Donne e conoscenza storica
         

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Il manifesto 3, 2, 2004
 

Un'intervista con la studiosa Farian Sabahi autrice del libro «Storia dell'Iran»
L'oro nero degli ayatollah
Il potere del clero, un'economia fondata sul petrolio, le speranze deluse dal presidente Khatami e una situazione internazionale che punta il dito contro l'Iran dei mullah. Le incognite che pesano sul movimento che chiede la democratizzazione del paese
Modernizzazione a tappe forzate Il petrolio ha reso l'Iran uno dei paesi più ricchi del mondo. Ed è il filo di Arianna che unisce il tentativo nazionalista di Mossadeq, il regno autoritario dello scià, la rivoluzione del '79 e la guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein. Ma la teocrazia si trova oggi di fronte una nazione giovane che non tollera il chador e i limiti alla libertà di espressione posti dai «Guardiani della rivoluzione»
TOMMASO DI FRANCESCO
Abbiamo intervistato la storica e giornalista iraniana Farian Sabahi, autrice del libro Storia dell'Iran, (Bruno Mondadori editore, Biblioteca del Novecento, pp. 253, € 12,50) in questi giorni in libreria.

La nomina di Shrin Ebadi a premio Nobel per la pace, ora il conflitto aspro sulle prossime elezioni, con l'esclusione dalle liste di candidati riformisti. E solo a fine anno il devastante terremoto che ha cancellato, con la storica città di Bam, 50 mila iraniani dalla faccia della terra. Davvero l'Iran è al centro dell'attenzione del mondo...

Sì, la repubblica islamica è sotto i riflettori. È sicuramente anche a causa dei fattori da lei citati - il nobel a Shirin Ebadi e il terremoto del 26 dicembre - se oggi i mezzi di informazione di tutto il mondo osservano, con maggiore attenzione rispetto al passato, gli eventi politici in corso e le prossime elezioni legislative, previste per venerdì 20 febbraio. Nei giorni scorsi è stato dato grande rilievo, per esempio, all'esclusione di 3.605 candidati al parlamento in quanto, secondo il Consiglio dei guardiani, non erano abbastanza fedeli all'Islam, alla teocrazia e al leader supremo. 3.605 squalificati: si tratta di una cifra cinque volte superiore a quella del febbraio del 2000, quando furono esclusi in settecento. Non è quindi la prima volta che il Consiglio dei Guardiani mette fuori gioco una percentuale importante di candidati. Era successo anche in occasioni delle presidenziali. Ciò che attira maggiormente l'attenzione, in queste legislative, è invece l'esclusione di 83 deputati attualmente in carica, su un totale di 290 che compongono il parlamento. Tra gli esclusi vi sono persino i due vicepresidenti dell'attuale majlès (parlamento).

Nel libro lei sembra delineare la storia dell'Iran come la storia di una modernizzazione mancata. Quali le responsabilità dell'Occidente, degli Stati uniti in particolare, visto che sono intervenuti prima, nel 1953, per distruggere il tentativo democratico di Mossadeq consegnando il paese nelle mani del sanguinario scià Reza Pahlavi, e poi nel 1980, per interposto Iraq allora alleato degli americani, per fermare il contagio della rivoluzione islamica degli ayatollah. Trovando, come nel caso dello scandalo Iran-Contras nel 1985 con il presidente Reagan, la guerra civile in Bosnia con il presidente Clinton, ogni volta l'occasione per trattare più o meno segretamente con le ali più oltranziste del regime iraniano?

