Donne e conoscenza storica
     

Immagine-storia

Milli Toya con Fiorella Cagnoni e Giovanna Foglia -creatrici di Trust Nel Nome della Donna - e Donatella Massara

sono promotrici del Concorso Internazionale di Cinema Indipendente delle donne

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Associazione Sofonisba Anguissola - Galleria delle donne

 

 

 

 

 

INTERVISTA a Milli Toja, regista
di Donatella Massara


D.: Milli raccontami i tuoi inizi

Quando ho iniziato a occuparmi di cinema era il 1983. Facevamo un gruppo. Mi ricordo che parlavamo di Speculum di Luce Irigaray . Poi abbiamo pensato: ma no facciamo altro. Vediamoci per scrivere una sceneggiatura. E insieme abbiamo deciso di scrivere una sceneggiatura tratta da un libro della Gertrude Stein. Non amo particolarmente la Stein perché a me piace raccontare mentre lei distrugge il romanzo, quindi non è stata una mia scelta, ma delle altre. Il libro era Ida, che è forse il libro più simile a un racconto che lei abbia mai fatto. Il film è stato girato in Super8 nei fine settimana. Le donne che con me partecipavano al film erano del mio gruppo politico e insieme abbiamo realizzato il nostro grande desiderio di raccontare per immagini: ci abbiamo messo due anni e l'abbiamo chiamato Cara Ida. Abbiamo montato il film, e abbiamo visto che non reggeva, che la sceneggiatura che avevamo scritto non era in grado di reggere il film; così l'abbiamo smontato, abbiamo aggiunto delle altre scene e dato al tutto un involucro contenitivo, che era la storia di due donne che cercano di scrivere una sceneggiatura. Questa trovata ci ha permesso di fare un prodotto abbastanza buono.
Allora sviluppavano il Super8 solo in Germania, e ancora siamo sbalordite dal fatto che le pellicole sono tornate tutte miracolosamente indietro perchè erano 50! Ci eravamo comperate tutto: da una piccola moviola Super8- guarda, montare questa pellicola così piccola è una cosa pazzesca !!! - all'incollatrice per attaccare lo scotch. Tra l'altro questi attrezzi stavano lentamente scomparendo, perchè c'era il video che prendeva piede. Era un video però non digitale che richiedeva delle attrezzature ancora più costose per montare, del Super8. Per fare un buon prodotto dovevi avere una telecamera e poi andare in questi laboratori specializzati per montare il film. Quindi il Super8 ci dava una possibilità di intervento finale sul film completamente autonomo che era quello che noi volevamo.
L'avevamo poi proiettato alla Libreria delle Donne di Milano ( e in altri luoghi di donne) e il film era piaciuto.

D. : Come è nata questa passione ?

Ho sempre avuto due grosse passioni: quella per il cinema e quella per le arti figurative. Da bimba avevo già delle capacità manuali molto grosse, aggiustavo, mi ricordo, i soldatini, quelli di gesso, rifacevo le gambe, rifacevo le spalle perfettamente uguali. E poi con mio fratello avevamo fatto un cinema sperimentale: una scatola da scarpe con una specie di lente davanti che ingrandiva e che proiettava e una lampadina che pendeva nel mezzo. Io facevo delle strisce con dei disegni al contrario per poterli proiettare diritti. E sognavamo anche di fare i soldi, di diventare ricchissimi, chiedendo i soldi per il biglietto. Eravamo piccoli, avrò avuto undici anni, lui otto. Comunque questa è stata la prima grossa passione. In tutte queste strisce che poi mia madre deve avere buttato via, che noi passavamo dentro alla scatola, raccontavamo delle storie,erano dei fumetti, poi siamo cresciuti e di cinema non ne abbiamo più parlato.
Nell'83 invece, il desiderio probabilmente sopito in qualche modo è venuto fuori e io ho detto: "ma perché non ci compriamo una cinepresa e cominciamo a girare ?".

D.: Ma tu andavi anche al cinema ?

Sono sempre andata al cinema e mi piace, mi è sempre piaciuto. Ho sempre avevo una grossa passione, sì, però non in un modo smodato, non è che andavo sempre al cinema. Vedevo alcune cose, i gialli mi piacciono, le storie mi piacciono, raccontare una storia è una cosa che mi affascina.

D.: Facevi anche fotografie ?

