Roska di
Asthildur Kjartansdottir, Islanda, 2006
di Donatella Massara
Asthildur Kjartansdottir
Roska
Dettaglio di uno
dei manifesti disegnati per Lotta Continua
La regista del
documentario dedicato a Róska Óskarsdóttir,
conosciuta come Roska (1940-1996) si è data il compito non
facile di convogliare nelle immagini di un documentario la storia
di un' artista, regista indipendente, attivista politica, che ha vissuto
30 anni a Roma. Asthildur Kjartansdottir ha tenuto presente
il periodo storico in cui è vissuta, non tanto come elenco
di fatti posticci ripresi dai giornali, ma piuttosto andando a visitare
nelle pieghe delle sue troppo fresche ferite o rotture, la storia
di tante e tanti giovani di quegli anni e che per una strana conversione,
complicazione dei linguaggi resistono ancora adesso a farsi parola
della storia. Ma se questo documentario è un tentativo è
anche un risultato riuscito. Un bellissimo documentario che viene
voglia di riguardare perchè la regista (classe 1950) non ha
paura di tenere lei, Roska, la bella e coraggiosa protagonista al
centro della scena. E i compartecipi, maschi e femmine, ci stanno
tutti, si entusiasmano all'idea di parlare di lei. Un'amica che la
sta rappresentando a teatro dice che con la sua partner gridano forte
prima di entrare in scena <<Roska, Roska, Roska. <<Where
is Roska ? >>, si chiede Maria Fadda, che l'ha conosciuta quando
aveva 13 anni, <<Per me è stata come una madre>>,
e dice <<C'è una scuola di Roska in Italia e l'unica
insegnante sono io>>, "perchè quando nel cielo di
Roma vedi gli uccelli che volano e ti salutano quella è piazza
Paganica, dove c'era la bellissima casa di Roska e Marrico (Pavolettoni)".
Roska e Marrico erano
comunisti, prima, poi in Lotta Continua, ma soggettivamente lei era
più vicina all'anarchia e nel 1977 come dice un'amica si trovò
più a suo agio in mezzo a quel movimento creativo, libertario,
disordinato, situazionista che non nel '68.
Roska era una
sacerdotessa della libertà. Lascia il marito e il figlio di
pochi anni in Islanda per ritornare definitivamente in Italia negli
anni '60 e raggiungere di nuovo Marrico, poeta, attore, trotzkista,
che aveva conosciuto durante il soggiorno di studi romano con il primo
marito, nel 1962-63 e dove lei si era diplomata con voti brillantissmi
all'Accademia. In seguito dirà che la famiglia è la
struttura più repressiva dello stato capitalista e più
avanti, parlando in un'intervista del suo film islandese, un fantasy
allegorico con gli elfi, i cavalli e i protagonisti in costume, dirà
che l'uomo in Solvey rappresenta la lotta per la libertà,
la donna l'inconscio. Per lei Marrico era dunque l'amore e la libertà,
staranno insieme trentanni in queste case nel centro della Roma barocca,
via Giulia, poi piazza Paganica all'ingresso di via Botteghe Oscure,
case come centri sociali aperte alle amiche e agli amici, non alla
polizia, dove le testimonianze ricordano si succedevano le cene quotidiane
per minimo 12 persone, case dove la gente ci viveva, ci risiedeva
tutto il giorno, ci si nascondeva. Sono tante le testimonianze che
parlano di Roska come una maestra, ne parlano come Platone fa parlare
Socrate di Diotima, maestra di pensiero, filosofa, maestra di vita.
Era anche una grande artista.
C'è chi
ha detto "ma non era femminista". Sì è vero
non aveva la tessera del partito femminista, che non è mai
esistito in Italia, nè la vediamo con i cartelli, i fiori in
testa, le mani a triangolo, nelle manifestazioni romane che starebbero
a rappresentare il femminismo nei documentari visti sulla storia delle
donne italiane degli anni '70. La regista la definisce invece femminista
e così era. In Islanda aveva installato un missile a forma
di lavatrice. E' la prima donna regista dell'Islanda. Il percorso
di Roska come artista inizia con la pittura figurativa, poi il disegno,
molti manifesti di Lotta Continua degli anni '70 sono suoi, e la fotografia.
