di storia, i quali - ha detto Michel de Certeau (La scrittura della storia, Milano, 1977) - non riescono qui a compiere il loro precipuo miracolo: la «messa in scena dell'altro nel presente». Di tale inceppo della narrazione testimonia anche una grande scrittrice. Accusata di trascurare le donne, Marguerite Yourcenar riafferma la loro difficile rappresentabilità. Anche se, sostiene, «j'ai mis en elles une bonne part de mon idéal humain". Nella Postfazione al racconto, Anna, soror, parlando della «sereine Valentine», Yourcenar dice che ella rappresenta «il primo stadio della donna perfetta così come spesso l'ho sognata: insieme amante e distaccata, passiva per saggezza e non per debolezza». Yourcenar parla di stadi, ed evoca quindi non il tempo freccia in cui si è soliti pensare e ricostruire la storia, bensì un tempo che è insieme esterno e interno, poiché suppone una «maturazione». Di tale «maturazione», anzi di «intima maturazione» del femminile, ella ci parla anche nel Colpo di grazia. Dove compare un tempo del femminile segnato da scadenze e combattimenti che non sappiamo se siano reali o solo fantasticati. Così è per il suicidio delegato di Sophie nel Colpo di grazia, e per il parto fatalmente tardivo della madre, raccontato in Care memorie. Queste scadenze - sorge la domanda - sono appuntamenti con la storia o con il destino femminile?

Yourcenar non ci dice da dove provenga e prenda corpo la separatezza del femminile, il suo tempo separato cui fa riferimento la «teoria degli stadi» («Valentine è il primo stadio della donna perfetta...»). Ma in soccorso giungono altre letture. Ad esempio, un testo in cui María Zambrano corregge la celebre proposizione del Tractatus di Wittgenstein, scrivendo: «La verità di ciò che accade nel seno nascosto del tempo, è il silenzio delle vite, e che non si può dire. Ma è ciò che non si può dire, che bisogna scrivere» (M. Zambrano, Ortega Y Gasset, filosofo spagnolo, in Spagna: pensiero, poesia e una città, Vallecchi, 1964). La soluzione consiste per Zambrano in una scrittura che trattenga per così dire la parola, liberandola dal linguaggio che non può dire proprio ciò che più conta. E' in questa scrittura, in grado di trattenere la parola e di impedirle di distaccarsi da noi, di perdere l'intimità di noi a noi stessi, che può darsi il luogo dove conoscenza e vita cessino di distinguersi senza tuttavia annullarsi reciprocamente.

Ma per «sentire originario» Zambrano non intende ciò che abbiamo imparato a confinare nell'inconscio, bensì quelle zone oscure e intricate dove il senso, un senso in cerca della sua forma, appare unito al sentire: tutte quelle zone della vita rincantucciate perché sottomesse da sempre o perché nascenti. «La vita vera si fa sorprendere soltanto in qualche `claros' - (i «chiari del bosco», metafora decisiva per Zambrano), nei quali non sempre è possibile entrare».

In maniera del tutto analoga, per la storia delle donne inventata e praticata dalle femministe, «pensare differentemente» la presenza femminile non significa far emergere una parte sommersa della storia - sia esso l'inconscio come «strato roccioso», la femminilità insondabile rispetto alla quale si è arrestato anche Freud - ed esporla finalmente all'esplorazione come un terreno vergine già bello e formato. Significa invece l'iscrizione della «singolarità» e della «vita» nel registro delle «relazioni», piuttosto che nell'orizzonte puntiforme cui li assegnano le interpretazioni dominanti. Significa l'«esperienza di un pensare» che rimanda alle «circostanze» in cui esso transita, e in cui «corpo» e «sentire» non sono oggetti o temi della speculazione, ma ciò che imprime il movimento al pensiero «animandolo», la membratura che struttura il visibile, il senso carnale, libidico che gli dà forma: quella trama di idee/non idee, che per l'occhio attento traspare dalle idee chiare e distinte dell'intelligenza. Per la storiografia femminista questa esperienza del pensare differentemente la presenza femminile nella storia - ed è questa la sua vera rivoluzione - si è data in alcuni casi, oggetto di opportuni - preziosi - studi. Il romanzo di Cutrufelli ci rimanda, ad esempio, al lavoro fatto da Joan Scott, sulle «sognatrici», le donne della Francia repubblicana (La citoyenne paradoxale: les feministes françaises et le droits de l'homme, Paris, A. Michel 1998) .

Prima di pensare i sogni, dicono alcuni interpreti di Freud, egli sognava i pensieri che sarebbero poi confluiti nella Traumdeutung. Per altri, forse più fini lettori, le due operazioni - sognare i pensieri e pensare i sogni - non si sono mai divaricate: coesistono spazialmente in quella asincronica contemporaneità che caratterizza l'esistenza (Lorena Preta). Ci sono tuttavia differenti tipi di esistenza: per alcuni prevalgono i sogni e per altri i pensieri. Oppure ci sono fasi differenti nella vita di ognuno in cui prende il sopravvento l'una o l'altra modalità di costruire il mondo. Ciò potrebbe valere, ad esempio, anche per i soggetti politici, che attraversano anch'essi, a loro modo, infanzia, maturità e vecchiaia. Nel mondo che Cutrufelli ci restituisce - le ragazze del 1789, che avevano «bevuto troppo alla coppa della rivoluzione» - accade che vi siano femmine capaci di immaginare le più innovative strategie politiche. E' così che Olympe de Gouges può «sognare» una cittadinanza al femminile, pagando con la testa la sua improntitudine, pensata ed elaborata nel celebre scritto dedicato alla regina di Francia. Paga Olympe. Ma paga anche la «patriota», la quattordicenne Françoise-Modeste, divisa tra le affermazioni egualitarie della Mére Duchesne, e le asimmetriche pene d'amore per uno sposo mancato.

Ciò avviene perché - suggerisce il romanzo e io assento vigorosamente - le donne abitano come straniere i linguaggi maschili che edificano la casa politica; e nel tentativo di renderla abitabile, a volte perdono per strada la capacità di sognare i pensieri, senza riuscire a imparare l'arte di pensare i sogni.