Donne e conoscenza storica
         

Immagine-storia

 

Le fotografie di Casa Plastica

 

 

 

Casa Plastica

di Chiara Brambilla, Paola Tursi e Nicola Lombardelli, Italia, 56', 2006

di Donatella Massara

Casa Plastica è un documentario e prende il nome dalla casa in vetroresina costruita negli anni '70 a Sesto San Giovanni. Questa casa estranea e estrosa, per alcuni invivibile, vista attraverso la ricerca delle due autrici alle quali si affianca un coautore, presenta aspetti interessanti. Suggerisce l'idea che qualsiasi casa debitamente interrogata contenga una storia. E che sono le donne, quelle che più abitano la casa, che la raccontano, portandoci se stesse, la loro esperienza e il loro pensiero.

Sono le donne che sanno parlare della casa, e questa disponibilità vale anche per Casa Plastica strana creatura fatta di materiali poco confortevoli, certamente non naturali, molto lontani dai principi della bioedilizia ma che allo stesso tempo contiene qualcosa di attraente che le donne le riconoscono. Questa presenza politica delle donne - proprio di quelle donne che mancherebbero al conto in Parlamento - offre spunti di riflessione. Le donne fanno politica e molta che la si chiami politica sociale, politica prima, politica della pura arte della sopravvivenza mette in evidenza scelte e orientamenti affatto omogenei che proprio per questa eterogeneità delineano un'attività consapevole, che si fa ascoltare e appare definita dalla differenza sessuale. Almeno nel film. Gli uomini del documentario infatti o questa casa la vogliono demolire, come Morabito - vicesindaco di Rifondazione Comunista a Sesto - perchè - dice: non è rappresentativa di Sesto, chiamata la Stalingrado italiana, città operaia, medaglia d'oro della Resistenza. Casa Plastica non è un luogo che meriti memoria. Non sono d'accordo tutti gli altri maschi intervistati, allineati, però, più sul fronte del pensiero illuminato che del potere costituito. Sono Menotti di Action che ha guidato l'occupazione delle famiglie nel 2004, Scheichenbauer, l'architetto costruttore, che ribadisce la validità del suo materiale perchè la plastica ha il pregio della serialità, della leggerezza e della 'complicabilità' (può assumere tutte le forme) oltre che della economicità. E se Palladio ce l'avesse avuta l'avrebbe usata, perchè lavorava con quello che trovava. Anche Floris, l'architetto che l'ha studiata in questi anni, è innamorato di Casa Plastica e si domanda perchè abbattere per sperare di ricostruire, quando i costi per una risistemazione sarebbero molto più bassi, Renoffio infine che abitava nel quartiere di Casa Plastica già negli anni 70 ricorda come la vedevano, ai tempi: una casa occupata piena dei profumi di cucina del sud e i cui abitanti erano più estroversi e liberi, insofferenti alle rigide regole che guidavano le famiglie operaie del quartiere. Tutti uomini che, benchè schierati su fronti opposti, in questa casa non solo non ci hanno mai abitato ma soprattutto ne parlano come un luogo che è già una categoria del pensiero, un'opzione politica o una scelta estetica prima che un posto concreto dove si vive e dove nascono pensieri e si fanno scelte.

Pina Colella, Maria Bonaiuto, Nardy Belduma, Battistina Ferrari sono le quattro donne che intervistate raccontano la storia di Casa Plastica partendo da differenti situazioni vissute in diversi periodi di tempo. L'immagine storia di questo documentario la trovo proprio qui in questa diversità di racconti, di modi di vedere, di richieste che le donne esprimono. Guardando attraverso il film alla storia delle donne, se ne vede la pratica politica e quindi la maniera di ognuna di collocarsi e mantenere una posizione nella società, rappresentativa di gruppi sociali, non solo famigliari. E' una presenza incisiva e che probabilmente senza questo film di Chiara, Paola e Nicola sarebbe andata quasi del tutto perduta e certo non ne avremmo conservata la testimonianza diretta delle protagoniste.

Casa Plastica diventa con loro un luogo del ricordo, ricchissimo di idee, di percezioni del modo che ognuna ha per guardare la realtà, un modo che differenzia i gruppi sociali, i sessi e probabilmente anche le età della vita. Quella casa ha la sua storia che evoca emozioni, cose conquistate, anche soffrendo e parla di vicende che chi la casa ce l'ha non è abituata/o a considerare come realtà.