Facevo delle fotografie così, banali, come facevano tutti, ma non era una mia passione. Avevo ricominciato a fare sculture, le facevo con la creta. Ho fatto l'Accademia per due anni, avevo poi litigato con il mio professore che era Casorati, il figlio, un uomo stupidissimo, antipaticissimo e me ne ero andata.

D.:Torniamo alla storia dei tuoi film.

Nell'83 è esploso il desiderio per il cinema e da allora ho continuato senza mai fermarmi. Nel modo di lavorare, con la cinepresa,ci sono state delle evoluzioni grosse, dopo il Super8, siamo passate al 16mm. Abbiamo comprato una moviola per il formato a 16 mm che abbiamo ancora in soffitta, sopra la Galleria (Sofonisba Anguissola a Torino). E qui le altre mi hanno in parte seguito, e non abbandonato (politicamente), ma il desiderio di fare cinema, è rimasto solo mio. Da allora, dal 1991, ho cominciato a girare sia i corti che i lungometraggi firmandone la regia. Le altre mi aiutavano come Gabriella (Montone) perchè lei faceva parte del primo gruppo, era Ida nel film Cara Ida. Come Caterina che poi se ne è andata per i fatti suoi. O altre donne che sono comunque arrivate.
La mia creatività si è comunque divisa tra cinema e arte figurativa per parecchi anni, adesso mi sembra che il cinema stia prendendo il sopravvento . Ogni tanto l'arte figurativa mi manca, mi manca tanto, anche se fare cinema non vuole dire non fare niente con le mani, anzi ci sono delle cose manuali grosse. Con la pellicola c'è questa cosa molto bella, del prenderla, guardarla, metterla insieme creare insomma la copia lavoro per la stampa. Purtroppo questo con il digitale è stato azzerato: fai tutto con il computer, è un lavoro molto più mentale che non manuale, ma ti da delle possibilità di invenzione che prima non erano pensabili.
Prima, quando montavo la pellicola, venivo qui a Milano, a stampare i film,(questo fino alla Sindrome di Biancaneve che era il 2000). Guardavo la pellicola con un tecnico e insieme decidevamo i colori scena per scena (perché di ogni copia puoi decidere il colore) Questo voleva dire che dovevo relazionarmi con tutti questi altri, questi uomini, questi tecnici che intervenivano anche dicendo "ma io qui metterei questo colore, farei questo, farei l'altro…" senza contare che la qualità del suono non era così buona, perché la pellicola in 16mm prevede un suono che ha molti difetti.
I problemi erano tanti e i soldi da spendere una valanga! L'unico vantaggio era tagliare la pellicola e montarla che mi piaceva tantissimo. Ho amato la pellicola e la amo ancora ma questo amore non è praticabile come costi e risultato. Con l'avvento del digitale ho una libertà di espressione, in fase di montaggio, molto creativa.
Infatti sono intervenuta in Le pietre del sapere, correggendo il colore, in parecchie parti. Come nella scena della cantina dove ho aggiunto un blù deciso, correggendo e manipolando proprio l'immagine. Questo se vuoi è legato al discorso artistico, all'arte figurativa, che al momento opportuno salta fuori. Se tu vedessi i nastri originali, vedresti che in alcune parti c'è un grossissimo cambiamento. La scena della cantina ne è un esempio, sia per quanto riguarda il colore, che la luce, creata in un secondo tempo, che illumina il viso della Madre.
Queste correzioni vanno comunque fatte sempre in fase di montaggio, per quanti filtri si mettano sulle luci di scena sia la pellicola che i nastri digitali hanno una dominante o rossa o verde.
Per esempio per la pellicola, la Kodak vira più sul rosso la Fuji vira più sul verde, la stessa cosa per i nastri MiniDV della Sony, Panasonic o TDK, hanno tutte delle loro particolarità. Non ti rimandano mai l'immagine come la vedi e chissà poi che cosa vedi. Do molta importanza al colore anche se non sembra. C'è un grosso lavoro sul colore, anche in esterni. Non è soltanto una cosa estetica, c'è un taglio preciso se tu vuoi rendere.. vuoi dare un'atmosfera più livida o più cupa, è chiaro che adoperi il colore in un determinato modo. Il colore e la luce. Devo dirti che montare è una delle cose che mi piacciono di più, mi piace giocare con tutto questo.

