Tecno-corpi, materiale
in transito
«In metamorfosi» di Rosi Braidotti per Feltrinelli. Una
mappa filosofica per leggere le trasformazioni, con Irigaray e Deleuze
come guida, che rimette al centro il pensiero della differenza sessuale
oscurato dalla teoria del genere
CHIARA ZAMBONI
Il libro di Rosi Braidotti intitolato In metamorfosi. Verso una teoria
materialistica del divenire (Feltrinelli, pp. 360, € 38) ) si
situa nel dibattito contemporaneo, entrando in più di un conflitto.
Situarsi è quello che vuole fare Braidotti, scrivendo quelle
che lei chiama cartografie politiche e teoriche, che sono poi le mappe
del pensiero ricostruibili dal luogo parziale dal quale ci si guarda
attorno. Ci invita a considerare il suo libro come una mappa attraverso
cui orientarsi. La mappa ha un perno, fare della differenza - sessuale,
etnica, locale - qualcosa di positivo e creativo, sottraendola a quella
tonalità negativa che le viene dal fatto che ogni differenza
è l'Altro dello Stesso, il che poi significherebbe che una
donna è l'altro dell'uomo, l'immigrato è l'altro del
cittadino e così via. Come fare della differenza qualcosa che
apre uno spazio di soggettività intensiva, di aumento della
consapevolezza e della percezione? Per questa scommessa Braidotti
mette in campo il pensiero sia di Luce Irigaray sia di Gilles Deleuze,
che le fanno da guida.
Questo legare
il pensiero di Irigaray a Deleuze è uno dei punti più
interessanti, e volutamente polemici, del libro. Significa innanzitutto
rimettere al centro il pensiero della differenza sessuale di Irigaray,
in un periodo in cui esso è stato posto ai margini per il prevalere,
soprattutto negli Stati uniti, della «teoria del genere».
Braidotti lo dice chiaramente: il pensiero di Irigaray negli Stati
uniti è stato letto malamente. Secondo la teoria del genere,
il genere femminile come quello maschile sarebbero solo costruzioni
sociali e storiche. Il pensiero della differenza sessuale invece è
materialista, parte dal corpo e pone al centro quello che Braidotti
chiama un «femminile virtuale», ovvero un femminile che
non è un contenuto dato ma è continua apertura al divenire.
Braidotti entra così in polemica con le teoriche del genere
che definiscono il pensiero di Irigaray essenzialista, cioè
fondato su una concezione statica e chiusa dell'essere donna. E infatti
come si fa a definire essenzialista Irigaray se il «femminile
virtuale» è invece continuo divenire?
Braidotti si rifà
ad Irigaray - soprattutto di Speculum - anche per l'altra grande polemica
che ingaggia con buona parte del femminismo statunitense. Della psicoanalisi
quest'ultimo ha ripreso solo ciò che può rinforzare
la volontà razionale - e dunque l'io - nel costruire nuove
pratiche politiche discorsive. L'inconscio finisce così per
essere un concetto teorico «morto», di fatto superfluo.
Braidotti considera invece l'inconscio come ciò che scombina
la linearità dei procedimenti dell'io così come della
volontà guidata da ragione, aprendo il movimento della soggettività
a contraddizioni, paradossi, punti di non ritorno, che hanno a che
fare in particolare con la differenza sessuale e soprattutto con il
legame con la madre.
A Braidotti interessa
il potenziamento del divenire e lo riconosce in Irigaray come lo vede
nel femminismo, là dove esso crea la passione della libertà,
dignità, giocosità e leggerezza. Scrive che la politica
inizia dalle nostre passioni e dai desideri che ci muovono: lo trovo
molto vero così come è vero che il femminismo ha creato
momenti di felicità. Io ho vissuto un intensificarsi della
mia vita e un'allegria della mente nell'esperienza del femminismo.
Non posso tuttavia dimenticare che proprio in Speculum Irigaray porta
l'attenzione sulla confusione inconscia, sofferta e senza parola tra
la madre e la figlia, che fa avvertire il bisogno di parole «scambiate»
tra di loro. Nemmeno posso dimenticare che agli inizi del femminismo,
almeno in Italia, si è parlato di «scacco ragionato».
Segnalo con questo un punto delicato del libro di Braidotti, che insiste
sull'allegria e la giocosità come potenziamento d'essere, che
è poi il legame profondo che lei vede tra il pensiero di Irigaray
a quello di Gilles Deleuze. Punto delicato proprio perché il
potenziamento d'essere, che il femminismo effettivamente ha rappresentato
per molte donne, è andato di pari passo con gesti sofferti
quali ad esempio, nei suoi inizi, il separarsi dai contesti maschili.
E accanto a questo ci sono stati altri gesti necessari e patiti, che
pure hanno generato modificazioni, metamorfosi di divenire.