Pina è una delle prime abitanti, a lei e alla sua famiglia la casa l'avevano assegnata regolarmente. Appena era entrata l'aveva trovata bella, infatti si vede che la emoziona il ricordo mentre dice:<<Ero felice>>. L' architetto in cambio del risparmio sui materiali aveva pensato appartamenti grandi, certo più di quelli dello IACP, bagni eleganti dove erano inseriti in fila in un monoblocco di plastica colorata: water, bidè, vasca, lavandino. Subito però era cominciato l'inferno; ci dice che per stendere i panni doveva salire nel terrazzo comune portandosi dietro i tre figli - perchè la casa non ha balconi che l'architetto considera uno spreco - d'inverno c'era un freddo insopportabile e d'estate non si poteva stare in casa. Il peggio è che era stata costruita di fianco allo scarico della Breda - una delle grandi storiche fabbriche di Sesto, adesso chiusa - che il Comune chiuse solo dopo che ci morì un bambino per essere stato troppo tempo a contatto con i rifiuti industriali. Poi c'era l'umidità. Uno dei figli di Pina ha la bronchite doppia e in quel momento le assegnano la casa popolare nelle case appena costruite di via Carlo Marx. C'erano state molte proteste organizzate davanti al municipio, alle quali Pina aveva partecipato con orgoglio. Dopo questo primo ingresso di persone la casa restò in disuso per anni, fino a quando la occupano le famiglie dei senza casa e siamo ancora negli anni '70. Trovarono la casa completamente senza porte, bagni , riscaldamento; la resero abitabile a poco a poco, mettendo le stufe a kerosene, facendo correre i tubi nelle stanze dei figli, ricomponendo i bagni che avevano trovato divelti nel campetto di fronte. Maria dice che sarebbe anche pronta a riviverla quell'occupazione, "senza paura" perchè dice: Casa Plastica "è la mia 'avventura" di 17 anni"; via Catania è una storia, per questo non si può dimenticarla, è come un vestito vecchio che non si vuole lasciare, perchè è stato rappezzato "giorno dopo giorno, topo dopo topo, scarafaggio dopo scarafaggio.>> Ma sì Casa Plastica solo a nominarla fa ridere, come ride Maria nel raccontare la sua vita, fa pensare a una casa-finta, a qualcosa di impossibile o che va giusto bene per giocare, la sfida invece è stata di renderla abitabile.

Floris -che difende le scelte del padre creatore della casa - parlando delle scale come la cosa più bella della casa, dice che <<riportano all'infanzia>>, sono divertenti perchè hanno una luce particolare, verde. Chissà quante volte gli architetti si sono sentiti dire dalle occupanti: <<Ci venite voi a stare al posto mio ?>>. Ribadisce il concetto la scritta che campeggia su un muro: Case di cartone fuori i proletari dentro i padroni. Provate infatti a immaginare che al posto dei vostri muri avete delle pareti di plastica, è una situazione simile a quando si indossa un impermeabile sulla pelle nuda. Il film ci aiuta nell'immaginare, accompagnando le immagini con suoni sordi che ricordano quelli di un bidone picchiato, evoca i ritmi intermittenti di Laurie Anderson quando suona gli strumenti di sua invenzione. La colonna sonora è invece un'idea sperimentale di Davide Santi: "far suonare" la Casa di Plastica ed è stata registrata live durante la performance del percussionista Filippo Monico con i bambini.

Come dice Battistina che invece è un'abitante del quartiere e conosce bene la storia di Sesto, gli esperimenti abitativi non dovrebbero essere fatti <<su gente che non è stata nè formata nè informata>>. Pina si vergognava di stare in quella casa, Maria no, però le dispiaceva che fuori non fosse bella e che la gente pensasse che le loro case fossero tenute come l'esterno.

Infine nel film e a Casa Plastica arriva Nardy. Fa parte del gruppo che nel 2004 va a occupare la casa, ristrutturata nel frattempo dall'ALER con una spesa di due miliardi e tuttavia lasciata sfitta. Come registrò la stampa c'erano: <<Quindici famiglie di stranieri, per lo più equadoregni e peruviani, quattro famiglie di italiani, due delle quali di Sesto. Sette bambini, tra i quali due di pochi mesi. Tanta gente che di giorno lavora, e che fino a giovedì era costretta a dormire in auto o all’interno di baracche. Qui, hanno trovato case asciutte, dove paradossalmente nell’abbandono ci sono alloggi con serramenti e sanitari nuovi, mai usati>>. Attualmente le famiglie sono ancora dentro, fanno feste, si danno da fare a abbellirla e non si lamentano, anzi. Nardy parla bene l'italiano, racconta che le occupazioni ci sono anche al suo paese ma che sono molto più violente. Nella casa con le altre donne ha aperto un asilo nido autogestito dove magari la gente del quartiere prima o poi porterà anche i propri bambini. Intanto vediamo le donne di Sesto invitate a una festa che si scambiano ricette con le ecuadoregne. Un risultato notevole, che viene voglia di approfondire se pensiamo che Casa Plastica negli anni '70, ai tempi della occupazione di Maria, era considerata un posto malfamato, ma come dice Nardy prima la gente pensava <<cos'è che vogliono ?>> adesso che hanno aperto le porte alle famiglie del quartiere, benchè siano <<di una casa che non è nostra>> vediamo che l'incontro è possibile. E il documentario registra che qualcosa di buono sta avvenendo, alla luce del giorno le stanze dell'asilo sono belle, le pareti piene di disegni giganti, all'esterno gli uomini puliscono, le immagini della notte accolgono una festa di compleanno illuminata dai fuochi di una enorme torta di candeline. E' Battistina a introdurci a un nuovo punto di vista politico che Nardy spiega e conferma. Gli occupanti del 2004 dicono che la casa così com'è - per le loro esigenze - gli sta bene, vogliono avere la possibilità di fare le migliorie necessarie e di avere un regolare contratto d'affitto. La casa diventerebbe patrimonio delle case popolari del Comune. Casa Plastica ha trovato infine il suo tempo per diventare una casa amica.

Perchè mai il vicesindaco non vuole la riapertura di Casa Plastica sotto il segno della globalizzazione ?