Più che di una modernizzazione mancata si è trattato di una modernizzazione a velocità sostenuta, tanto sostenuta da non permettere alle infrastrutture di stare al passo. Negli anni Sessanta e Settanta lo scià avviò, con l'aiuto degli Stati Uniti, la cosiddetta rivoluzione bianca, vale a dire una serie di riforme volte a modernizzare il Paese. La pietra miliare della rivoluzione bianca era la riforma agraria, volta a distribuire i latifondi ai contadini. Ma un altro punto fondamentale fu l'istituzione del cosiddetto «esercito del sapere»: anziché servire nelle forze armate, i giovani diplomati avevano l'opportunità di insegnare a leggere e scrivere in regioni remote, dove nessun insegnante si sarebbe mai avventurato. Il problema era legato alle aspettative, sempre crescenti della popolazione: le riforme diedero avvio al processo migratorio nei centri urbani, ma le infrastrutture - in termini di abitazioni, scuole, occupazione - non furono in grado di far fronte all'aumento della popolazione nelle città, causando perciò frustrazione e alimentando il malcontento che contribuì poi alla rivoluzione del 1979. In questo contesto, non vanno sottovalutate le responsabilità degli Stati Uniti: nel 1953 rovesciarono il premier Mossadeq, responsabile della nazionalizzazione del petrolio iraniano, e rimisero al potere Muhammad Reza Pahlavi. Fu solo allora che lo scià iniziò a regnare con il polso di ferro. Prima del 1953 il secondo sovrano della dinastia Pahlavi non era un dittatore. Fu solo dopo essersi accorto della propria debolezza che istituì la temibile polizia segreta Savak, i cui agenti erano istruiti ed equipaggiati, occorre ricordarlo, da Washington e Israele. I rapporti tra l'Iran e gli Stati Uniti peggiorarono, come sapete, con la rivoluzione del 1979 e la presa degli ostaggi nell'ambasciata americana. Ma non per questo i rapporti furono del tutto interrotti. Gli americani vendettero infatti armi all'Iran... come dice un vecchio porverbio mediorientale «l'odore dei soldi fa deviare anche il corso dei fiumi»...

Che rapporto esiste tra ayatollah, potere teocratico, economia del «bazar» e ricchezza petrolifera? Chi tiene in mano il potere economico dell'Iran che è uno dei più ricchi paesi al mondo per risorse energetiche?

Le risorse energetiche sono gestite dal Ministero per il petrolio, che assegna contratti di buy-back alle società straniere impegnate nelle prospezioni e nello sfruttamento dei campi petroliferi per un certo numero di anni: in cambio del loro lavoro, le società straniere vengono ripagate con un numero di barili di oro nero. In senso lato, il potere economico è in mano al clero sciita e ai bazarì (mercanti). È il clan dell'ex presidente Rafsanjani a tenere, in buona parte, i cordoni della borsa. Proveniente da una famiglia di produttori di pistacchi, `Ali Akbar Hashemi Rafsanjani si era arricchito con il boom immobiliare degli anni Settanta e ha stretti legami con il bazar. Presidente del parlamento dal 1980 al 1989, fu eletto ai vertici della Repubblica islamica nel 1989 e riconfermato nel 1993 per un secondo mandato. In seguito all'elezione di Khatami nel maggio del 1997, la percezione politica di Rafsanjani è cambiata: è presidente del Consiglio per la determinazione delle scelte - l'organo incaricato di dirimere le dispute tra il parlamento e il Consiglio dei guardiani che può bloccare il processo legislativo - e numero due dell'Assemblea degli esperti incaricata di nominare il leader supremo. Rafsanjani è uno degli uomini più potenti del Paese e, da quando Khatami è presidente della repubblica, è considerato un conservatore.

Lei scrive che il colore dell'Iran è il nero del ciadòr, già abolito per decreto da Reza Shah nel 1936, poi imposto per decreto da Khomeini all'indomani del 1979. Le donne sono la punta culturale avanzata della società iraniana. Quali prospettive si pongono in questo senso?