I conflitti che
Braidotti apre in questo libro sono davvero tanti e non risparmiano
neppure Deleuze, con il quale l'autrice ha un debito sin dai tempi
di Dissonanze e dal quale riprende l'idea di «nomadismo filosofico»,
che l'ha guidata anche in altri suoi testi precedenti. Il nomadismo
filosofico è un intensificare il piacere come linea guida del
pensiero, dove le idee schiudono impensate vie del reale. Braidotti
riprende da Deleuze l'idea di immanenza radicale, che riguarda una
corporeità in divenire che va oltre i confini dell'io e che
ci lega in una rete di incontri con multipli altri, dove parti di
sé contaminano e influenzano altre parti di sé. Dov'è
allora la critica a Deleuze? È vero che Deleuze è fondamentale
per il femminismo perché mostra un materialismo corporeo immanente
che si sottrae al «fallologocentrismo», termine che sta
ad indicare il dominio regolativo delle pratiche discorsive di potere
di matrice maschile; e in questo modo Deleuze contribuisce a suo modo
alla stessa azione femminista di sottrarsi a tale dominio.
Tuttavia per altri
versi i conti non tornano. E non tornano per Braidotti proprio nel
concetto del «divenire-donna». Il «divenire donna»
è per Deleuze un movimento potenziale sia per le donne sia
per gli uomini, che permette di sottrarsi ai discorsi dominanti, rende
possibile il rendersi impercettibili, non riconoscibili come identità
costituite socialmente. E qui la critica di Braidotti si fa stringente:
nella prospettiva di Deleuze il divenire donna è semplicemente
il divenire altro, non riguarda le donne in carne ed ossa, ed è
solo il segno di trasformazioni in atto. In questo modo Deleuze suggerisce
una simmetria tra i sessi: per entrambi vi sarebbero gli stessi itinerari
psichici, concettuali e d'esperienza. Braidotti invece è molto
netta nel riprendere il pensiero della differenza: la asimmetria tra
i sessi indica che c'è una radicale differenza tra donne e
uomini sia per quanto riguarda il pensare, la scrittura, sia per l'atteggiamento
nei confronti della storia e della politica. Ed è proprio nella
politica che il pensiero della differenza sessuale mostra l'importanza
di tenere in circolo lotte concrete e determinate, orientate dalla
condizione storica delle donne, con il piano di un divenire aperto
ad ogni modificazione che va oltre le identità e apre a metamorfosi
impreviste. La forza viene dalla circolarità tra un piano e
l'altro.
Ora proprio la
figura della metamorfosi è l'altro grande perno del libro:
il divenire animale come il divenire materia senza forma, che disgrega
le identità per aprire a strade ambigue e nomadi. Così
come le nuove tecnologie fanno del corpo un relais di una rete tra
umano e inumano, o con innesti chirurgici artificiali o con la riproduzione
della vita in provetta o altro. E anche in questo contesto Braidotti
apre un conflitto questa volta con l'immaginario maschile che, da
sempre spaventato dal materno femminile per la sua materialità
concreta e simbolica al medesimo tempo, si difende ricacciandolo in
un altro da sé statico. E perciò esso femminilizza le
macchine mostruose nella narrativa di fantascienza, così come
controlla con la scienza la riproduzione della vita.
Le angosce che
qui emergono come fantasmi fluttuanti sono segno anche dell'affiorare
di nuove possibilità di divenire. Sono luoghi ambigui, che
nel reale aprono tracce impreviste. Tuttavia quando Braidotti cita
un esempio di «divenire altro», divenire animale, materia
senza forma, questa volta però in un testo dell'immaginario
femminile, mostra come ne sia ben diverso l'esito, che non riproduce
la logica maschile di fare dell'alterità l'altro da sé,
difendendosi nella propria identità. Braidotti rilegge La passione
secondo G.H., di Clarice Lispector, luogo «mitico» di
scrittura femminile, sul quale sono tornate tante pensatrici. Il divenire
scarafaggio della protagonista, il mangiare la materia biancastra
fuoriuscita dal suo corpo, il partecipare all'essere nella sua mostruosità
senza forma porta la protagonista a scoprire l'animale e il divino
legati. Braidotti lega questa esperienza narrativa al femminile materno
per quel che di modificazione di sé la maternità come
gestazione rappresenta: perdita di confini, sdoppiamento, apertura
al senza forma, che disgrega l'io, accettazione di un divenire mostruoso,
senza rigettarlo sull'altro da sé, ma accogliendolo come esperienza
di diventare effettivamente altro.
Ho trovato coraggioso
giocare sull'immaginario di un corpo femminile generante visto come
la via di un divenire mostruoso. Questo offre alle donne la possibilità
di interrogare i propri fantasmi legati al corpo che si trasforma
nella maternità e permette di leggere il potenziale orrore
che questo provoca nell'immaginario maschile, che per lo più
se ne difende con tutti gli strumenti a disposizione, non ultimo quello
delle tecniche scientifiche di riproduzione. Rimane una perplessità
di fondo una volta terminato il libro: perché Braidotti si
misura con il femminismo francese e quello statunitense, tralasciando
di confrontarsi con quello italiano, così articolato su molti
dei temi da lei proposti, e che ha dimostrato negli anni attenzione
e simpatia nei confronti del suo pensiero?