D.: Mi piacerebbe capire come lavori

Faccio una sceneggiatura, ferrea, per molte cose. Scrivo la sceneggiatura,dopo di che se parlando con le donne che la interpretano, mi dicono, "ma io magari farei, correggerei", alcune cose si correggono tranquillamente, non ho delle idee preconcette.

D.: Anche i movimenti di macchina ?

Anche i movimenti di macchina. Mi accade sovente che poi al momento di girare, dato che sono dei set che non vengono mai costruiti in uno studio cinematografico, dove qualcuno mi mette le cose esattamente come voglio io, ma più o meno come le immagino, devo cambiare alcuni movimenti sul momento, però in linea di massima la scena è come io l'avevo già pensata. Ad esempio, la scena attorno alla grande pietra, quando la Madre racconta, sono riuscita a farla esattamente come l'avevo pensata. Quasi tutto poi alla fine viene come l'hai pensato, certo che devi comunque mediare con quello che ti ritrovi.

D.: Quindi possiamo dire che nonostante tutto questo lavoro militante, ti identifichi pienamente in un ruolo potente: hai in mente una cosa e la fai, viene svolta come vuoi tu. Vuole dire che anche da parte delle altre ti viene dato questo ruolo.

Di più adesso. All'inizio magari intervenivano su dei fatti minimi…poi sai tutte queste donne che recitano, tutte insieme, c'è una energia pazzesca che passa, quindi anche un livello di egocentrismo terrificante, per cui tutte a un certo punto vorrebbero dirigere.

D.: Perché essendo una cosa femminista, una pensa si saranno messe tutte attorno a un tavolo a decidere, invece non è affatto così.

Non è affatto così. E' stato così per Ida ed è stato un fallimento. Quando abbiamo rifatto completamente Ida, ci eravamo messe io e Caterina e l'avevamo rifatto completamente noi. L'avevo scritta io la parte delle due che inventano una sceneggiatura. Quando abbiamo tentato di farlo tutte insieme è stata una catastrofe. Credo che si possano fare le regie collettive, come i fratelli Taviani che dicono fanno una scena a testa. Non credo che per la stessa scena uno dice una cosa e uno un'altra; penso che ti distribuisci delle parti, infatti avremmo dovuto fare così per Ida invece volevamo dirigere tutte contemporaneamente. E' stato un pasticcio.
Negli ultimi film recito oltre che dirigere. Questo vuol dire che ci deve essere qualcuno dalla parte della cinepresa che ti dice, "guarda che io riprenderei in un modo o in un altro" Tutte le volte che ci sono io, in quasi tutte le scene, mi ha ripreso questa mia amica che si chiama Tiziana Pellerano che fa la regista alla TV. Lei aveva fatto anche un film "le Rose blù," te lo ricordi? Lei è brava, e proprio perché sa di che cosa si tratta, molto rispettosa delle mie idee. Anche quando non sono fisicamente presente nella scena gira Tiziana, se non c'è, sono proprio io che ho la telecamera in mano.

D.: L'inquadratura chi la sceglie, tu o lei?

Ma all'inizio quando cominciamo lei mi dice "dove vuoi che mettiamo la telecamera?" così scelgo, sono io che le dico "voglio un campo lungo, voglio un piano americano, un primo piano", lei allora mi dice "io metterei le cose così, starebbero meglio", poi prova e mi dice "vieni a vedere l' inquadratura". In questo Tiziana è bravissima perché lei non prevarica assolutamente anche se ha una competenza sull'immagine notevole. Tiziana è presente dalla Sindrome di Biancaneve, non c'è nei Dei delitti e dell'amore, li mi riprende Marilena che fa la fotografa . Devi andare d'accordo con chi fa le riprese, con Tiziana vado molto d'accordo e così è iniziata questa collaborazione molto importante e fruttuosa. Per Le pietre del sapere,Tiziana era presente solo quando abbiamo girato ad Agape, quindi il refettorio, le camere. E' una donna che non prevarica assolutamente, lei pensa che siccome mi muovo completamente libera, perché non seguo dei maestri, o delle maestre, lei rispetta questo, capisci? mi lascia fare, come se pensasse, "Milli va per i fatti suoi, bene così".

D.: Questo è molto interessante

Sì è molto interessante

D.: Se tu vuoi fare un film lo fai. Invece spesso senti giovani registe che lamentano che mancano i soldi, i finanziamenti, il supporto. Invece da Maya Deren in avanti chi vuole fare un film poi lo fa.

