Donne e conoscenza storica
         

Immagine-storia

 

 

 

 

Dopo il matrimonio
di Susanne Bier, Danimarca, 2006

di Donatella Massara

Questo film che per protagonisti ha gli uomini - due attori che occupano le scene in abbondanza - mostra in realtà che chi muove la storia sono le donne, specie in stretta relazione come una madre e una figlia. C'è una scena verso la metà del secondo tempo del film dove una figlia abbraccia sua madre che siede in solitudine sotto un albero. Penso che sia questa l'immagine-storia del film e spieghi il senso ambiguo del titolo - traduzione letterale dal danese: dopo il matrimonio allude a un contesto storico, quello che segue alla strategia matrimoniale rappresentativa per la maggioranza delle donne, fino a quarantanni fa di crescita, maturazione, avvenire. Il film che non ha affatto quindi le donne al centro della scena bensì due uomini, suggerisce l'idea che questa relazione fra generazioni sia la ruota effettiva che ha fatto andare avanti la storia. E' il terzo film di questa regista con Open Hearts e Non toccare la donna d'altri fatto in collaborazione con lo sceneggiatore Anders Thomas Jensen. Lei è una regista che mette in scena una sceneggiatura non sua, anche se su di essa interviene - così dice: imperiosamente, cambiando tutto.

In tutta la vicenda di Dopo il matrimonio la relazione salda, non manipolabile è fra la madre, la figlia e i figli. Il vero motore della storia diventano essenzialmente le donne che scegliendo la paternità dei propri figli, ne determinano in definitiva anche l'agire politico. Non è che la cosa ci dia molta soddisfazione. Infatti l'indagine sulla soggettività pensante affidata - come negli altri film - ai soli personaggi maschili, fa diventare le donne tutto sentimento, maternità, corpo. Assaggi fondamentali della storia ma, qui come ancora di più in Non desiderare la donna d'altri, figure non analizzate nella loro differenza. La regista interrogata su questo aspetto dice che: <<la lotta tra i sessi, latente in questa come in altre sue opere, non è suo primario interesse: ciò che realmente non potrebbe non raccontare nei suoi film, osserva, è la tematica familiare. "Il mondo moderno è frammentato: i valori ottocenteschi non sono più sufficienti per comprenderlo, ma proprio per questo la famiglia va reinventata". Sui personaggi femminili del film, indubbiamente posti in ombra da una sorta di decisionismo declinato al maschile, si limita a considerare come la loro sia comunque una resistenza degna di essere descritta: "Ho raccontato e tornerò a raccontare di figure femminili più forti. In questo caso, la scelta è stata dello sceneggiatore e a me è parsa valida".
( L'intervista sta in: http://www.zabriskiepoint.net/?q=node/2244)
Susanne Bier non considera che questi cambiamenti sono le pratiche femminili, le famiglie reinventate, le occasioni create dalla rivoluzione femminista nelle relazioni, dopo il matrimonio.

Sono la madre e la figlia che diventano sostanziali perchè sono vere figure del conflitto. I personaggi maschili si incontrano e scontrano su una relazione più astratta, puramente esemplare della vicenda socio economica del nostro tempo, con le sue estensioni etiche, comportamentali, politiche. Sono la madre e la figlia la ruota effettiva che manda avanti la storia. La forza dell'immagine-storia è rappresentata da questa madre che l'ex amante accusa di non avere mai avuto un ideale nei suoi 50 anni di vita, che, allo stesso tempo, ha potuto scegliere un padre per la figlia, sia il padre biologico che il padre storico.

C'è un crogiolo di pulsioni rappresentative della soggettività contemporanea, sia maschile che femminile. E' pur vero, però, che la trama va poi a concretizzarsi su soggetti differenti che non possono non fare i conti con la sessualità. Ci sono allora nel film le famiglie inventate dalle donne. Ci sono anche però i desideri maschili di fuggire la propria patria per crearsi una famiglia diversa, addirittura identificata in un continente al quale dedicarsi. Ci sono sempre e comunque i limiti della vita e della morte biologica oltre i quali possono però sopravvivere i desideri ancora maschili di cambiare le cose. Tutte queste spinte funzionano abbastanza bene insieme.

Io e Silvana Ferrari l'abbiamo visto e dibattuto, quindi giudicato un film interessante. E' un film indagatore sulla soggettività contemporanea. Non a tutte è piaciuto. Mi sono domandata perchè alcune come Nilde Vinci abbiano definito <<una telenovela>> un lavoro così pieno di pensate, di aut aut kierkegaardiani, di scelte determinanti per sè e altre, altri che riportano a contrastanti visioni del mondo. I personaggi pensanti sono infatti figure ambigue fino al punto però che possono coniugarsi in un unico progetto. L'uno muore lasciando i soldi che servono a realizzare il progetto dell'altro. Deduco che l'amica volesse farci intendere che la trama del film di Susanne Bier è un congegno superficiale come lo sono le fiction televisive. Non sono d'accordo. Dopo il matrimonio è una traccia per ragionare più che una simulazione di realtà. Mettono sull'avviso - in questo senso - le scene dell'India perchè non hanno niente del fascino a cui si prestano di solito e che ritroviamo in film di registe indiane. L'India potrebbe quindi essere più un luogo della mente, per spiegare una delle tante possibilità di fuga da casa propria, che non un posto letteralmente inteso.

La regista considerata fra le migliori del suo paese, usa un linguaggio delle immagini che alterna dettagli a campi medi o primi piani. La ricerca del dettaglio e poi lo spostamento della mdp sull'ambiente, rimanda al soggetto che entra e esce da sè. Fuori di sé scorre la vita con le cose, i progetti, le relazioni mentre dentro di sé si ripete una vita soggettiva che fa precipitare in dubbio il senso di quello che facciamo e che tuttavia non va mai completamente smarrito. Il soggetto è in balia della finitezza. L'essere un costruttore di mondi, Jacob che organizza la realtà aggredendola con la dedizione alla causa umanitaria, Jorge che con l'azione produttiva amplia a dismisura le risorse economiche, diventa congiungimento con un altro, i cui desideri apparentemente sono opposti, perchè questi mondi sopravvivano. Jorge, l'uomo dell'Occidente, cerca di controllare, superare, definire i desideri dell'altro regalandogli i soldi che ha accumulato. Jacob per rimediare alla povertà dell'India mette in gioco la sua passione e sottosta a questi desideri per salvare il suo progetto. Jacob che ha cinquantanni è generoso ma è anche dissociato, non riesce più a ricongiungersi con il suo passato, con gli affetti che ha lasciato dietro di lui, se ha una figlia non ha mai saputo di averla. Jorge è invece rappresentativo di un occidente che ha bisogno di tenere sotto controllo il mondo attraverso gli aiuti umanitari e il cui lascito persevera in questo dominio.

Il film mostra l'ambiguità dei progetti personali che non riescono a esistere se non sono congiunti con quelli di altri che decidono, magari in maniera contraria alla nostra, ma mai del tutto, anche per merito della rispettiva buona volontà. Fa vedere, poi, la possibilità di riconciliarsi con un'origine politica rimossa, quella 'dei figli dei fiori', del pacifismo sessantottino, dell'anticonsumismo che i valori del capitalismo avrebbero in modo totalitario depotenziato fino a azzerarne il significato politico, senza però chiudere le porte che servono a mantenere un rapporto aperto con chi ha progetti comunitari, umanitari, altruistici. Sono le donne alla fine e gli idealisti che ricevono l'eredità del capitalismo e che la rielaborano, seguendo esiti, però, nel film indefiniti.