Nel 1936 Reza Shah, fondatore della dinastia Pahlavi, mise fuori legge il velo. Il suo obiettivo era modernizzare l'Iran, anche nell'immagine. Fu così che alle popolazioni tribali fu vietato indossare i classici costumi. E fu imposto un copricapo - chiamato Pahlavi - che rendeva difficile per gli uomini prosternarsi nella preghiera. Per tornare alle donne, la loro emancipazione fu uno degli obiettivi di Muhammad Reza Shah, che concesse il diritto di voto nel 1963 e insistette sull'istruzione femminile. Oggi le ragazze sono il 63% degli iscritti alle università. L'avvocatessa Shirin Ebadi, insignita del nobel per la pace nel 2003, non è un caso isolato: sono tantissime le iraniane impegnate come professioniste nella medicina, nel giornalismo e in tanti altri settori, anche imprenditoriali. In merito al giornalismo, per esempio, vale la pena ricordare il caso di Faezé Hashemi, figlia dell'ex presidente della Repubblica Rafsanjani e simbolo dell'emancipazione della donna iraniana. Editrice della rivista femminile Zan («Donna»), uscita per la prima volta in edicola nell'agosto del 1998, Faezé era in quel periodo deputata nel quinto majlès. Come il padre, è un personaggio enigmatico: riceve infatti i giornalisti avvolta nel ciadòr, sotto al quale si intravedono i jeans e, a coprire meglio i capelli, un sottile velo maculato. Come la maggior parte delle iraniane, anche Faezé ha optato per il trucco indelebile, tatuandosi le sopracciglia per sfuggire al latte detergente che attende le visitatrici nelle anticamere dei ministeri. Nonostante sia la figlia dell'uomo più potente del Paese, eminenza grigia dietro le quinte, agli inizi di aprile del 1999 è stata comunque obbligata a chiudere il giornale per avere pubblicato un messaggio di auguri di Noruz (nuovo anno) dell'ex imperatrice Farah Diba, moglie dell'ultimo scià, e una vignetta ironica contro la discriminazione del sistema penale nei confronti delle donne.

Se la teocrazia è irriformabile, è legittimo parlare di possibilità di democratizzazione dall'interno del paese? Dalla tua «storia» sembra che sia esistita e che quindi abbia, se non altro memoria, una dialettica politica reale nel paese...

Sì, in Iran si è intravista la possibilità di una monarchia costituzionale, all'inizio degli anni Cinquanta. Ma il fallimento del premier Mossadeq, rovesciato da un colpo di stato, non fu solo colpa di Londra e Washington. Mossadeq non aveva una buona percezione delle questioni economiche e tantomeno di quelle strategiche. Il primo ministro riteneva infatti - erroneamente - da una parte che l'Iran fosse in grado di sopravvivere senza la rendita petrolifera e, dall'altra, che il mondo non potesse fare a meno del greggio iraniano. Ma il blocco delle esportazioni voluto dalla diplomazia britannica dimostrò ben presto il contrario. Inoltre, pur trattenendo la stragrande maggioranza dei profitti, l'Aioc (l'Anglo-Iranian Oil Company che deteneva la concessione delle risorse energetiche) effettuava poi molti investimenti in altri Paesi, investimenti da cui anche l'Iran avrebbe potuto un giorno trarre profitto. Inoltre, in fatto di strategia, Mossadeq si illuse di poter contare - erroneamente - sull'aiuto degli Stati Uniti, timorosi di una presa di potere, in Iran, da parte dei comunisti. Veniamo ai giorni nostri. La questione va posta nei seguenti termini: Islam e democrazia sono compatibili? Secondo molti musulmani, facendo uno sforzo, si può giungere a un compromesso. Ma in Iran il problema è un altro: non è l'Islam che deve essere compatibile con la democrazia ma il governo del clero (velayat-e faqih), quella che lei definisce «teocrazia». E, purtroppo, come ha più volte sottolineato intellettuale iraniano Mohsen Kadivar, «il governo del clero non è compatibile con la democrazia perché se la gente vota a favore di una determinata misura, non è detto che poi questa misura venga messa in pratica perché a decidere sarà sempre il Rahbar, il leader supremo, vale a dire l'ayatollah Ali Khamenei». Queste affermazioni possono però essere estremamente pericolose per gli iraniani, e infatti Kadivar ha scontato, per essersi espresso in questo modo, nove mesi di carcere. Invogliato a esprimersi in questi termini per le promesse di riforma del presidente Khatami, Kadivar è stato il primo prigioniero politico della sua presidenza.