E' vero. Secondo me non c'è un desiderio così grosso e le donne, più degli uomini, pensano che se non hai finanziamenti non fai niente.


D.: Stavi dicendo prima che c'è un'evoluzione da Cara Ida, poi ci sono dei corti

C'è Il mio cuore è un uccello cantore, c'è L'Addio c'è Il Dono che è stato un po' un fallimento, un film mancato. Era tratto da una scenggiatura già fatta e io mi sono limitata a portarlo sullo schermo ma non è andato bene. E' tratto da un racconto della Lispector Il corpo.

D.: C'è una ricerca anche fotografica raffinata nei tuoi film

Si c'è una ricerca che mi interessa molto. Nella scena dello studio delle madre di notte, questa scelta della luce che le arrivava di taglio l'avevo proprio cercata apposta, ho messo tre ore a provare con la lampada per arrivare a creare questo effetto, questa luce vagamente caravaggesca. Mi affascinano queste cose, le cerco. C'è un discorso sulla luce che mi piacerebbe ampliare ancora, certi tagli di luce che arrivano in un modo preciso, mi interessano.

D.: Ci sono delle ricerche sulla luce anche esagerate che sul piccolo schermo o sul computer poi si perde?

No, non c'è un uso smodato della luce.

D.: Hai dei film e delle autrici e degli autori di riferimento ?

No, se li ho, sono dentro di me, ma non in forma chiara

D.: Ma c'è un film che ti piace più di un altro?

Ah sì, senza dubbio i gialli, senza dubbio Hitchcochk. Pensando a quello che tu dicevi: certe lentezze nel modo di raccontare: mi viene in mente 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, che racconta in un certo modo, che mi appartiene. Di tanti film che ho visto, di 2001 Odissea nello spazio, alcune scene mi sono rimaste impresse moltissimo mentre di altri film non mi è rimasto nulla o pochissimo. Ho assorbito un certo tipo di film. Di donne ce n'erano pochissime nelle sale, se non andiamo a prendere le avanguardie. C'era la Wertmuller, la Cavani, alcune cose sue, della Cavani, mi piacevano, ad esempio il film su s. Francesco, altre, come il famoso Portiere di notte, mi irritavano profondamente, non ho mai avuto amore per lei, pur riconoscendole una capacità grossa.

D.:Quindi non ti riconosci in nessuna ?

No e mi dispiace… non so se mi dispiace, in realtà!

D.: Pensavo alla Molina, una regista spagnola di prima generazione che su Duhoda dice proprio che lei che ha fatto le scuole di cinema ha avuto una formazione tutta maschile, anche se poi ha fatto una ricerca e le registe prima di lei ha scoperto che c'erano. Quindi tu non avendola ricevuta, forse è meglio così.


Forse è meglio così, perchè sono più libera, ho meno problemi, angosce

D.: Se mi calassi nei tuoi panni, ho pensato che io copierei, un certo modo di fare il montaggio, di usare la dissolvenza, per esempio ieri riguardavo Ordet di Dreyer che nella parte precedente al finale del film, negli esterni usa le tendine e anche tu le usi verso il finale. Perchè ci sono queste tendine ?

Perchè in alcune parti ci vogliono, sono degli stacchi precisi, in altre una scena necessariamente doveva compenetrarsi nell'altra che la precedeva. Sono proprio delle scelte precise. La tendina segna uno stacco, il girare di una pagina, passiamo oltre, l'ho messo in varie parti. E' uno stacco forte. Non faccio mai citazioni, ci sono cose che mi interessano, ma sono evidentemente sedimentate dentro di me, non me ne accorgo, alla fine rielaboro, ma non copio, se c'è un qualcosa di simile ad altri lavori, è decisamente inconscio. La tendina è usata come stacco, la dissolvenza la uso quando c'è un legame, fra una scena e l'altra. La tendina e' un passaggio, e volevo sottolinearlo.

D.: Adesso si usa dividere lo schermo in due parti e fare vedere due scene contemporaneamente ti piace?

No, non mi piace. Mi ricorda troppo la televisione, in un certo senso squalifica il film, mi ricorda la pubblicità, i telefilm, mi ricorda proprio le cose che non mi interessa fare, mi interessa narrare in un modo più ampio.

