sta
in Il manifesto 11,12,2003
La
vita pericolosa delle donne iraniane
Mehranguiz Kar, giurista e avvocata, ne ha condiviso le battaglie.
«Le donne non si sono lasciate zittire, ma a proprio
rischio», ci ha detto. E parla di un futuro incerto
per sé, Ebadi, e l'Iran
Shirin Ebadi ha ricevuto ieri il Nobel per la pace.
Nel suo discorso ha accusato molti stati occidentali di violare
i diritti umani in nome dell'11 settembre e della lotta al
terrorismo
MARINA FORTI
I conservatori, in Iran, hanno accusato Shirin Ebadi di essersi
fatta «strumento dell'occidente», quando il comitato
del Nobel ha annunciato la decisione di attribuirle il suo
premio per la pace. Ma il discorso di accettazione pronunciato
ieri dall'avvocata e attivista iraniana, a Oslo, non era davvero
tenero verso le nazioni occidentali. «Negli ultimi due
anni molti stati hanno violato i principi universali e le
leggi sui diritti umani usando gli eventi dell'11 settembre
e la guerra al terrorismo internazionale come pretesto»,
ha detto durante la cerimonia di premiazione nel municipio
di Oslo. Giudice, poi avvocata e soprattutto attivista per
l'affermazione dei diritti delle donne e le libertà
fondamentali in Iran, Shirin Ebadi ha definito preoccupante
che i diritti umani vengano violati proprio in quelle democrazie
occidentali che ne hanno introdotto i principi. Ebadi ha citato
in particolare il caso del campo di detenzione nella base
militare statunitense di Guantanamo, «una violazione
alla Convenzione di Ginevra». Ha lanciato un messaggio
contro la guerra, accusando gli Stati uniti di doppio standard:
da 35 anni le risoluzioni delle Nazioni unite sui territori
palestinesi occupati sono ignorate, ma lo stato e il popolo
iracheno è stato soggetto a «attacco, aggressione
militare, sanzioni economiche e infine occupazione militare»,
una volta in nome di una risoluzione dell'Onu e una nonostante
l'opposizione del Consiglio di sicurezza.
Ebadi,
prima donna musulmana insignita del Nobel per la Pace, ha
infine puntato il dito sul suo governo. Ha detto che continuerà
a lavorare perché l'Iran applichi i trattati internazionali
sui diritti umani che ha firmato ma non messo in pratica.
In diverse occasioni l'avvicata e attivista aveva chiarito
che per lei il rispetto dei diritti umani rafforza le società
civili, senza cui non esiste democrazia reale. Lo ha ribadito
ieri, quando ha detto che è impossibile «governare
in modo tradizionale, patriarcale e autoritario persone coscienti
dei propri diritti».
Una battaglia
ventennale
Il premio
Nobel per la pace a Shirin Ebadi è stato una sorpresa
per molti, a cominciare dalla stessa avvocata e dalle giuriste
e attiviste per i diritti umani e per la democrazia che hanno
condiviso con lei le battaglie e le durezze degli ultimi ventiquattro
anni. Estromessa dalla magistratura nel 1979 - quando la rivoluzione,
vittoriosa contro il regime autoritario dello Shah, ha proclamato
la religione principio fondamentale della repubblica e in
nome di questo ha confinato le donne in un ruolo subalterno
- Ebadi si è messa a lavorare per i diritti dei bambini
e delle donne, poi a fare l'avvocata. Altre hanno fatto lo
stesso: un lento cammino per riconquistare lo spazio pubblico.
Ha condiviso battaglie e durezze Mehranghiz Kar, avvocata,
forse la più nota giurista in Iran (anche lei era stata
candidata al Nobel). Aveva appena ottenuto l'abilitazione
a esercitare la professione di avvocato quando lo Shah è
fuggito dall'Iran e «da allora ho sempre praticato,
fino a 2 anni fa: per ventidue anni sono stata un avvocato
nella repubblica islamica d'Iran», ci ha detto ieri,
a Roma, dove era ospite della Commissione pari opportunità
della Federazione nazionale della stampa italiana che ha voluto
rendere omaggio alla battaglia delle iraniane con una conferenza
su «donne e informazione per la democrazia in Iran»
- un omaggio anche a Zahra Kazemi, la giornalista iraniano-canadese
morta lo scorso luglio dopo essere stata arrestata...
