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Il Manifesto 24, 12, 2003
POLITICA
O QUASI
Laicità, ce n'est que un début
IDA DOMINIJANNI
Sono passati solo pochi giorni dal solenne annuncio della
legge sulla laicità da parte di Chirac, e già
le cronache raccontano di alcune manifestazioni spontanee
contro la legge e a favore dell'uso «libero» del
velo. Sono manifestazioni di donne delle banlieues, ma non
di sole donne: le accompagnano padri, fratelli, amici. Le
organizzazioni islamiche ufficiali non c'entrano e non commentano.
Le due ragazze che hanno organizzato il corteo parigino (via
Internet, tanto per smentire in partenza i tagli con l'accetta
fra arcaicità islamica e modernità occidentale)
dicono che non hanno nessuno alle spalle e che portare il
velo è una loro scelta. Bisogna crederci? E' difficile
rispondere. La scrittrice iraniana Chahdortt Djavan ad esempio,
intervistata qualche giorno fa dalla Stampa, è sicura
di no: «Il fatto di assoggettarsi volontariamente non
rende meno infame l'assoggettamento. Se ci sono delle donne
che vogliono portare volontariamente questo simbolo di umiliazione,
le altre hanno il diritto di contestarlo». Certo che
sì, le altre hanno il diritto di contestarlo. Però
le due ragazze alla testa del piccolo corteo parigino col
foulard una bianco l'altra nero non sembrano tanto assoggettate.
E la simbologia della manifestazione manda messaggi complicati.
Che vorrà dire ad esempio quel foulard tricolore bianco,
rosso e blu portato da alcune? Un tentativo di sintesi (fatta
dal basso, non per legge) fra appartenenza cultural-religiosa
all'Islam e cittadinanza francese, parrebbe. E gli slogan?
Ecco due buoni esempi di come i valori universali occidentali
possano essere facilmente presi in castagna: «Tolleranza,
dove sei?», «Lasciateci il velo: liberté,
egalité». Tradotto: che fine fa la libertà,
se in suo nome si impone un divieto? Che fine fa la tolleranza,
se in suo nome non si tollera una religione? Che fine fa l'uguaglianza,
se non sopporta le diversità? Su Le Monde, che dopo
il pronunciamento di Chirac a favore della legge sulla laicità
ha pubblicato diverse opinioni sul tema, il sociologo Edgar
Morin ha messo in guardia dall'uso di «usare un martello
pneumatico per rompere un uovo». Alain Touraine invece
ha difeso la legge come garanzia della costruzione di uno
spazio di neutralità protetta, nel quale i conflitti
identitari non diminuiranno ma potranno essere meglio vissuti
e affrontati. La filosofa Elisabeth de Fontenay l'ha difesa
senz'altro. Aristide Zolberg, professore di scienze politiche
alla New York University, ha detto che la legge rischia di
produrre l'effetto perverso di rafforzare le resistenze invece
di scioglierle, imponendo un'ardua scelta fra fede religiosa
e integrazione nella cittadinanza francese; ha ricordato i
terribili conflitti che opposero cattolici e protestanti dal
1840 in poi nel Nuovo continente; ha avanzato l'ipotesi che
l'adozione di pratiche morbide di tolleranza sia preferibile
all'adozione di leggi dure e poco flessibili.
Sono tutte
opinioni plausibili (io preferisco la prima e l'ultima). Cosa
resta ancora da dire? Questo. A me non piace l'ennesimo conflitto
fatto in nome e per conto delle donne ma senza prestare grande
ascolto a ciò che ledonne dicono. Una posizione a favore
della laicità e contro l'oppressione del velo rischia
di scontarsi con il paradosso con cui si è già
scontrata ai tempi della guerra in Afghanistan, quando Bush
chiamò il mondo a combattere i talebani per liberare
le afghane dal velo e molto femminismo americano ed europeo
si trovò stretto nella morsa fra istanza pacifista
e istanza di difesa dei diritti delle afghane. Una posizione
di massima tolleranza delle identità religiose rischia
di subordinare il problema dell'oppressione femminile a quello
del pluralismo. Sono paradossi interni alla logica occidentale
dei diritti universali; quello che risulta chiaro è
che le donne, escluse in partenza da quella logica all'inizio
della sua parabola, non vi possono essere incluse oggi senza
svelarne i trucchi e le aporie. Invece che legiferare in loro
nome, converrebbe ascoltarne la parola e l'esperienza: quando
parla di oppressione e quando parla di libertà, e quando
trova nuove combinazioni per risignificare simboli scaduti
e ideologie provate.