I suoi film, quelli più conosciuti, assolutamente indipendenti,
sono stati L'impossibilità di recitare Elettra oggi
del 1969 Soley del 1982 e alcuni documentari girati con il
marito in Islanda per conto della RAI negli anni '70.
Il documentario
oltre a essere coinvolgente a me ha lasciato spazio a alcune considerazioni
più generali. Anzitutto sulla storia delle donne. Roska ha
lasciato un'eredità artistica e politica, anche se, secondo
uno dei suoi amici, il musicista e fotografo Mordenti, la politica
le ha impedito di esprimersi artisticamente assecondando il suo grandissimo
talento. Molto nota in patria, qui di lei è rimasta un'eredità
e un lascito storico; ha convogliato su di sè maniere di vivere,
credere nelle idee, stare con le altre e con gli altri che poco hanno
a che vedere con le immagini molto pre-fissate, incrostate di parole
statiche, ordinate su sequenze di prima e dopo che sottraggono senso
a quello che molte persone, molte donne, molti uomini, molte donne
sole, molte donne con i loro compagni hanno fatto, creato e comunicato
attraverso le cose, le persone e in eventi con cui interagivano.
Questo film non
si ferma alle immagini di repertorio, alle frasi fatte, a un commento
generalista anche se scritto bene. Ho molto apprezzato che non scada
nella facile autoironia 'di quegli anni', l'autoderisione, l'autolesionismo
sulle proprie belle idealizzate speranze anche perchè chi se
le è giocate le aveva prese molto sul serio. Il finale di Roska
è un'immagine sua, presa poche settimane prima della sua scomparsa,
mentre ride con la sua bellissima risata definita 'vulcanica', come
la sua terra. L'esistenza di Roska è stata tragica o forse
è stata più che altro comica ? si chiede uno dei suoi
'allievi.
Tutto ciò
mi ha fatto pensare alla rivoluzione linguistica-simbolica che abbiamo
vissuto che è una rivoluzione anche delle cose pratiche, per
me una rivoluzione femminista. Non ce la siamo inventata da sole;
c'è stato un lascito che è stato ricevuto e elaborato,
da chi ci ha preceduto, dai nostri stessi genitori, madre e padre.
Roska era figlia di un padre comunista. ma questo non significa in
sè molto per le rivoluzioni simboliche. Però lei ha
voluto esserlo sempre e con molta costanza. <<Non ho mai più
visto nessuno vivere come lei, avere questo modo di essere, di proporsi>>.
<<E' stata la donna più bella, più bizzarra, originale
e affascinante che abbia mai conosciuta>> così dicono
di lei all'inzio del film, due amici, un uomo e una donna.
Fra la bellezza
di un'esistenza e la storia che la racconta c'è un cambiamento
accaduto nel simbolico e le donne ne sono le protagoniste. Questo
film riesce abbastanza a catturarlo.
Camminando per
le vie del quartiere Casoretto a Milano ci si accorge che una tragica
continuità le tiene insieme e mi fa pensare che esse parlino
della storia simile e differente. Nell'agosto del 1944 in via Casoretto
era stato ucciso un giovane, la lapide che lo ricorda parla di <<martirio>>,
<<culto della libertà>> e di <<vita breve
di anni>>. Appena qualche metro più in là in via
Mancinelli c'è il muro con i murales, c'è una targa
e di fronte la lapide che ricorda Fausto e Iaio non ci sono commenti
ma solo una notizia <<qui uccisi dai fascisti 18 marzo 1978>>.
Non c'è bisogno di soffermarsi sull'analisi delle parole usate,
però che farne? che fare di queste parole così distanti
per parlare di qualcosa che non è distante nè nello
spazio nè nel tempo ? Quali sommovimenti sono avvenuti fra
l'una storia e l'altra e le donne come ci si sono trovate in mezzo
? Le parole pesano intorno a universi di significati che fanno la
storia ma non nella continuità, c'è poi il peso della
soggettività a costruire il corso di eventi e dove c'è
un cambiamento ci sono donne che irrompono nel racconto storico e
portano di solito un rinnovamento nel linguaggio. E' la soggettività
femminile raccontata in sintonia con la storia del suo tempo a compiere
la magia di tenere insieme le cose più differenti, questa che
è poi una rivoluzione del linguaggio quotidiano e non solo
artistico è quella a cui, noi percepiamo, Roska come altre
diede il suo contributo.