Mehranghiz
Kar ripercorre quei 22 anni da avvocata e attivista per i
diritti umani e delle donne. Ricorda quando, alla fine della
lunga guerra con l'Iraq (durata gran parte degli anni `80),
si è aperto qualche spiraglio: «Sono uscite riviste
culturali non strettamente religiose, un'opportunità
d'espressione». Per sette anni ha scritto regolarmente
su Zanaan, («Donne»), magazine femminile che ha
avuto una funzione apripista: «Scrivevo per criticare
il sistema legale che assegna alle donne un posto inferiore,
discrimina i musulmani e i non musulmani, perseguita i dissidenti».
Quando
a Tehran sono cominciati i serial killing, nel 1998, un'ondata
di «misteriosi» omicidi di intellettuali e giornalisti,
Mehranghiz Kar era nel direttivo dell'Unione degli scrittori:
gli omicidi, è stato presto chiaro, erano una guerra
sporca di apparati del potere contro il movimento per le riforme
avviato da Mohammad Khatami da poco eletto presidente. «In
quel momento tutti eravamo in pericolo», ricorda, «circolò
anche una lista di persone `condannate' a morte». Nel
2000 è intervenuta, con diversi attivisti e intellettuali
iraniani, a una conferenza sulla democrazia in Iran organizzata
a Berlino dalla Fondazione Heinrich Boell: «Ero andata
a dire che le riforme non hanno possibilità di successo
in Iran in questo quadro costituzionale, cioè finché
il parlamento, pur con una maggioranza di riformisti, è
sottoposto al potere di veto del Consiglio dei Guardiani»,
ricorda Mehranghiz Kar. Appena rientrata in Iran è
stata arrestata (come un'altra attivista, Shahla Lahji) e
accusata di attentato alla sicurezza nazionale, propaganda
contro la Repubblica islamica, «e poiché a Berlino
ero in pubblico senza hijjab, il foulard, anche di offesa
all'islam». In quell'occasione Kar e Lahji sono state
difese da Shirin Ebadi. Mehranghiz Kar ha a sua volta difeso
Ebadi quando questa è stata arrestata, poco dopo.
A proprio
rischio
Le donne
in Iran non sono zittite, le dico. «Non sono zitte,
certo: ma a proprio rischio, non certo perché la repubblica
islamica ci abbia dato spazio». L'epilogo della sua
storia lo testimonia. Uscita di prigione si è scoperta
un tumore al seno, nel 2002 ha ottenuto il permesso di recarsi
al'estero per le cure e appena lei è partita suo marito,
il giornalista e critico cinematografico Siamak Pourzand,
è stato arrestato. «Per molto tempo non ho saputo
dov'era. Poi ho saputo che è stato torturato, picchiato,
sottoposto a interrogatori in cui gli hanno estorto confessioni
per contruire accuse contro di me e altri. Ora non posso rientrare
perché mi arresterebbero subito, il mio ufficio è
sigillato, ho perso tutto ciò che ero».
Sottoscrive
un'affermazione di Shirin Ebadi, che il presidente Khatami
ha sprecato un'opportunità storica per cambiare l'Iran?
«Assolutamente. Khatami ha avuto contro ortacoli enormi,
bisogna riconoscerlo. Ma non era disposto a correre rischi,
e i conservartori l'hanno presto ca pito. Khatami non ha preso
le difese di giornalisti come Akhbar Ganji e altri che sono
andati in galera. Così oggi gli iraniani sono delusi,
stufi dei conservatori ma anche dei riformisti. Credo che
nella società sia diffusa un'opinione laica, stufa
di uno stato che controlla le vite private, il modo di vestire
e di pensare. E' l'idea di separare la religione e lo stato.
Ma quest'opinione non ha espressione organizzata in Iran,
la legge non lo permette. Magari alle prossime elezioni vincerà
l'astensionismo, i conservatori riprenderanno il parlamento,
i riformisti andranno all'opposizione. Non è detto
che sia un male».
Il punto,
insiste Mehranghiz Kar, «non è se l'islam è
compatibile con i diritti umani: è che bisogna separare
la religione e lo stato». Così torniano a quel
premio Nobel che ha stupito anche lei: «Penso che Shirin
Edabi lo meriti. Penso anche che sia un messaggio politico
da parte della comunità internazionale. Dice allo stato
iraniano che non può violare i diritti umani in nome
dell'islam, e usare l'islam per attaccare i diritti fondamentali.
Insieme, dice agli iraniani che la comunità internazionale
li sostiene nella loro rivendicazione di diritti e libertà
fondamentali. Ma non sono sicura che lo stato iraniano abbia
capito il messaggio». Di nuovo, il futuro è incerto:
«Hanno cominciato a minacciarla, temo che cercheranno
di circuirla - un po' con le minacce, un po' con la cooptazione.
Il Nobel non basta a proteggerla, questo noi lo sappiamo».