D. : E altri effetti tipo il rallenti?


Il rallenti è un effetto che mi piace molto, si fa alla fine in sede di montaggio ed è molto complicato quando usi il 16 mm. Una vera macchina da ripresa, professionale, non ti fa queste cose, te le devi fare con il computer, filmi l'immagine come tu vuoi e poi te la manipoli.

D.: Invece il montaggio segue sempre una logica, da una scena all'altra

Mi è capitato di invertire le scene, in piccole parti, di scrivere la sceneggiatura e poi di accorgermi che una scena che avevo messo in un punto sarebbe andata meglio prima o dopo, addirittura, senza problemi, perché con il montaggio fai veramente quello che vuoi

D.: C'è una tua grammatica interna dal punto di vista estetico, oltre alla logica ?

Certamente. un film è come un libro: il racconto segue una sua logica.

D.:Come ti sono venute le idee del film ?

Le idee mi sono venute da quando o pensato e girato il lungometraggio Dei delitti e dell'amore li recito oltre che dirigere, è un giallo, ambientato tutto all'interno di un gruppo di donne che si ritrovano in campagna. Questo film nasceva da un desiderio un po' diabolico di raccontare i rapporti fra le donne, dove immaginavo che ci fosse il desiderio, in alcune donne, di ucciderne altre. O almeno di pensare che qualcuna possa avere questo desiderio, per rabbia, passione… insomma: giocarci un po' sopra.
In La sindrome di Biancaneve volevo continuare a raccontare questi rapporti.
Da L'alito del drago in poi, mi è venuto il desiderio di raccontare in parte la mia vita, la storia della mia comune, della bimba che con nostra grande gioia è nata e abbiamo allevato,Virginia, che ora ha 22 anni. Nel film racconto anche i rapporti con gli uomini che giravano, vagavano, per casa e affrontavo per la prima volta, il mio rapporto con il sacro, in un modo forse inconsueto: incontro una Dea. Questo rapporto con il sacro con qualcosa di potente e mistico l'ho sviluppato in pieno in Le pietre del sapere . Nel film affronto anche in modo chiaro, il discorso sull'autorità e sul potere e su come questa autorità e questo potere può essere passato, come viene visto dalle donne più giovani, i conflitti che questo crea, la rabbia, l'invidia, l'amore, sentimenti forti che fanno parte della nostra vita e della vita delle altre donne. Sto già scrivendo il seguito del film perché voglio continuare questo discorso, ampliandolo legandolo a un modo forte di progettare il mondo insieme e cercando di capire perché questo desiderio sia andato lentamente perdendosi, non sia più così forte come era negli anni '70. Noi allora pensavamo veramente di cambiare il mondo, e io continuo a pensarlo.

D.: E' la magia del pensare insieme che si fatica a trovare anche fra noi ed è quello che io penso avrei voluto insegnare alle mie allieve.

Ho nostalgia di questo, e affronto il problema, facendo un sequel dello stesso film, con gli stessi personaggi ma anche con altri, sempre legato alle pietre, alla comunità, al potere, che si sta perdendo, non perché, con la perdita delle pietre manchi il potere alla madre, ma perché manca l'attribuzione di valore alla madre: senza le pietre perde importanza agli occhi delle altre donne. Volevo affrontare questo discorso. Ho già cominciato a scrivere. Questo dialogo tra generazioni che c'è in le pietre del sapere, non so se sia una cosa etica o se voglio tramandarlo alle altre generazioni, quello che mi premeva raccontare nel film, era anche l'amore materno per le ragazze più giovani che è legato all'amore che ho per Virginia. Virginia che è nostra figlia, che ha vissuto in una casa tutta di donne, che è stata bombardata da discorsi sul femminismo, che ha avuto un periodo di rifiuto pazzesco, del femminismo,e che però quando è riuscita a prendere le distanze da tutte queste madri, si è messa in un gruppo femminista, si chiama le Mafalde, che purtroppo si va sciogliendo perché al di la dei discorsi sulla violenza alle donne, sull'aborto, non riescono a trovare un dialogo tra loro che sia proficuo.Questo è un problema grave che si riscontra un molti gruppi.

D.: Penso allora che trovi molta ispirazione per i tuoi film nel desiderio di comunicare a queste donne più giovani, ma tu vuoi metterti in campo o no?