Di fronte allo scontro tra riformatori e conservatori che esclude, per ora, dalle liste molti candidati riformisti, il presidente Khatami ha minacciato le dimissioni. E' ancora un punto di riferimento per il cambiamento, oppure ormai, dopo la scarsa affluenza al voto del 2001, e le recenti proteste di massa, l'opposizione, gli studenti, i giovani - demograficamente la maggioranza del paese - non si fidano più di lui e puntano alla spallata? Non c'è il rischio di una Tian An Men a Tehran?

In Iran il 70% della popolazione ha meno di trent'anni. Khatami lo abbiamo votato tutti, nel maggio del 1997, io compresa. Ero a Isfahan, per un viaggio di piacere, con la mia famiglia. Quando la radio ha dato la notizia, abbiamo esultato: il conservatore Nateq Nuri, che minacciava di rendere obbligatorio il velo anche per le bambine più piccole, non era riuscito ad aggiudicarsi la presidenza nonostante l'appoggio del leader supremo. Ma in questi anni Khatami ha deluso un po' tutti: nel luglio del 1999 non ha difeso gli studenti, non ha detto una parola per liberare gli intellettuali e i giornalisti finiti in carcere, colpevoli soltanto di avere espresso la loro opinione. Khatami minaccia di dare le dimissioni? Non ci crede più nessuno. Purtroppo non è più un punto di riferimento né per i giovani né per le donne. Perché, non dimentichiamolo, in Iran le donne hanno il diritto di voto dal lontano 1963, vanno a votare e sono in grado di cambiare il destino del Paese. Per quanto riguarda il rischio di una Tian An Men a Teheran, non ho la sfera di cristallo, l'Iran è un paese imprevedibile. Chi si aspettava la fine della monarchia, armata dagli americani e riproposta come modello dalle riviste patinate di tutt'Europa? Potrebbe succedere di tutto, ma non dimentichiamo che nel corso del Novecento l'Iran ha vissuto la rivoluzione del 1906-1911, che portò alla creazione del parlamento e della costituzione, il colpo di stato del 1953, la rivoluzione del 1979. Tanti eventi, che hanno trasformato il paese.

L'Iran ha significativamente quanto coraggiosamente accettato i controlli dell'Aiea sui suoi siti nucleari e per i suoi progetti. E' insomma un paese sotto controllo della strategia di guerra preventiva di Bush e sotto sanzioni. Quanto influisce negativamente su un processo politico reale, il fatto che il paese a est come a ovest vede la presenza di centinaia di migliaia di soldati Usa che, tutti intorno alle frontiere iraniane, occupano militarmente Afghanistan e Iraq?

Per quanto riguarda le ispezioni, Teheran non aveva scelta: gli ayatollah non avevano alcuna intenzione di finire nel mirino di Washington. Per quanto riguarda la presenza di centinaia di migliaia di soldati americani a oriente e a occidente dell'Iran occorre sottolineare come l'amministrazione Bush abbia fatto due favori alla Repubblica Islamica eliminando da una parte i talebani, sunniti ortodossi che hanno causato non pochi problemi alla Repubblica Islamica, e dall'altra Saddam Hussein, che nel settembre del 1980 aveva invaso l'Iran e, armato dall'Occidente impaurito dalla rivoluzione islamica, scatenato una guerra durata ben otto anni. Nonostante la freddezza dei rapporti tra Washington e Teheran, gli ayatollah saranno per sempre grati agli Usa di avere fatto piazza pulita di due dei loro peggiori nemici.