Senza dubbio, io voglio mettermi in campo, proprio perché questa è la nostra vita e noi stiamo comunque vivendo insieme questa esperienza. Non è che la nostra vita è già finita e quindi noi dobbiamo passare il testimone, siamo anche noi sempre in trasformazione. Mi piacerebbe poterla condividere con loro. Nel movimento delle donne non c'era assolutamente questa separazione dovuta all'età, c'erano donne più vecchie e altre più giovani; c'era questo condividere il mondo insieme, senza bisogno di pensare a quanti anni aveva l'una o l'altra. Vorrei che fosse ancora così. Vorrei calcare la mano anche su questo.

D.: Quindi nei tuoi film c'è questo mondo di generazioni che hanno ritrovato la comunicazione del pensare insieme, dell'autocoscienza, del partire da sè ?

Più del pensare insieme: del progettare insieme. Che io poi già propongo nei fatti , perché quando queste donne molto più giovani di me partecipano al film, c'è già questa condivisione di un progetto, di un andare avanti insieme, quindi loro ci sono, sono presenti, danno una mano, si riconoscono in questi ruoli. Facciamo un film per raccontare queste cose, ma facendolo mettiamo in campo quello che raccontiamo. Sono le donne che frequentano la Galleria (Sofonisba Anguissola). Altre le ho conosciute per il progetto di Villa5 , ( ero stata contattata per far parte di una comitato artistico). Comunque sono tutti rapporti importanti, che hanno trovato sbocco in un progetto preciso. Questo è importante. Progettare insieme è fondamentale. Noi un tempo ci coinvolgevamo anche se non andavamo a fare delle cose precise, il solo vederci era importante.

D.: Però tu mi stai dicendo che queste donne accettano la tua autorità

Sì l'accettano, la contestano magari però l'accettano, intervengono a volte su delle stupidaggini però il prodotto l'accettano eccome. Sono anche molto contente che io porti in giro il film.

D. Credo che questo aspetto educativo, didascalico che si nota anche nei tuoi film, io l'ho chiamato scusa eh "brechtiano", probabilmente deriva da questa spinta a creare un progetto con altre più giovani, a coinvolgerle, a pensare che tu da sola forse hai bisogno anche del giudizio di un'altra che da sola non ti basti. Secondo me dal punto di vista ottimistico è quello che io vorrei, perchè proprio in un'arte com'è quella del cinema io sono sicura che le cose che vedo io non le vede una più giovane e viceversa e quindi sarebbe tanto bello se ognuna con la sua storia mettesse, tirasse fuori queste differenze e poi funzionassero insieme, questa sarebbe la mia visione, anche nella pratica politica; ovvio che io speri che una più giovane ce l'abbia in mente come me ma non è così sempre. Io vedo che le giovani donne che amo particolarmente e che stimo tantissimo per le scelte che hanno fatto sono sicura che vedono le cose in modo diverso da me e mi va bene. Fanno cose che non ho fatto ma che avrei potuto fare.

Senza dubbio ho bisogno del giudizio delle altre, molto bisogno. Continuerò a fare film e spettacoli teatrali e mi auguro di riuscire a coinvolgere sempre le altre in questi progetti.
E' senza dubbio più facile fare film adesso di un tempo se si adopera il digitale e il computer per il montaggio, i costi sono accessibili, parlo del materiale, e la qualità dell'immagine e buona, certo non è la pellicola, ma come ho già detto mi sono resa conto che la pellicola 16 mm presentava comunque dei grandi limiti e il 35mm non è accessibile in modo indipendente. Ecco quello che vorrei dire alle altre donne giovani o meno giovani che si vogliono provare con questo mezzo espressivo, di osare pensare in grande, senza paura, senza tutti i mostri appollaiati sulla spalla che sono " la professionalità, la capacità tecnica, ect…" che frenano sovente l'agire delle donne. Bisogna fregarsene. Gli uomini se ne fregano. In molti film americani c'è il microfono in bella vista, che nessuno vede mai perché si da per assodato che essendo fatto negli studios è un ottimo lavoro, invece loro se ne infischiano, io ho imparato a farlo, mi piacerebbe che anche le altre donne avessero questa libertà. La presunta capacità tecnica non racconterà mai da sola una storia, e adesso con il computer, che a lungo andare anche un rimbambito riesce ad usare, si può veramente fare molto. Quindi fate film con il digitale, non solo i corti ma anche i lungometraggi, i DVD circolano! Possono essere visti da un numero di donne e uomini sempre più ampio. Questa a mio e penso anche tuo avviso è la strada maestra per una distribuzione più ampia dei lavori delle donne.